L’Aquilanità diventa un caso
Nei telegiornali nazionali del 5 gennaio un bel regalo per L’Aquila e i suoi
amministratori: la denuncia della Caritas, che dona milioni di euro ad un comune che non si decide a utilizzarli, diventa un caso nazionale. Facile immaginare i commenti a Nord: ecco i soliti terroni che chiedono soldi e aiuti, e poi non sono nemmeno capaci di spenderli. A Vicenza 15 giorni dopo l’alluvione la cttà era pulita ed efficiente come prima, senza aspettare i soldi dello Stato. E così via. Di tutto L’Aquila , diventata una melanconica baraccopoli , aveva bisogno, meno che di una nuova mazzata che la colpisce nell’immagine. Ora la città delle rovine diventa anche la città alla quale la Caritas tende la mano, che non viene stretta.
E’ difficile capire, in ogni caso, come possano opere e insediamenti contrastare con i piani urbanistici aquilani (questo dice il Comune) in un contesto devastato, stravolto, ferito a morte da 19 new towns e da migliaia di baracche sorte persino in centro. Peggio di come è ridotta, L’Aquila non potrebbe diventare. Vi sono insediamenti che gridano vendetta come la nuova S.
Bernardino a Piazza d’Armi, accettati dal Comune, e ora ci si permette di nicchiare di fronte alle offerte Caritas? Probabilmente anche il Comune, come la Caritas, avrà le sue ragioni. Le medagli hanno sempre due facce. Ma tutti saranno d’accordo: di questo nuovo “sputtanamento” (scusate il termine
oxfordiano) non c’era necessità . Ce le cerchiamo tutte, e purtroppo quasi sempre le troviamo anche. L’aquilanità delle incompiute, dei rinvii, dei ritardi, delle mancate risposte, dei cavilli insidiosi che nascondono secondi fini – spesso non adamantini – è una identità preponderante. Prepariamoci a pagarne ancora una volta i costi.
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