La genesi del film The American
Certo, per me è strano qui a Pechino leggere che in Abruzzo si è girato un film del romanzo A Very Private Gentleman, con titolo The American e con George Clooney come protagonista. Anche triste, nel senso che l’autore Martin Booth non può vedere il film. Nella sua assenza vorrei raccontare la genesi del romanzo e parlare del suo profondo amore per la valle dell’Aterno e la sua storia.
Martin è venuto a L’Aquila per la prima volta all’inizio di dicembre trent’anni fa, ospite nella mia allora casa di Barete – un appartamento freddissimo sopra il negozio di alimentare sulla strada statale. Lo avevo conosciuto sei anni prima tramite un amico comune e l’avevo invitato a fare una conferenza all’Università, dove in quel momento si faceva una ricerca sulla poesia inglese contemporanea. Allora lui era molto conosciuto come poeta ed come editore specializzato nella poesia (piu’ di cento volumi pubblicati dalla sua casa editrice, di nome Sceptre Press), era amico di grandi poeti come l’inglese Ted Hughes e l’americano Robert Bly, e possedeva una stupenda biblioteca personale di 10,000 volumi di poesia. A mio avviso, alcuni sue raccolte di poesia pubblicate negli anni settanta sono da riscoprire.
In verità, aveva già pubblicato anche due romanzi e del secondo, The Bad Track, c’era interesse a Hollywood per girare un film. Si trattava di un giallo con protagonista un fan diventato stalker che seguiva un cantante rock e minacciava di assassinarlo. Martin sperava tanto… Il suo amico poeta George McBeth aveva appena lasciato la BBC, dove era responsabile per tutto ciò che riguardava la poesia, grazie al denaro guadagnato dalla vendita di libri piuttosto vergognosi scritti con vari pseudonimi. Martin sognava la vita da scrittore vera ma era ancora “costretto”, la sua parola, a far il professore. Eravamo insieme a Barete la sera del 8 dicembre con qualche bella bottiglia di vino quando abbiamo sentito notizie di un evento molto lontano che rendeva un film su The Bad Track improponibile: l’assassinio proprio per mano di un simile stalker di John Lennon.
Ma la sera successiva è iniziata un’avventura molto più grande. Si è presentata una persona sconosciuta a me per chiedere un consiglio, un giovane architetto di nome Felice D’Ascenzo, residente a Roma ma originario di Barete (anche lui, purtroppo, non più con noi). Per motivi che non ho mai capito, la mia padrone di casa, Signora Matilde, aveva una stima enorme per me e mi aveva presentato a lui come una specie di genio della storia, assolutamente certa che io potessi rispondere alla sue domande. In realtà, non avevo nessun idea al riguardo dei suoi problemi di natura tecnica. Felice aveva, all’epoca, un incarico per il restauro del monastero di Santo Spirito di Ocre, e cercava informazioni su alcuni aspetti dell’architettura dei Cistercensi. Ma siccome Martin e io siamo stati sempre molto curiosi siamo andati con lui il giorno dopo a visitare Santo Spirito.
E’ stata l’ispirazione della sua vita. Lui sostiene di aver visto il fantasma di un suora che gli indicava la strada. Da quell’incontro seguirono, per anni, visite a tutte le chiese e conventi della zona, a castelli ed archivi, con ricerche e scambi continui tra di noi – ho ancora centinaia di lettere scritte da lui, a volte anche una al giorno (era prima dell’e-mail, degli SMS e della telefonia internazionale a basso costo). Santo Spirito, Sant’Eusanio, Santa Maria ad Cryptas, San Pellegrino, Santa Maria di Constantinopoli, una litania di nomi bellissimi. Ci affascinava la cultura della transumanza, non solo di pecore ma di idee (anche eresie) e di arte – quella bizantina che saliva con la stessa strada e che permette di vedere figure simili nel mosaico di Otranto e negli affreschi di Bominaco; ci stupiva come un signore nato ad Ocre poteva diventare Gran Cancelliere di Federico II e sedere a cena con Enrico III d’Inghilterra nell’allora capitale di Winchester, e come suo fratello o cugino poteva diventare Gran Maestro dei Templari. Si studiava, si leggeva, con diversi progetti di libri mai completati, anche se nel frattempo sia io che lui scrivevamo. Dalle mie visite alla Biblioteca Vaticana è venuto fuori il mio The Inquisition (con dedica a Martin), The Knights Templar e un giallo storico ambientato tra Parigi e Ocre intorno a 1300, The Image of Our Lord. Tra tanti libri Martin ha pubblicato un scelta di poesie intitolato Killing the Moscs con una bellissima sezione su la “nostra zona” (dedicato a me). ‘Holding Hands with Dante’, ambientato a Santa Maria ad Cryptas, e ‘Terranera’ sono meravigliose, ma forse la poesia più forte del volume è ‘The Proud Hour’, scritto nella sua mente mentre un inverno guardavamo insieme il tramonto da San Martino d’Ocre, con Santo Spirito sotto i piedi. Si sentivano gli strilli penetranti di un maiale terrorizzato nel silenzio della valle e guardavamo l’ombra “marciare” come un esercito (le sue parole) lungo la strada da Barisciano mentre il sole scendeva dietro le montagne a sinistra – e i strilli bruscamente cessavano:
Then, the miracle:
suddenly – in less than a minute –
the whole of the valley is pinked.
