Cialtroni, mostriciattoli, lacrime mediatiche
L’Aquila – RIFLESSIONI E MACERIE DI DEMOCRAZIA – (di Antonio Gasbarrini) – Hanno fatto il diavolo a quattro, vescovo in testa, per criminalizzare l’SOS “Macerie di democrazia” lanciato all’Italia intera dall’assemblea dei cittadini aquilani. Hanno provato in tutti i modi a spaccare la comunità terremotata: da una parte i bravi e buoni cristiani grati al Governo; dall’altra sinistrorsi eversori pronti a scendere in piazza per reclamare inesistenti diritti. Hanno evocato scenari di guerriglia urbana, quasi che L’Aquila fosse ancora una città pulsante, con vetrine da sfasciare e macchine da incendiare, e non già un indecoroso accumulo di rovine. Hanno pregato perché piovesse a dirotto e ci sono riusciti. Solo che quando l’acqua viene giù a catinelle, l’inesorabile detto popolare è: “Governo ladro!”. Pienamente azzeccato, date le fameliche cricche annidate dentro la Protezione Civile deviata. Pronte ad avventarsi come iene, sin dalle 3 e 32, sulla carcassa dell’ex città-territorio. Quanto ai traditori basisti locali, è meglio non parlarne.
I cecchini governativi dell’SOS appostati sui tetti intubati delle Giunte Regionale e Provinciale avevano sottovalutato la caparbietà, l’orgoglio del “sentirsi aquilani”. Con la schiena dritta e lo sguardo proiettato al futuro. Spingendo in avanti una carriola piena di macerie all’andata. Di sogni al ritorno. Di giovani e donne, innanzitutto.
Lo sprezzante epiteto dei “quattro cialtroni” con cui l’ex prefetto Gabrielli ha connotato a suo tempo il generoso Popolo delle carriole deve avergli portato fortuna. Nonostante il famigerato, ridicolo sequestro delle monoruote eseguito in combutta con il Questore, avvenuto alcuni mesi fa. Sequestro più o meno replicato in via cautelativa e temporanea alla rotatoria di Coppito durante l’ultima “discesa novembrina dal cielo” del sig. b. nella martoriata terra aquilana. Questa volta ha fatto molto bene a tenersi alla larga. Meritata, comunque, l’alta onorificenza duchampiana del “Vespasiano d’oro” attribuitagli ex-aequo con Bertolaso dal MOMA Museum (Museo della MOnnezza e delle MAcerie)..
Le foto di repertorio di quell’infamante giornata propagandistica consumata nel bunker della Guardia di Finanza, documentano l’implacabile atto d’accusa di alcune sardoniche carriole straboccanti di macerie bellamente allineate. Guardate a vista da decine di poliziotti. Altri scatti, l’entrata in scena (nella mischia dei contestatori), del questore in carne ed ossa. Il quale, in perfetto aplomb borghese con tanto di cappello, anziché mediare, s’incaponiva ad aizzava i suoi. Non essendosi qualificato, per i dimostranti altri non era che un sobillatore. Ma tant’è nella martoriata città sallustiana militarizzata da circa due anni! Invece, nulla hanno potuto le forze dell’ordine contro l’ira, ma anche l’ironia, degli aquilani nei confronti del Gentiluomo di Sua Santità, il contestatissimo vice-commissario Antonio Cicchetti: manate e calci sulla sua potente auto, assediata da irridenti coriandoli e banconote false per la sua condanna relativa alla farlocca gestione della Perdonanza. celestiniana.
Tutta la sceneggiatura ideata e propagandata sin dal 6 aprile dal sig. b., si è basata sulla scientifica manipolazione di cifre e dati. La matematica, è arcirisaputo, non è un’opinione. Anche se il plastificato cementificatore di Milano 2 deve aver fatto buona scuola all’ex prefetto – nonché attuale Capo della Protezione Civile – dopo la precipitosa fuga mascherata, per limiti di età, del suo potentissimo predecessore.
