Il suicidio Thales Alenia
I grandi manager di Thales Alenia, Finmeccanica, Selex si staranno chiedendo, per ora allibiti e silenziosi, se L’Aquila sia una città di folli, di gente irrimediabilmente colpita nelle facoltà mentali dal terremoto. Infatti, L’Aquila sta facendo di tutto per perdere i nuovi stabilimenti da 50 milioni (450 posti di lavoro qualificati) a suo tempo destinati (con l’ingente investimento) nel suo territorio. Gli stabilimenti c’erano, il terremoto li ha sconquassati e ora si è deciso di costruirne di nuovi, pare nell’area di Pile. Pare.
Infatti, da queste parti la follia è tale e tanta che non se ne sa nulla. Nè esattamente dove saranno ubicati, nè – soprattutto – quando saranno rese disponibili le vaste aree necessarie. I mesi passano, l’inverno incalza, la città langue e manifesta, innalza striscioni, piange, si proclama non doma, enuncia fiere intenzioni bellicose. Ma non si accorge che le poche, pochissime concretezze di questo drammatico post-sisma stanno sfumando. Infatti, nella manifestazione del 20, nessuno ha protestato perchè a Thales Alenia, Finmeccanica e Selex sono state praticamente sbattute le porte in faccia. Politica e burocrazia stanno annullando la pratica: semplicemente, non si cava un ragno dal buco. Nessuno capisce, o in modo criminale fa finta di non capire, che ai grandi investitori sarebbe facile trovare un’area altrove e insediarsi. Comodamente e senza allucinanti ritardi o nefaste inerzie aquilane. Questo è il vero dramma del dopo-sisma: l’aquilanità che non riesce a morire, neppure in una città che a molti appare già deceduta. Sperando che non lo sia davvero e fino in fondo.
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