Not a pinkness or a tinge, but living,
as if thin blood was diluting into the ether.
Buio profondo nella valle, una tenera luce rosa spaventosamente bella sulla neve fresca del Corno Grande li davanti. Nella sua fantasia il sangue del maiale ormai morto creava bellezza davanti a noi come una specie di reincarnazione animale che riciclava la vita spenta in bellezza nuova. Martin era di una sensibilità fuori del comune. Quando camminava in quei luoghi tutto il corpo e tutta l’anima era sull’allerta come un animale alla caccia, nervoso, agitato; l’occhio, il naso e l’orecchio non perdeva nulla.
Tali discorsi potrebbero sembrare fuori luogo in questo contesto (e ci sarebbe troppo da raccontare), ma tutto ritorna nel A Very Private Gentleman. Un esempio solo. Una volta Martin voleva tanto vedere la grotta di Beato Placido nelle roccia sopra Fossa (e sotto Ocre) e esprimeva questo desiderio ad una cena con due miei amici aquilani, Paolo Rubei e Franco Biordi. Il giorno dopo Martin è rimasto molto impressionato da Biordi, il quale ha posizionato il suo fuoristrada con verricello pericolosamente sopra la grotta, e come Franco ha poi scalato le mura del castello con mocassini ai piedi e senza sbottonare la giacca elegante che portava. Roba da film cinese! Martin ha ripetuto il racconto per anni a cene e conferenze in tutto il mondo – con le scarpe upgraded a Gucci loafers. Questo episodio torna, perché le prime due pagine del romanzo A Very Private Gentleman consistono di una dettagliata ed evocativa descrizione della grotta – anche se quasi nessuno lo sapeva prima di oggi perche’ il testo non da il nome.
Insomma, Martin si è innamorato dall’Aquilano, quella parte che lui chiamava sempre (anche nel romanzo) la “Concha”, più di quanto si potesse immaginare nel libro o nella pubblicità per il film; e non vorrei che questo amore sia dimenticato nell’entusiasmo per Clooney. Tornava quasi ogni anno, sempre pieno di energia e curiosità. Siamo entrati in trattativa di acquisto – poi abbandonata – con i proprietari del Castello di Ocre, con un progetto di creare una sede estiva per giovani scrittori inglesi, inserendo case prefabbricate di legno nelle rovine (il tutto finanziato da George Macbeth per motivi fiscali). C’erano tanti altri progetti. Il narratore del romanzo esprime il suo sentimento in questi termine (il ponte, singolare, è quello medievale sotto Fossa sulla strada per la stazione, allora quasi invisibile e dimenticato sotto la vegetazione): “History: the castle and the monastery, the villages, the bridge, the roads and the churches and the fields. I like it, the ordinary history of everyday things.”
Dieci anni e tante visite dopo è nato A Very Private Gentleman, pubblicato all’inizio del 1991. Martin è venuto con la moglie Helen e i suoi figli Alexander e Emma a trascorrere due settimane a casa mia nell’estate del 1989, ormai a Paganica. Per anni avevo parlato con lui dei pagliari, dove gli abitanti di alcuni paesi della valle si trasferivano in estate per lavorare nei campi, come fosse una specie di mini-transumanza. Per caso, in quei giorni siamo stati invitati dal Sindaco di Fontecchio – un paese che ormai Martin conosceva bene – ad una festa alla sua pagliara. È stata una domenica stupenda, il 16 luglio, sole forte e il cielo un blu brillante con un venticello piacevole, cibo eccellente e ottima compagnia.
