Valentini, un giusto costretto a morire
Camillo Valentini, sindaco di Roccaraso tre anni fa, morì suicida in prigione.
Molti lo dicevano, e ora tutti sappiamo, che era un uomo giusto costretto a morire. Imprigionato ingiustamente, non sopportò l’onta del sospetto, della maldicenza, della furia iconoclasta che coglie l’ipocrisia collettiva quando un politico finisce nella polvere. Era innocente, non ebbe la forza di sentirsi accusato di disonestà . E si uccise. In seguito le accuse contro di lui caddero, e oggi c’è un rinvio a giudizio. Riguarda un’indagine in malafede, dice la magistratura, ordita perché Valentini apparisse colpevole.
E’ una storia molto brutta, forse la peggiore di un Abruzzo che negli ultimi trent’anni non si fa onore, ma appare come terra di iniquità , di trame, di scandali e fellonerie. Un’etichetta che non meritiamo, come collettività , ma che ci affibbiano ormai in tanti. Niente e nessuno ridaranno la vita a Valentini, l’uomo costretto a togliersi di mezzo. Speriamo che l’inchiesta giudiziaria in atto, prudentemente affidata a magistrati non abruzzesi, porti luce e faccia chiarezza totale. La macchia non ce la toglierà nessuno da dosso.
Pagina nera, che non si può strappare dal libro della storia di questa regione.
Nemmeno dicendo: che non capiti più. Anche perché chi ci crederebbe?
Abbiamo perso la credibilità , non viviamo più di rendita come “abruzzesi forti e gentili”. Piuttosto, deboli e cialtroni. Così tanto siamo stati capaci di infangarci?
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