Dai 20 ai 25 mila cittadini aquilani-italiani hanno sfilato per circa tre ore sotto una pioggia battente. Ora in silenzio, ora in modo “più incazzato”. Con i loro ritmati slogan hanno rivitalizzato le case-spauracchio di Via XX Settembre (“le case so’ vote! /non so’ come ‘na ‘ote!). Ebbene, come avviene puntualmente in ogni manifestazione, i partecipanti all’SOS “Macerie di democrazia” sono stati pressoché dimezzati dalla Questura. Mentre l’ex prefetto Gabrielli, per ridimensionare ulteriormente un evento epocale che andrà a finire dritto dritto nelle pagine più fulgide del neo-risorgimento aquilano, si affrettava ad ascrivere al Governo successi su successi. Il più importante? Aver dato “una casa” a 30.000 terremotati (a noi risulta una C.A.S.E.t.t.a.) o un “MAPpinu” (il nostro illustre personaggio si faccia spiegare cosa significhi “mappinu” in dialetto aquilano. Per il momento ci limitiamo a dirgli ch’è quasi sinonimo di “cuppino” e “scursinu”. Seguiti entrambi da: “agljiu muccu”, e, preceduti da “nu”, tanto per esser buoni).
Cifre ufficiali alla mano, al 23 novembre la “soluzione alloggiativa” nel comune dell’Aquila – tra C.A.S.E., M.A.P. e affitti, è stata risolta per 18.633 persone su 72.000 (un risicato quarto del totale) – mentre per gli abruzzesi residenti negli altri comuni del cratere la cifra è di 4726, per un totale di 23.359 cittadini “miracolati”. E i numeri-persona dolosamente aggiunti? La differenza di 6.641 inquilini fatti abusivamente alloggiare dal Nostro nelle “case fantasma”, equivale ad un “imbroglio mediatico” del 22,3%. Poca cosa si dirà. Invece, se le cifre dell’ex prefetto fossero state vere, il calvario di circa 2.500 concittadini ancora ospitati in alberghi e caserme sarebbe finito. Contemporaneamente per oltre 4.000 terremotati la reale disponibilità dell’inesistente alloggio avrebbe fatto venir meno, per le casse dell’erario, il pesante onere finanziario tuttora sostenuto per la cosiddetta emergenziale “autonoma sistemazione”.
Lasciamo perdere le amenità matematiche dell’ex prefetto. Andiamo subito incontro alle terroristiche parole dell’arcivescovo pronunciate sia alcune ore prima della manifestazione, che successivamente. Il quale, del tutto ignaro del pacificante e pacificatorio messaggio celestiniano sigillato nella Bolla, ha continuato da par suo, e da lunga pezza ormai, a criminalizzare il Popolo delle carriole, i Comitati di base e l’intera assemblea cittadina. Nonostante gli sia stato affiancato, in qualità di tutore (alias vescovo ausiliare della città federiciana), mons. Giovanni d’Ercole. Evocare per l’SOS “Macerie di Democrazia” il titolo del capolavoro goyano El sueño de la rázon produce monstruos, anzi “mostriciattoli”, significa non aver capito né l’allegoria dell’illuministico pittore spagnolo, né tanto meno il fremito di rivolta e ribellione elettrizzante corpi invecchiati precocemente e anime mandate allo sbaraglio da un irriconoscibile destino. Le sue irridenti affermazioni sul presunto fallimento di una delle più pacifiche e partecipate manifestazioni dell’Italia repubblicana, fanno accapponare la pelle: “Secondo gli organizzatori c’erano ventimila persone. Alcuni miei amici mi hanno confidato che erano molti di meno. Ma viene da chiedersi a cosa sia servita questa manifestazione”.
Un consiglio disinteressato da un non-nemico: l’arcivescovo Molinari non continui a fare l’inconsapevole (?) apripista elettorale del sig. b. Si limiti ad officiare e pregare per il bene del suo impaurito, stordito gregge che da circa due anni non può più brucare l’erba nei prati affogati dal cemento dei cimiteriali anonimi 19 agglomerati. Non li si chiami più “new town”, né tanto meno quartieri: semplici dormitori dove è improbo rintracciare la minima eco dello spensierato, socializzante chiacchiericcio di bambini, giovani, anziani e vecchi nel loro rituale struscio “ajiu corsu”.
