Giorni di fuoco


(di Carlo Di Stansilao) – Giorni di fuoco per la sopravvivenza del governo ed il futuro della Fiat. Alle 9,30 di oggi, non in Parlamento, come è spesso successo nell’era Berlusconi, bensì al secondo piano del palazzo della Consulta, i quindici giudici decideranno sulla legittimità dello scudo processuale per il premier e, di conseguenza, sulla tenuta della maggioranza. Il Cavaliere lo ha detto e ripetuto in queste settimane: se la Consulta, “covo di comunisti”, mi leverà lo scudo, andremo al voto. Perchè non c’è dubbio che tornando a fare l’imputato sarà più difficile avere la forza contrattuale per racimolare i voti di quei “responsabili” che dovrebbero consentire l’approvazione, la prossima settimana, dei decreti sul federalismo pretesi dalla Lega per evitare il voto anticipato. Il clima da conto alla rovescia è tangibile a palazzo della Consulta: ingresso vietato ai giornalisti, giudici che non ricevono e se rispondono al telefono ti liquidano gentilmente con un secco no comment, ingressi contingentati anche per i fornitori e accesi vietati al secondo piano dove si trovano gli studi dei giudici costituzionali e dei loro assistenti. E’ dal 2004, dai tempi di quello che allora si chiamava lodo Schifani e che poi nel 2008 ha cambiato nome in lodo Alfano (entrambi bocciati), che Berlusconi si affligge per far approvare una norma che gli consenta di “non perdere tempo” con i processi in cui è imputato. Per limitare il più possibile le indiscrezioni che nei giorni scorsi hanno irritato il neo presidente Ugo De Siervo, è stata diramata una circolare apposita, per escludere “ogni possibile intralcio”. Come ricorda Claudio Fusani su l’Unità, il relatore Sabino Cassese ha distribuito una settimana fa la sua scheda riassuntiva delle circa diecimila pagine relative al “caso” della legge 7 aprile 2010. Tutti gli altri quattordici giudici hanno elaborato e poi condiviso in analoghe schede la loro posizione. Il loro punto di vista sulla costituzionalità della legge voluta circa un anno fa dall’Udc di Casini e Vietti come “ponte” provvisorio per arrivare poi una volta per tutte allo scudo costituzionale al premier. Nelle schede riassuntive finali è possibile intravedere gli orientamenti dei singoli giudici. Una situazione di quasi pareggio che, semplificando, vede 8 membri della Consulta contrari alle legge che prevede un’automatismo sulle ragioni del legittimo impedimento “inconciliabile” con la Carta e sette favorevoli. Un quasi pareggio che si risolverà solo nella camera di consiglio di giovedì, quando si arriverà alla conta finale. C’è, in queste ore, anche chi prevede una sentenza “addittiva”, che , uscendo dal solco della legge del 7 aprile, potrebbe prevedere punto per punto quando può essere applicato il legittimo impedimento. Una sentenza, questa, che indicherebbe esattamente la strada che il Parlamento dovrebbe percorrere per una legge costituzionale questa volta inattaccabile. Ma, sia in questo caso che in caso di pronunciamento negativo, il destino processuale di Berlusconi tornerebbe nelle mani dei singoli Tribunali che dovranno ogni volta decidere sulla legittimità dell’impedimento presentato. E per lui, naturalmente, sarebbe una sconfitta. L’aria che tira nel Csm è piuttosto brutta per il Cavaliere, poiché, proprio in queste ore, rifererendosi alle parole pronunciate lo scorso 3 ottobre dal premier, l’alta corte, ha approvato a maggioranza, con il solo voto contrario del laico della Lega Matteo Brigandi, un documento in cui si afferma che Silvio Berlusconi ha denigrato con accuse infondate il sostituto procuratore di Milano Fabio De Pasquale, pm del processo Mills e tutta la magistratura nel suo complesso. La pratica a tutela di De Pasquale era stata aperta il 18 ottobre scorso su richiesta di tutti i consiglieri togati e del laico del Pd Glauco Giostra: le “gravissime” dichiarazioni del presidente del Consiglio “minano la credibilità delle istituzioni e rischiano di delegittimare la magistratura tutta”, scrissero allora i promotori dell’iniziativa. E non è finita per i problemi attuali