Ad un certo punto il Sindaco, Alfonso Lucrezi, con il quale parlavo spesso all’epoca per via di un altro progetto mai completato, ha fatto un casuale riferimento ad un brigatista rosso che era stato spedito in “esilio” sotto falso nome a risiedere a Fontecchio. Non ci ha detto il nome, ne la minima descrizione della persone o della sua abitazione. Credo che sia stata una frase sola, semplice, lasciata cadere sul vento…
Cosí e nato A Very Private Gentleman. Era sufficiente il contrasto tra la scena pacifica e bucolica della pagliara, con persone “forti e gentili” come si usa dire e profondamente onesti e tanti bambini felicemente scatenati sull’erba estiva, e un freddo e spietato terrorista, esperto di armi da fuoco, che faceva parte di un gruppo cosí tristemente celebre (ne avevamo seguito la storia, e siamo stati fermati e interrogati a Roma nel 1980). Martin non ne ha parlato in quel momento, ma credo che l’idea si era formata subito – faceva sempre cosí – e vedo adesso nella mia agenda che il giorno dopo ha chiesto di ritornare a Santa Maria ad Cryptas, che più tardi lui voleva fortemente sulla copertina. Faceva una specie di comunione spirituale ma non religiosa con gli affreschi e ne traeva ispirazione. Credo anche che sia partito il 25 luglio con la trama già elaborata in mente. Infatti la stesura del romanzo è stato veramente veloce appena lui ha trovato il tempo. Mi raccontava in una lettera scritta a metà gennaio del 1990 che aveva cominciato a scrivere alla vigilia di Natale, con 1,500 parole alla prima sessione di lavoro, poi altre 8,000 prima del pranzo di Santo Stefano, e 51,000 parole fatte il 13 gennaio, data della lettera. A fine febbraio il romanzo era già stato venduto a Random House, con il titolo Il Signor Farfalla. Bel ossimoro, la farfalla assassina!
Per me, il romanzo è pieno di nomi e cenni alle sue origini e ai tanti giorni passati a respirare la storia aquilana. Ci sono delle persone vere: due pagine raccontano di un imprenditore di nome Diulio con le sue case, la sua grande Mercedes e il suo vino; è un ritratto vero e abbastanza preciso di Duilio Pezzuti, originario di San Martino ormai deceduto anche lui e con una storia di famiglia molto triste. C’è una descrizione di Santo Spirito, con nome cambiato in Convento di Vallingegno; San Martino e Fossa mantengono i nomi veri. Perfino i Templari appaiono brevemente. L’idea di un ex-terrorista che dipinge le farfalle deriva certamente dalla profusione dei bellissimi esemplari quel giorno alla pagliara e dalla profonda conoscenza della natura di Martin, verde ante litteram, che si vede nel romanzo; il vicolo che conduce alla casa del terrorista si chiama via dell’Orologio (sotto la torre a Fontecchio); il meccanico si chiama Alfonso (una retrocessione per il sindaco!); l’edicola in Piazza Duomo a L’Aquila, i prati di Rocca di Mezzo, la visita con descrizione a Santa Maria ad Cryptas, la cantina Il Boss (gestito da Elfisio, vagamente riconoscibile come il papa di Giorgio e Franco, peraltro già deceduto) con il suo mix eclettico di clienti. Poi ci sono tanti fatti che io rapportavo, magari a pranzo o a cena, presi dai quotidiani, ad esempio quando la Guardia di Finanza cercava evasori fiscali fotografando gli yacht nei porti turistici quell’estate e controllavano i proprietari; e il risultato di tante conversazioni, per fare un esempio solo sulla storia dei papi assassinati. Si usavano anche le nostre foto. Sulla copertina, c’è un trittico pseudo-religioso dipinto da un pittore inglese utilizzando alcune foto di Ocre e di Fossa da tutti e due; all’interno, il libro porta la dedica a me.
E poi, a pagina 108, c’è la descrizione di una pagliara – dove “Signor Farfalla” va per provare il suo nuovo fucile. Chiude il cerchio.
Oggi ho rivisto una serie di lettere da Martin scritte nel 1990, chiedendomi nuove informazioni e la correzione del suo italiano (inesistente!). C’è anche la sua riposta alle mie critiche sul nome assurdo e inesistente – secondo me – Dindina, che lui mi informa cortesemente fosse il nome della figlia di Ciano e quindi nipote del Duce (mi sembra assurdo anche oggi). Vedo che a dicembre dello stesso anno già si parlava di un film con 20th Century Fox. Ma non si fece nulla.
Adesso il film c’è. Martin ha sempre concepito i suoi romanzi visivamente, cioè “vedeva” la storia con l’occhio del poeta. Quindi sarebbe stato molto felice di vederlo. Ma purtroppo non è più con noi. Io, scettico, scherzavo sempre e ridevo quando lui raccontava la sua visita da ragazzo ad una fortune-teller di Hong Kong, dove abitava, e come lei gli predisse che non sarebbe arrivato a 60 anni. Ci credeva assolutamente. Non rido più, perchè è stato colpito da un tumore al cervello ed è morto nel febbraio 2004; ne avrebbe compiuto 60 anni a settembre.
Sono molto felice che si è fatto il film, ma nello stesso tempo triste che Martin non lo può vedere e che non può raccontare con le sue parole la genesi del romanzo. È un peccato anche per voi lettori. Credo che pochi hanno vissuto, capito e sentito meglio di lui quella magica e spesso misteriosa valle.
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