Familiare brusio ben conosciuto e praticato, a suo “Tempo”, da Bruno Vespa. Vedere su You Tube il suo volitivo mento mussoliniano tremare, ha colpito molto più delle lacrime. Abbastanza imparentate, per quanto riguarda il suo fuorviante approccio televisivo-giornalistico alla catastrofe aquilana, con quelle del coccodrillo. Sono state sufficienti poche parole del suo amico (il docente universitario Umberto Villante) dette a commento di alcuni flash-video mandati in onda in diretta dalla città morta, a far naufragare la sua rassicurante, quanto mistificatoria rappresentazione mediatica. Tenuta posticciamente in piedi sino al fatidico momento d’un “umano, più che umano” ravvedimento imposto dalla salvifica tirannia dell’inconscio. Tale negativo giudizio, non può essere controbilanciato dalla raccolta di fondi pro-città-terremotata favorita dalla sua intermediazione televisiva. La consistente cifra di 1.600.000 euro (circa 3 miliardi delle vecchie lire) destinata a finanziarie una parte della ricostruzione del Teatro Comunale, non è una bazzecola. Ed allora, si dirà: perché tanta ingratitudine? A queste legittime rimostranze, rispondiamo con un solo esempio. L’ennesima menzogna mediatica del sig. b. sull’avvenuta ricostruzione della città fantasma propinata a metà settembre al giornale francese Le Figaro (En un temps record, nous avons recostruit une ville entière pour ceux qui avaint perdu leur maison. Nous avons aussi reconstruit toutes les écoles détruites”) avrebbe dovuto costringerlo, se non altro grazie alla ritrovata veste dell’aquilanità perduta, ad una pubblica smentita. Non sappiamo se la stessa sia contenuta nel suo ennesimo librone-panettone natalizio. Ne dubitiamo fortemente. Per sola onestà intellettuale assumeremo comunque le notizie del caso da uno dei suoi fedelissimi lettori.
La Magnifica citade dell’Aquila cantata nel Trecento da Buccio di Ranallo, è stata assassinata due volte: dalla Natura prima; dalle falsificazioni mediatiche – tuttora in corso – messe proditoriamente in circolo dal sig. b., ben coadiuvato dai tanti Minzolini di turno. Onore, tanto onore, perciò, alla ex conduttrice del TG1 Maria Luisa Busi, dimessasi dopo le grida di “vergogna” scagliatele contro dagli aquilani infuriati mentre faceva un reportage sul terremoto.
Per un patito dei crimini più efferati come Bruno Vespa, non deve essere difficile esibire nella sua trasmissione di “Porta a Porta” un plastico della città sfasciata. Conducendo però lo spettatore non già nei voyeuristici re/cessi delle villette di Cogne e di Avetrana, ma tra vicoli, piazze, chiese, monumenti non più sua, né tanto meno nostra, “fu città” abitata ora da spettri. I suoi tardivi ultimatum al Governo per il differimento della restituzione delle tasse sospese, fanno pena. Più ancora i proclami pseudorivoluzionari in caso di mancato accoglimento. Si limiti a firmare la legge d’iniziativa popolare che metterà definitivamente K.O. la fallimentare ed antidemocratica gestione commissariale; riprogetti, da aquilano, il futuro della sua città imbalsamata, partecipando alle assemblee tenute nel tendone bianco di Pazza Duomo; sfili infine con la bandiera neroverde (la carriola, non è il caso!), insieme ai suoi concittadini nelle preventivabili manifestazioni popolari che ci saranno a breve per ridare fiato e vita a “L’Aquila bella mé”.
Quanto all’impenitente, mendace sig. b., nella conferenza stampa fresca di giornata, ha avuto una bella faccia tosta nell’affermare: “Sui rifiuti a Napoli e sulla ricostruzione in Abruzzo il governo ha dato una prova straordinaria di capacità, ma la stampa dell’opposizione, la televisione dell’opposizione, si è esercitata in un’opera di distruzione e di mistificazione. […]. Indegna, abietta, criminale, anti-italiana criticare infondatamente quanto fatto dagli uomini dello Stato e del Dipartimento della Protezione civile. Dovremmo denunciarlo tutti quanti e chi è responsabile di ciò dovrebbe solo vergognarsi”. Ci affidiamo all’amplificazione dell’eco per far restituire al mittente, a mo’ d’un sonoro ceffone, le balzane accuse.
Da parte nostra ci rallegriamo, anzi congratuliamo, con i 5.000 cittadini arrivati da ogni angolo d’Italia per testimoniare la loro non-pelosa solidarietà ai 15-20 mila aquilani presenti nel corteo. Hanno così visto con i propri occhi, vis-à-vis, lo sfacelo d’una intera città occultato per circa due anni dai mass-media asserviti al sig. b. Il quale non sarà mai venuto a conoscenza che la famosa dentiera da lui donata alla nonnina della tendopoli, è stata usata con molta parsimonia dall’interessata. Infatti, sono sue testuali parole: “mi ha sempre fatto male, molto male…..”. Quei 5.000 “aquilani ad honorem” hanno intanto cominciato a raccontare la verità a viva voce. Il passaparola sarà travolgente. E, farà – a più d’un turlupinatore – male, molto male: come le mortali valanghe del Gran Sasso.
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