Abbiamo imparato anche a piangere


Tra le confidenze, le mestizie e i sussurri di sfollati ed esuli, una ferisce più delle altre: “Non avrei mai immaginato – ci dice un professionista – di invidiare accorandomi quelli che dalle vacanze tornano a casa. Il semplice ritorno a casa significa averne una, di casa…”. Difficile sentire qualcosa di più amaro, come è difficile capire chi piange distinguendo tra l’isterismo, la nevrosi e le lacrime del dolore muto, autentico, quello che ti segna dentro e anche fuori, nel viso. Abbiamo tutti imparato a piangere, dal 6 aprile, dai giorni successivi. Anche di fronte a foto e immagini tv. Il pianto di Cialente, la voce rotta della Pezzopane, le lacrime composte della donna nella tendopoli ormai sola al mondo, l’amaro e silenzioso singhiozzo di chi ha perso figli, madri, mogli; la commozione negli occhi di turisti, di passanti che non torneranno mai, di militari e gente in divisa, di ragazzi, volontari, persone che si stringono le tempie tra le mani accoccolati per terra. La disperazione smarrita dei poveri animali randagi tra le macerie, dagli occhi spalancati sull’incomprensibile. In questo straziante, crudele urlo dei mostri della terra, in questo rigurgito oscuro delle energie primordiali, abbiamo tutti imparato a piangere e che non è vergogna piangere. In qualche modo, dentro ci siamo arricchiti. La vita è dolore quantizzato, a piccole o grandi dosi. A noi ne è toccata una da dinosauro.



30 Agosto 2009

Gianfranco Colacito  -  Direttore InAbruzzo.com - giancolacito@yahoo.it

Categoria : Editoriale
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