Un altrove dalle orbite vuote


L’Aquila, una sera – (di Gianfranco Colacito) – (Foto: ombre scure all’imbocco delle strade verso il centro: orbite vuote. