Celaia il capo? No il maestro
Remo Celaia non si dimentica. Si critica, si elogia, si discute, si rammenta (chi ha memoria e chi finge di non averla), si legge ancora sui giornali abruzzesi. Infatti è sempre presente, molte cose le inventò lui, quando gli inserti regionali sul Tempo e sul Messaggero cambiarono la nostra storia.
Rubriche, modi di dire, arguzie, polemiche, corsivi, interviste brevi e pungenti, battute. I giornalisti che non hanno più venti, trenta, quarant’anni, sono tutti discepoli di Celaia, al quale viene dedicato – giustissimo – un libro. 40 anni dalla sua tragica, prematura morte sulla neonata autostrada, che allora arrivava solo fino ad Avezzano.
Noi che fummo tra gli allievi, anni dopo le celebri polemiche con Gianni Letta (battezzato “il pupo Gilè”) , vorremmo rendere omaggio all’uomo e al giornalista. Celaia aveva una penna elegante, spiritosa, graffiante, leggera.
Giornalista nato, lui che scuole per cronisti certo non aveva frequentato.
Scriveva in perfetto italiano. Si occupava di ogni argomento. Appena conosciuto il vostro cronista, lo squadrò da capo a piedi e disse: “Tu vieni dal liceo Cotugno? Vai bene in italiano e latino? Bene, qui non servono temi, versioni, ma notizie, e non usare troppi motti latini, non tutti li capiscono. Noi scriviamo anche per chi capisce poco…”.
Per lui la cosa più difficile all’esordio era scrivere una notizia correttamente, con le cinque W, senza fronzoli e pochissimi aggettivi, ma completa. Perciò i cronisti li spediva sul difficile banco di prova della cronaca nera, allora sangue e orrore in primo piano, perchè si andava sul posto e si trovavano cadaveri, sofferenza, scene orripilanti. Poi bisognava raccontare tutto e subito, prima di mezzanotte perchè “a Roma hanno già fatto il titolo a tre colonne e servono 31 righe”. Era un burbero benefico, un uomo che cercava calore umano e forse era molto solo. Aveva una Lancia Appia terza serie bianca, lucida e profumata come voleva lui, maniacale. Una volta la lasciò guidare per 30 km al vostro cronista: un gesto affettuoso mai più ripetuto. Un sorriso silenzioso con tanti denti. 40 anni fa correva verso la moglie partoriente, morì in un violento scontro in galleria. La notizia della sua morte l’avrebbe voluta commossa, ma scarna e composta, con foto a due colonne. Ma “state attenti quatrà , niente sdolcinamenti”. Il capo? Più che altro il maestro.
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