Come liberarsi dai senza
Edoardo Bennato nella sua “isola che non c’e'” canta che e’ piu’ pazzo chi non ci crede più’. Sono sicuro che anche da noi sono ancora tanti quelli che ci credono e che sono pronti a darsi una mano per non vanificare ogni speranza di riavere una città e non rimanerne senza per decine di anni o per sempre. Ovviamente una città con degli aggettivi e non come concetto indefinito tanto caro a chi gli aggettivi non sa cosa sono.
In qualche sermone laico sento dire che bisogna guardare il bicchiere mezzo pieno dove troviamo le cose più importanti e accontentarsi: la vita, gli affetti, una casa al posto delle roulotte e gli amici.
Personalmente ritengo che chi chiede, per un quieto vivere, a degli uomini di non essere il sale della terra e la luce del mondo, con libertà, intelligenza, creatività e generosità, per migliorare le condizioni di vita della comunità, sia un personaggio che, nonostante l’apparenza, puzza di zolfo. Come si può chiedere a degli uomini di vivere come pecore nello stazzo? Per quale fine superiore o per quale ordine superiore?
In Europa, da alcuni anni, sono sempre più numerosi i movimenti dei “senza”: i sempre presenti “senza lavoro”, i “senza documenti”, i “senza casa”, i “senza sicurezza”, i “senza internet”, i “senza formazione”, i “senza servizi”, i “senza diritti”, i “senza infrastrutture”, i senza “giustizia”, i “senza non so che”.
In una città europea, L’Aquila, abbiamo una situazione in cui i vari movimenti sono rappresentati da una città intera che racchiude tutti i “senza” delle altre zone europee aggiungendone dei suoi specifici molti dei quali presenti prima del terremoto ed altri venuti a seguito del terremoto.
Viviamo un presente surreale senza un’impostazione culturale di ampio respiro con crescita civile, sociale, economica, morale e la ricostruzione della città senza cultura e’ una parola vuota, fredda, morta. Ma cultura non significa solo conoscere il passato (ah se avessimo avuto degli storici meno timidi prima del terremoto…) ma anche e soprattutto capacità di disegnare un futuro vivo con cittadini liberi e senza la droga dei sussidi ad oltranza tanto cari a chi disegna carriere politiche basate sul malcontento dei cassintegrati e tanto cari a chi quella notte rideva.
Il movimento più importante della città dell’Aquila, che dopo il terremoto è diventato gigantesco, è quello dei “senza politici”. Se ci fossero stati dei politici con una delega alla ricostruzione della città chiara e determinata e con un progetto di sviluppo strategico approvato dal voto della maggioranza dei cittadini, di certo, non ci sarebbe stato il problema del commissario esterno part time, la città non sarebbe stata terreno di passerella per personaggi tristi mascherati da buon samaritani in cerca di visibilità mediatica e il governo centrale avrebbe balbettato molto ma molto di meno.
Kōbe è una città di 1,5 milioni di abitanti, situata nell’isola di Honshū in Giappone.
Il 17 gennaio 1995, la città fu devastata dal terribile terremoto di Hanshin-Awaji di magnitudo 6.8 che provocò 4.600 vittime in città e oltre 300.000 “senza tetto” (il peggior terremoto verificatosi in Giappone dal terremoto di Kantō del 1923).
In quel caso, il movimento dei “senza politici” non ebbe modo di costituirsi ma, anzi, la città reagì compatta all’evento, ricostruendo con tecnologie antisismiche e sposando per sempre la cultura della prevenzione. Per rispetto delle vittime e per non dimenticare la prevenzione, i politici, insieme a tutta la città e con l’aiuto del governo italiano, ebbero un’idea (senza risorse) che ebbe una ripercussione virtuosa anche per l’economia locale: dopo appena undici mesi fu inaugurato il Luminaire Festival di Kobe. Il Festival, che è un evento unico e di riferimento in tutto il mondo, ha un tema diverso ogni che viene interpretato attraverso le luminarie dal mese di dicembre fino a metà gennaio. La prima edizione ha attirato in città più di 2 milioni di visitatori mentre oggi vanta una media annua di 5 milioni di visitatori che come si può immaginare aiutano l’economia locale e al tempo stesso amplificano la cultura della prevenzione.
Ma torniamo all’Aquila e ai suoi tanti movimenti dei senza qualcosa di cui dobbiamo liberarci.
Se tutti noi, piccoli borghesi di provincia che ci crediamo ancora, riuscissimo con obiettività ad avere un sussulto di vita e a dare un senso positivo al presente che viviamo, per i nostri figli e per le future generazioni, mandando via i chiacchieroni con la coscienza sporca ed i don Abbondio della nostra politica, daremmo un supporto concreto all’ idea di un progetto di città che rinascerebbe civilmente nella concretezza e con la cultura della vita ben presente nelle nuove fondamenta.
La proposta e’ semplice. Ridare subito la parola ai cittadini per delegare delle persone di buona volontà a realizzare un progetto concreto di città nuova e sana.
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