Se la politica riflettesse di più
(di Gianfranco Colacito) – Quelle parole forti, diciamo, di Pierferdy Casini, che ha definito L’Aquila “città morta”, non sono, forse, sgorgate dal cuore, ma dal calcolo politico. Come tutto il resto: adesioni all’UDC, malumori nell’UDC, prese di posizione dell’UDC, risposte di Chiodi all’UDC e tutto il resto del teatrino seguito alla visita del leader udicino. I politici non si rendono conto dello stato d’animo degli aquilani e degli altri residenti nel cratere. Uno stato d’animo di persone provate fino all’insopportabile, che non digeriscono più frasi, dichiarazioni, proclami e diatribe. Ma soprattutto non digeriscono più il calcolo politico. Quindi, ognuno dei protagonisti di questa vicenda dovrebbe riflettere di più. Anzi, tutti i politici dovrebbero parlare di meno, e pensare di più. Se L’Aquila è una città morta, o tale appare ai visitatori, la colpa può essere di chiunque, meno che degli aquilani. E’ come dare la colpa di un lutto ai parenti del morto. La politica è una realtà di cui non si può fare a meno, in qualsiasi tipo di società : dalla più primitiva alla più evoluta. La politica non è mai stata verginale e adamantina. Ma può essere, potrebbe essere, più riflessiva, più composta, più produttiva. E meno esibizionista. Casini avrebbe – forse – potuto e dovuto dire: L’Aquila è una città morta, perchè la politica – e quindi anch’io che ne sono un importante esponente da decenni – non ha saputo farne, finora, qualcosa di meglio. Non siamo morti al punto da ingoiare tutto da tutti. E soprattutto, di calcoli e trampolini di lancio non ne vogliamo più sapere.
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