Aurum: cultura di impresa
Pescara – (di Paola Marcegiani, consigliera comunale) – Ho partecipato al convegno che si è svolto 11 gennaio 2011 all’Aurum sul tema cultura e impresa. Non sono rimasta colpita positivamente dall’intervento di Giordano Bruno Guerri (nella foto) soprattutto perché, al di là del racconto della sua carriera professionale, il professore non ha assolutamente espresso novità e originalità di argomentazioni.
Nel discorso del “curatore d’immagine” la città di Pescara risulta quasi una terra da colonizzare.
Mi viene il sospetto che Guerri abbia sostituito la realtà con la letteratura e che, per l’influsso del grande Gabriele di cui si definisce “l’amante”, Pescara sia per lui ancora “Terra Vergine” e i suoi abitanti siano cugini alla vicina di quei pecorari che la televisione per decenni durante l’intervallo ha propinato agli italiani come simbolo dell’Abruzzo.
Nel contesto magico della struttura dell’Aurum, così splendidamente restituita alla città dall’Amministrazione di Luciano D’Alfonso, ho vissuto una realtà che si esprimeva solo come fiera della vanità di provincia che proprio perché è organizzata da esponenti politici che governano la città in collaborazione con i giovani imprenditori, assumeva il senso di una vera e propria farsa. Accolto come deus ex machina, nel monumento che è il simbolo della città adriatica, immortalato pochi mesi fa in un grande manifesto dove il suo cranio brillava in primo piano davanti alla nobile testa del Vate quasi ad annunciare l’arrivo di un novello Imaginifico, il professor Giordano Bruno Guerri, ingaggiato dal Sindaco Mascia come “curatore dell’immagine” di Pescara per € 90.000,00 annui, ha illustrato momenti forti della sua vita, ha decantato le doti del Ministro Bondi, ha svelato la ricetta del suo successo: la sua presenza in TV, ma poco o niente ha aggiunto alle idee che già fanno parte del patrimonio pescarese.
Come diceva il pescarese Ennio Flaiano “con la televisione si fa tutto quaggiù”.
La città è bella, ha dichiarato ieri Guerri, “ospita un Centro studi dannunziani, la casa natale di d’Annunzio e altre manifestazioni culturali, ma purtroppo non si sa vendere”; lui la renderà famosa, ascolterà le proposte degli intellettuali per migliorare l’organizzazione della vita culturale e anche di quella quotidiana; nel suo programma il professore conferma il II° festival dannunziano perché a parer suo già il primo, costato al Comune più di € 300.000,00 non è stato niente male.
Mi chiedo se c’era bisogno di spendere 90.000,00 €. per sentire annunciare da Guerri una fiera della innovazione; l’intervento termina con l’apoteosi della pasta De Cecco e del vino Montalcino, “pardon, mi sono confuso – dice il professore – Montepulciano!”; la ciliegina sulla torta è la scoperta degli arrosticini ai quali Guerri augura una sana celebrazione con grande sagra.
Io condivido la necessità e l’importanza della comunicazione per la cultura, sono d’accordo con Guerri riguardo all’operazione strettamente culturale che lui vuole perseguire (e come lui tanti illustri docenti universitari) di guarire le due tare che rovinano d’Annunzio, d’Annunzio protofascista e d’Annunzio erotomane, ma non è possibile identificare la nuova idea della cultura solo come intrattenimento, rendita turistica, e/o autocelebrazione identitaria.
In altri paesi d’Europa, come ad esempio la Spagna, le città hanno annunciato un ambiziosissimo piano di investimenti di infrastrutture per portare le stesse nella elite della – global creative cities – questo è un discorso veramente nuovo. Il tema delle industrie creative è assente dal dibattito nazionale e questa è una delle cause del ruolo marginale dell’Italia nella cultura europea.
Ho avuto modo ieri di apprezzare i rappresentanti dei giovani industriali che hanno dichiarato la loro attenzione ai giovani e al futuro delle nuove generazioni che operano in questo settore, ma purtroppo ragionando come si è ragionato ieri sera all’Aurum, noi invece stiamo facendo di tutto per scoraggiare i giovani, ingannandoli con tante parole, ma senza alcuna volontà di superare quelli che sono i reali e sostanziali limiti di visione della nostra cultura.
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