Lo scenario di una via dolorosa
L’Aquila – Don Claudio Tracanna ha raccontato così all’Avvenire il “suo” terremoto: “Domenica notte, sono le 3 e mezza e di colÂpo mi sveglio… Cosa succede? Sarà la soÂlita scossa, che ormai ci perseguita da più di un mese. Al cuore mi sale un pensiero istintivo, coÂme sempre, «Signore pensaci tu, sant’Emidio, nostro protettore contro i terremoti, fai qualÂcosa ». Però stavolta è diverso, ecco un boato, la scossa ancora dura, non finisce più… Mi alzo, e lo spettacolo appare spaventoso: gli utensili da cucina, i soprammobili, i libri, tutto finisce per terra. Un altro pensiero istintivo: afferro il celÂlulare e chiamo mia madre, che trovo in preda a una crisi di panico anche perché all’Aquila è andata via pure la luce, e per chi come lei abiÂta ai piani alti diventa pericoloso scendere le scale per mettersi in salvo. Subito mi chiama un amico sacerdote, poi un altro e un altro anÂcora. Le domande sono sempre le stesse, anÂgosciose: «Come stai? La casa? E la tua chiesa, in che condizioni è?».
Esco e trovo alcuni miei parrocchiani fuori, in piazza, a Pìzzoli. Vedo le luci del municipio acÂcese, e comincio a capire che la cosa è veraÂmente seria. Nella mia parrocchia sembra non sia accaduto nulla di grave, e allora mi dirigo verÂso L’Aquila, a vedere come vanno le cose a caÂsa dai miei cari, come sta l’arcivescovo, e i miei confratelli… Davanti all’ospedale vedo una diÂstesa di lampeggianti che illuminano l’ingresÂso, e questo non fa che accrescere la preoccuÂpazione. Anche dai miei la gente è tutta fuori, impaurita, con le coperte al collo per il freddo pungente. Faccio salire mamma in macchina, poi passo da un amico. Il traffico della città è in tilt, il centro è inaccessibile, lo spettacolo è quelÂlo di una via dolorosa: case crepate, alcune raÂse al suolo, persone in crisi di panico, c’è chi piange, e viene consolato.
Giriamo tutta la notte aspettando un po’ di luÂce che venga a calmare il nostro cuore. Un giÂrovagare silenzioso, interrotto solamente dai notiziari ai quali ci aggrappiamo per capire fiÂno a che punto questo terremoto abbia voluto colpirci. Un silenzio fatto di tensione, e di preÂghiera. La notizia di quattro bambini morti ci raggela. «Perché Signore? Perché proprio loro, perché il gigante terremoto ha scelto di comÂbattere con chi non ha forza?». Finalmente si scorge l’alba, la luce, adesso forse andrà un po’ meglio. Ma proprio mentre tentiamo di salire in casa, facendoci largo tra i calcinacci, ecco un’altra scossa.
Ora però devo tentare di entrare in centro, voÂglio trovare il vescovo. Lascio la macchina in stazione e a piedi, attraverso la fontana delle 99 cannelle, cerco di raggiungere il duomo. AppeÂna inizio la salita ecco due frati che conosco: uÂno salvo per miracolo, l’altro piange per la facÂciata della chiesa ridotta a metà . Continuando a salire incontro un amico con la gamba che sanguina: in casa l’odore di gas era fortissimo, non riuscendo ad aprire la finestra ha deciso di sfondarla come poteva. Ancora avanti, a fatica. La mia città è spettrale, solo tegole, pietre diÂvelte, palazzi diroccati. Eccomi alla fine in piazÂza Duomo, ecco un amico sacerdote tutto bianÂco per la polvere: il soffitto della sua casa è crolÂlato, ha dovuto scendere dalla finestra con un cordone fatto di lenzuola annodate. «Guarda la cattedrale – mi dice, sconsolato – dovevamo iÂnaugurarla a fine luglio per la Settimana liturÂgica nazionale, invece ora è rimasta solo la facÂciata… ». E il vescovo, dov’è? Monsignor Molinari ha trascorso la notte appoggiandosi a una delÂle automobili parcheggiate lì attorno e per il reÂsto consolando la gente. Vado per salutarlo ma non lo trovo: si è lasciato convincere dalla soÂrella a trascorrere qualche momento nella caÂsa di lei. Sfollato anche lui, penso tra me, come migliaia di aquilani.
Vado a vedere la parrocchia dove sono cresciuÂto: la canonica non esiste più, crollato il preÂsbiterio. E poi la chiesa di San Giuseppe, delle Anime Sante, di Santa Maria Paganica, una seÂquela di ferite aperte. Davanti alla Casa dello studente sento gridare: chiamate un medico, supplicano, serve analgesico per uno degli uÂniversitari rimasti sotto le macerie. FinalmenÂte raggiungo il vescovo, nel giardino della casa dov’è ospite si è creata una piccola Curia d’eÂmergenza, dobbiamo chiamare subito tutti i parroci, capire, sapere. È appena arrivato il reÂsponsabile regionale delle Caritas per coordiÂnare gli aiuti, intanto continuano a giungere le telefonate di solidarietà di vari vescovi. Tutti ci abbracciano, e questo rincuora. È il momento di darsi da fare, con un’indicibile ansia nel cuoÂre. E intanto la terra non si ferma, trema, trema senza sosta”. (nella foto: don Claudio Tracanna)
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