Firma tecnica? Impossibile


L’Aquila – (di Betty Leone – Sinistra ecologia e libertà) – DAVVERO UNO STRANO REFERENDUM – Tra una settimana a Mirafiori si svolgerà il referendum per verificare il consenso dei lavoratori all’accordo firmato dalla FIAT e dai sindacati presenti nell’azienda, ad eccezione della Fiom, il sindacato più rappresentativo dei metalmeccanici.
Si tratta di uno strano referendum. Di norma infatti il referendum viene richiesto dalle organizzazioni sindacali con l’intesa che, qualora il risultato fosse negativo, le parti si impegnerebbero a riaprire la trattativa, permettendo così ai lavoratori di esercitare un’influenza reale sulle proprie condizioni contrattuali.
In questo caso, invece, è la FIAT che richiede il referendum e il suo amministratore delegato Marchionne dichiara che, se dovesse vincere il no, l’accordo non sarebbe più valido e la FIAT investirebbe altrove.
Il referendum dunque non è più uno strumento di partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali ma diviene un mezzo di pressione per ottenere, con una pratica di falsa democrazia, il consenso ai piani che l’impresa definisce autonomamente. In questo contesto il ruolo del sindacato non è più quello di difendere gli interessi e i diritti dei lavoratori, ricercando una mediazione con gli interessi dei datori di lavoro, ma è quello di costruire consenso alle scelte padronali.
Si spiega così l’esclusione dalla rappresentanza aziendale del sindacato che non firma gli accordi e che, così facendo, viene meno al solo ruolo che l’impresa è disposta ad accettare.
Riconoscere dunque l’eventuale risultato positivo del referendum equivale ad avallare la trasformazione della natura del sindacato italiano e la perdita del diritto dei lavoratori ad essere rappresentati nelle scelte organizzative e produttive dell’impresa, mentre la stessa Costituzione Italiana riconosce, all’art. 46, “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Non è questo l’unico motivo che ostacola la possibilità di una firma tecnica (ma che significa poi una “firma tecnica”, quando Marchionne ha più volte dichiarato che o si accetta l’accordo così com’è o non ci saranno gli investimenti promessi?); è lo stesso processo che ha portato all’intesa Fiat – Cisl- Uil- Ugl-Fismic a rendere inaccettabile il riconoscimento dell’accordo, sia pure in via subordinata all’approvazione da parte dei lavoratori.
Non si può infatti sottovalutare che la scelta di Marchionne di produrre una rottura nel sistema di relazioni industriali è stata sempre appoggiata dal Governo ed è coerente con il disegno del ministro Sacconi di rivisitare tutto il sistema delle tutele pubbliche di welfare, sia lavoristiche che di cittadinanza, per favorire il sistema privato delle assicurazioni contro i rischi, considerati semplici accidenti dei destini individuali piuttosto che derivati dell’organizzazione sociale ed economica (ricordate la campagna televisiva “la salute nei luoghi di lavoro la difende chi si vuole bene”?).
La fuoriuscita della Fiat dal contratto nazionale è la naturale conseguenza dell’analisi, che ha guidato l’accordo separato interconfederale riguardante il modello contrattuale, secondo cui, per aumentare la produttività, bisogna privilegiare la contrattazione aziendale fino al punto da legare al risultato di impresa anche il grado di tutela individuale, affidando agli Enti Bilaterali la gestione degli ammortizzatori sociali e delle assicurazioni sanitarie, e ai fondi privati la tutela del reddito pensionistico. E’ la fine dello Stato sociale universalistico e il ritorno al sistema mutualistico, in cui i lavoratori più forti saranno i più tutelati ed i più deboli, che avrebbero bisogno di maggiori protezioni, i meno tutelati.
La Cgil e la Fiom non hanno mai condiviso questa scelta e questa visione del mondo alla rovescia; al contrario hanno sempre sostenuto la necessità di un sistema solidaristico che dia uguaglianza di diritti a tutti i lavoratori: tanto più in Italia dove il tessuto produttivo è costituito in prevalenza da piccole e piccolissime imprese.
La firma “tecnica” all’accordo Fiat equivarrebbe ad accettare l’idea che le ragioni del mercato annullano le ragioni delle persone e che la solidarietà è incompatibile con la modernità.
Fino a quando potrà resistere un sindacato che non si ponga la questione di fondo di come l’attuale sistema economico sia ormai incapace di espandere il benessere e crei un numero sempre crescente di emarginati?
Capisco le ragioni di chi sostiene che la firma di adesione all’accordo eviterebbe l’esclusione della Fiom dalla fabbrica e renderebbe possibile aprire contraddizioni tra i lavoratori, facendo progredire proprio la critica a questo sistema. Ritengo tuttavia questa ipotesi inattuabile per la gravità delle questioni che ho illustrato e per il clima di ricatto in cui si è svolta tutta la trattativa e la scelta del referendum. Firmare ora l’accordo equivarrebbe a dire che non c’è altra strada al di fuori di quella indicata dalla Fiat e questo aumenterebbe il clima di paura alimentato dalla minaccia della perdita del posto di lavoro.
Ritengo più fecondo il lavoro, fin qui fatto dalla Cgil e dalla Fiom, di cercare alleanze con i movimenti di lotta che si organizzano a vari livelli della società, studenti che difendono la scuola pubblica, cittadini che difendono i presidi sanitari pubblici, donne che si oppongono allo smantellamento dei consultori; non tanto per allargare una battaglia di resistenza ma per proporre un’alternativa a questo modello di sviluppo attraverso una piattaforma in grado di promuovere l’autonomia e la libertà di donne e uomini, partendo dalla ridefinizione dei beni comuni.
Qualcuno potrebbe obiettare che questo è un compito della politica e non del sindacato, ma diritti del lavoro e diritti di cittadinanza sono indivisibili e perciò le strade per conquistarli si incontrano.


09 Gennaio 2011

Categoria : Economia
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