Lasciare le tende e ricominciare la vita
Non a caso hanno scelto il 6 settembre, cinque mesi esatti dal 6 aprile, per far tornare della gente sotto veri tetti e per cominciare a smontare le tendopoli. Hanno pensato che quasi mezzo anno di indicibili sofferenze, smarrimenti, disagi anche fisici, turbe mentali, ferite profonde, doveva e poteva bastare.
Poi hanno scelto anche di cominciare a riaprire qualche strada. La macchia nera di buio che si vede dal viadotto autostradale, passando di notte, non sarà più il centro morto dell’Aquila: cominceranno a riaccendersi delle luci. Lasciare le tende, comunque, è il modo più pragmatico per dimostrare che la vita ricomincia. Molti non ci credevano. Molti non ci credono ancora. E allora deve soccorrerci la storia, deve aiutarci il passato: sempre si è ripreso a vivere. Magari dopo anni. Magari stravolti e smunti. Ma sempre, anche secoli fa, anche altrove (pensiamo al terremoto che rase al suolo Lisbona, ben più grande dell’Aquila), la vita è tornata: è una regola sociale, una legge di natura. Qualche volta tutti, stupidamente e senza pensarci, abbiamo distrutto un formicaio, guardando le formiche fuggire disperate in ogni direzione. Pochi giorni dopo, il formicaio era di nuovo al suo posto. A parte il fatto che nessuno se la sentirà di rifarlo, un gesto così stupido e grossolano, traiamone almeno un insegnamento. Il male del mondo ferisce, uccide, atterrisce. Ma la forza del ripristino è più grande. Almeno fino a quando i ghiacci polari si scioglieranno del tutto sommergendo mezzo mondo. Ultima cosa: leggiamo che a New Orleans (USA) arrivano da tutta l’America imprese e aziende. La regione distrutta dagli uragani anni fa è zona franca. Dice niente ai politici?
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