I cibi, il Natale e d’Annunzio


Pescara – «Della mia terra d’Abruzzi io avevo freschissimamente serbato nell’anima l’eco delle zampogne natalizie e il miracolo dei ciliegi in fiore e dei ciliegi in frutto, il gran miracolo bicolore, il bianco e il vermiglio, ch’era sempre stato la grande incantagione annuale della mia fanciullezza».
Ma del Natale, Gabriele d’Annunzio aveva serbato anche altri ricordi. Nel giugno del 1904, ospite a Pescara della mamma, le aveva detto: «E per Natale poi torneremo al croccante di mandorle, al capitone è vero mamma?».
Il poeta, in realtà, non tornò più a mangiare il capitone e il croccante, ma i cibi della festa furono sempre per lui occasione di ricordo. Nelle sue prose, l’Abruzzo della memoria non prescinde mai dalla rievocazione dei sapori schietti e genuini, tipici dei prodotti della terra.
Al Natale del 1927 risale uno dei componimenti dialettali più celebri. Il giorno di Santo Stefano, d’Annunzio aveva incontrato al teatro alla Scala, a Milano, il ministro Giacomo Acerbo. I due avevano parlato del tradizionale cenone di fine anno, tanto diverso da quello di Gardone.
Nella conversazione, ecco fare capolino la porchetta: bastò poco a d’Annunzio per abbandonarsi ai ricordi di quando la domenica mattina, tra le vie a lui care percorse negli anni dell’adolescenza, quel profumo si levava dai banchi della vendita.
Il giorno seguente, rientrato a Roma, Acerbo diede ordine al suo fattore di acquistare un maialino da latte, di farne una porchetta ben farcita di rosmarino, salvia, aglio e pepe, e di recarsi a Gardone per la consegna.
Fu questo il ringraziamento:

Mi sci mannate scta purchette d’óre
che certe te l’ha cotte San Ciatté
che s’arrecorde, Giàcume, de me
che jéve a ffa’ a pretàte e a ffa’ l’amore.

Ma, dimme, chi ci’ à mésse sctu sapore
de «Córse Gabbriele Manthoné»?
Ah, Giacumìne, nen sacce pecché
mentre che magne, me piagne lu córe.

Sunéve, la duméneche, la bbande.
Li Piscarise, ’nghe lu piatte ’n mane,
currévene a cumpràrsene ’na fette.

Che è e che nen è? ’Na cósa grande!
’Nu bbéne che lucéve da lundane!
S’avé ’ffacciate Donna Luisette.

28 dicembre 1927
Gabriele de l’Annunzie

Durante gli anni del Vittoriale, altri amici cercarono di lenire la solitudine dello scrittore inviandogli alcuni prodotti abruzzesi: tra costoro c’erano Amedeo Pomilio, mago distillatore dei liquori Aurum, Cerasella e Mentuccia di San Silvestro, e Luigi D’Amico, creatore dei dolci Parrozzo e Senza Nome.
E proprio al Parrozzo è legato uno degli ultimi ricordi di Natale:
«È finita la vigilia. Forse a quest’ora tutta la gente è in gozzoviglia. Le Réveillon. Io sono digiuno da 48 ore. Vado a cercare un parrozzetto. Lo apro, lo mangio. Assaporo in esso – sotto la specie dell’amarezza – sub specie amaritudinis – il Natale d’Infanzia».
Enrico Di Carlo – Dal libro Gabriele d’Annunzio e la gastronomia abruzzese (Verdone, 2010)
(Ndr) – A Enrico Di Carlo gli auguri della nostra testata sperando che continui a portare avanti sempre la sua azione culturale.


06 Dicembre 2010

Categoria : Storia & Cultura
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati