“Quando eravamo tenaci precari…”
Merano – I RICORDI DELL’ALTRA VITA DA SERGIO BARBERIO – Per un inimitabile “amarcord” che zampilla dal cuore, dal collega Sergio Barberio riceviamo: “Non so più da quanto tempo desideravo scrivere a Gianfranco Colacito dopo quel maledetto 6 aprile 2009. Con Gianfranco, una vita fa, abbiamo diviso anni di amicizia e frequentazione redazionale, entrambi tenaci “precari” del giornalismo aquilano poi, per singolare coincidenza, contrattualizzati insieme ma lungo vie professionali diverse. Altri tempi. Erano gli anni in cui il giornalismo a L’Aquila era legato ai nomi di Remo Celaia e di Walterino Capezzali a “L’AquilaSette” , dell’indimentabile Guido Polidoro al “Messaggero”, erano gli anni in cui nella redazione aquilana de “Il Tempo” lo scettro era in mano al “burbero benefico” Enrico Carli, un galantuomo, in cui vivevano pacificamente Silvio Graziosi e Franco Giancarli ed all’apparente durezza caratteriale di Colacito si contrapponevano la grazia e la dolcezza della compianta Maria Pia Renzetti e di Annarita Scenna.
Erano i tempi del rugby di Di Zitti e Cucchiarelli, di Aio e di Pacifici e, sotto ai portici del bar Scataglini, cui si contrapponeva L’Aquila Calcio di Ubaldino Lopardi, di Guiduccio Attardi, di Bettini e Tomassoni e del bar dei fratelli Sansone, ai Quattro Cantoni, nel quale si attendeva la domenica sera, con l’inossidabile Dante Capaldi, che il telefono squillasse per il risultato della trasferta rossoblu. Erano gli anni delle polemiche con il Questore “facente funzioni” Romanelli nei giorni caldi della rivolta per il capoluogo, erano gli anni in cui – non accadendo sostanzialmente nulla di importante – un suicidio nel lago di Campostosto reggeva la cronaca per una settimana o l’omicidio di un sarto vicino alla stazione per un mese.
Erano i tempi in cui, con Colacito, si facevano interminabili “vasche” notturne sotto i Portici, dopo la chiusura delle pagine aquilane, con una Tuborg al “Settenani” se era estate o, se inverno, si andava dal mitico Mario Plazzi alle “Salette Aquilane”: “scrivi”, gli dicevamo da eterni squattrinati, “che a fine mese ti paghiamo” e lui scuoteva la testa e scriveva…
Poi le strade, come dicevo, si divisero. Gianfranco restò a L’Aquila ma in qualità di corrispondente – e che corrispondente – dell’Agenzia Italia mentre il sottoscritto passò dapprima a Roma nella sede de “Il Tempo”, poi al Gruppo L’Espresso ma con sede all’ “Alto Adige” di Bolzano. Una vita fa. Ma a L’Aquila tornavo puntualmente. A L’Aquila è sepolta la mia mitica Mamma, a L’Aquila vivono – o devo dire vivevano, visto che ormai la famiglia è sparpagliata su diverse residenze – le mie sorelle Loredana e Sabina, mio fratello Nino ed i miei numerosi nipoti. Ero stato a L’Aquila tre mesi prima del terremoto, il giorno dell’Epifania, e l’ultimo ricordo vivissimo che ho nella memoria è quello di un centro storico invaso dalla gente e dalle bancarelle, di una città che, almeno in quel giorno, era più viva che mai.
Poi ci sono tornato, più volte, dopo quel maledetto 6 aprile. Sapevo cosa avrei visto, la lettura quotidiana del giornale on-line di Colacito mi aveva preparato al peggio ma il peggio teorico non è mai orribile come quello reale. Sono lontanissimo da L’Aquila in distanza geografica ma sono sempre stato con gli aquilani dopo la tragedia, mi sono dato da fare come avrebbe fatto chiunque e devo dire che le due province autonome di Bolzano e Trento hanno sempre generosamente colto ogni sollecitazione di intervento loro rivolta. Ho sempre seguito, giorno dopo giorno, quello che Gianfranco scrive quotidianamente e se ho deciso di farmi vivo con lui è perché sono convinto che sta facendo un lavoro di primaria importanza.
Del terremoto, della ricostruzione che non parte, dei problemi e dei disagi degli aquilani si parla sempre di meno, a livello nazionale, e – vista da lontano – sembra quasi una situazione ormai sanata quando in realtà è una colossale mistificazione. Colacito ed il suo giornale sul web sono una voce potente, graffiante, tenace, che riesce ad arrivare dritta al cuore di chi vive lontano. Sul “Corriere della Sera”, tempo fa, si leggeva “Gli uomini sono come le case. Qualcuna vacilla, qualcuna crolla, qualche altra ancora non ha alcun danno. Ma prima di ricostruire le case bisogna ricostruire gli uomini”. Forse la sua casa sì, ma Gianfranco non ha bisogno di essere ricostruito. E’ uno dei pochi esempi di giornalismo vero, determinato, ruggente, senza timori e di grande, esemplare chiarezza. Come è sempre stato. Ecco perché gli aquilani devono essere grati agli uomini come Colacito. Quelli che non si rassegnano, che continuano a combattere e che fanno della speranza la propria bandiera color volontà”.
(Ndr) – Caro Sergio, eravamo tenaci precari, ma la vita aveva un altro sapore. Oggi chi è nelle nostre stesse condizioni di allora, soffre da precario, ma non nel lavoro (che è già una piaga psicologica e sociale), bensì nel contesto generale, dove tutto è quasi, circa, pressappoco, a cominciare dalla ricostruzione che dopo venti mesi, è ancora solo fatta di parole. E’ vero, non ci rassegnaimo e tentiamo di tenere duro per contribuire alla rinascita collettiva. Spesso essere ruvidi e senza peli sulla lingua porta solo… all’emarginazione da parte dei poteri. Ti guardano come una bestia rara. Se non ci fossi, sembra dirti qualcuno, si starebbe meglio… Ma ci siamo e c’è un’iniezione di ricordi e di commozione come quella che ci hai inviato. Speriamo non l’unica. Saluti alla generosa, fraterna terra in cui abiti. Ne sappiamo qualcosa.
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