ed irrimandabili del premier. La Lega gli ha dato 3 settimane per l’attuazione del Federalismo, l’UDC continua a rispondergli picche circa l’ingresso nella sua coalizione e non pare dare i risultati attesi la “campagna acquisti” di cui è protagonista in questi giorni. Tutto questo lo convince a radicali cambiamenti di rotta, fino a voler addirittura cambiare il suo partito. “Presto fonderò un nuovo partito” ha detto nella conferenza stampa di fine anno e sembra, secondo l’agenzia stampa “Dire”, che ha pubblicato sul Web anche quello che dovrebbe essere il simbolo, il nuovo partito si chiamerà “Italia”, niente “Popolari”, ma un nome ancora più asciutto e lontano dalla sigle partitiche di cui il Cavaliere si dice stanco da tempo. Tant’è, raccontano da via dell’Umiltà, che tra i nomi scartati ci sia stato anche quello di “Viva l’Italia”, per via dell’acronimo poco attraente di Vli. C’è anche sul tavolo il non irrisorio problema Tremonti, per reperire i fondi necessari alla riforma Federale e alle altre riforme che il Cavaliere ha promesso. Il giorno giusto per l’incontro, dicono su Repubblica e La Stampa, potrebbe essere proprio quello del verdetto della Consulta: giovedì, quando Berlusconi sarà rientrato a Roma dall’incontro a Berlino con la Merkel. Scrive Amedeo La Mattina che scopo di questo incontro sarà vedere se davvero il ministro dell’Economia intende svolgere il ruolo del “facilitatore” dell’allargamento della maggioranza e dell’approvazione del federalismo fiscale, oppure continuare a tenere chiusi i cordini della borsa. Sul fronte, poi, di possibili sostegni, Casini afferma che allo stato attuale “è molto difficile votare sì” ai decreti attuativi, ma Calderoli sta lavorando sodo per venire a capo della trattativa. Mettere alla prova Casini significa non votare la mozione di sfiducia al ministro Bondi e avere un atteggiamento morbido sul federalismo fiscale. Pochi giorni ancora per discutere, per capire cosa vuole fare il Terzo Polo. Oggi, pare, Berlusconi vedrà il governatore Lombardo, anche lui pressato dai suoi deputati per un accordo con il Cavaliere. Circola la voce di una proposta che Berlusconi gli farà: mettere fine all’esperienza della giunta siciliana allargata al centrosinistra e dare vita a una nuova alleanza fra centrodestra e Terzo polo. Se questa proposta non verrà accettata, il premier aprirà la porta a parlamentari dell’Mpa pronti a fare il salto della quaglia. Passando alla spinosa questione Fiat, il turbinio di notizie ed avvenimenti che stanno interessando la galassia della più importante industria italiana, crea un clima di forte tensione e grande incertezza, anche se il titola si apprezza grandemente in borsa. Il ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta, ha detto a Rainews24, che “quello che avviene a Mirafiori è uno scontro ideologico e simbolico, non sindacale”, aggiungendo che “clausole molto più impegnative si ritrovino in centinaia di contratti, come quello tessile, sottoscritti anche dalla Cgil”. “Capisco i critici di Marchionne, le rinunce e le richieste sono molte. Ma il piano di Marchionne può offrire garanzie a lungo termine”, afferma Ferdinand Dudennhoeffer, esperto tedesco del comparto auto, in un’intervista a La Repubblica. “Il rischio, se la linea di Marchionne non passa – aggiunge Dudennhoeffer – e’ che la Fiat o non ce la faccia o lasci l’Italia. Non credo abbia senso per l’Italia andare verso scontri e scioperi, i perdenti sarebbero non solo la Fiat ma i lavoratori, i loro figli e i loro nipoti”. Invece con l’accordo, l’azienda potrebbe stare sul mercato ancora “15, 20 o 25 anni”. Dal salone dell’auto di Detroit (città in cui ha casa ormai da tempo), Sergio Marchionne dice che ormai c’è poco da discutere, se l’esito del referendum sarà negativo – ovvero se non si arriverà all’obiettivo del 51% – l’investimento sarà trasferito altrove, “le possibilità sono moltissime”, il Canada o gli Stati Uniti per esempio. “Non voglio entrare in polemica con Landini (il segretario generale della Fiom), perché non risolviamo niente, ma è completamente impossibile discutere con qualcuno che consideri qualsiasi cosa che facciamo noi illegittima, finanche il referendum voluto dai sindacati”, ha detto l’amministratore delgato della Fiat, che ha annunciato l’acquisizione del 25% di Chrysler e dell’intenzione di raggiungere la maggioranza entro l’anno . Il Salone è stato anche l’occasione per fare chiarezza su alcune indiscrezioni circolate negli ultimi giorni: “ci teniamo tutto, anche se ci offrono un sacco di soldi”, ha detto il presidente di Fiat John Elkann, sottolineando che “non si vende niente, assolutamente niente, chiuso il discorso Ferrari e quello di Iveco, teniamo stretto tutto a cominciare dall’Alfa Romeo”. Anzi, al contrario, potrebbero esserci opportunità di acquisto: anche se al momento infatti non ci sono trattative in corso, se Volkswagen “volesse cedere le sue attività nei camion, Fiat Industrial sarebbe un potenziale acquirente”. “Care compagne, cari compagni”, comincia la lettera aperta su ‘L’Unità’, del leader della Cgil, Susanna Camusso, ai delegati di Mirafiori in vista del referendum sull’accordo firmato da Fiat e sindacati dei metalmeccanici esclusa la Fiom. Una lettera per ribadire “senza alcun dubbio” che la Cgil è per il ‘no’ all’intesa voluta dal Lingotto e sottoscritta “da altri”; ma anche per sollecitare la ricerca di una soluzione, nel caso in cui dovessero vincere i ‘sì’. La funzione di un sindacato, sottolinea la Camusso, “è organizzare, tutelare i lavoratori, proporgli le vie del cambiamento, del miglioramento delle loro condizioni. Posizione ambigua e davvero poco chiara quella della CGL, che pare giocare due diverse partite. Nella sua lettera la Camusso argomenta che ciò: “che proponiamo a tutte e tutti è quella della ricerca della soluzione migliore”. Quell’accordo infatti, se vinceranno i sì, “si applicherà” e “come ottempereremo allora alla nostra funzione di rappresentanza dei lavoratori? Insieme – prosegue – dobbiamo interrogarci per traguardare un futuro dentro le aziende Fiat”. Appuntamento a dopo il referendum dunque, “organizzeremo per i giorni successivi”. Ma questo non vuol dire nulla e rischia di confondere tutti. Molto meglio la secca chiarezza di Marchionne che dice una cosa sola: o accettate le mie condizioni o me ne vado altrove. Allo stato attuale le cose sono solo due. Ho essere dalla parte di Marchionne, che per garantire il lavoro propone regole molto dure per i lavoratori o essere contro quella che rappresenta, da noi, una vera ri o involuzione delle regole lavorative ed occupazionali. E, per completare il clima di fuoco di questi giorni, l’azzeramento, annunciato oggi dopo una consultazione fra Alemanno, Gasparri e Cicchitto, della giunta comunale di Roma, con la nuova formazione, che sarà presentata ufficialmente ancora giovedì che, pertanto, sarà certamente il giorno più caldo della settimana e, probabilmente, del mese e portando l’ordinativo di 13, al solito, per alcuni poterà bene e per altri male, anzi malissimo. Anche in questo caso non si tratta di un semplice rimpasto atteso e richiesto da mesi, non solo per dare un cambio di marcia al governo capitolino ma anche per allargare la maggioranza ad altri partiti, ma di una vera e propria rivoluzione dietro a cui ci sono chiari motivi non tecnici, ma esclusivamente politici. Alemanno si è reso molto più autonomo nella formazione della nuova squadra di governo e dunque nel creare quell’equilibrio tra le varie correnti del Pdl che, dopo l’uscita di Fini e soprattutto la mancata presentazione della lista Pdl a Roma nelle regionali di marzo, è venuto a mancare. Non a caso, il sindaco ha dato mandato, e anche qui segna una novità nella prassi politica e amministrativa della Capitale, al senatore e vicesindaco Mauro Cutrufo, all’eurodeputato e assessore alle Politiche abitative, Alfredo Antoniozzi, al capogruppo Pdl in Campidoglio, Luca Gramazio e ai vertici del Pdl di “affiancarlo nelle consultazioni e nelle valutazioni”. Giovedì 13, anche in questo caso, vedremo i risultati.


11 Gennaio 2011

Categoria : Politica
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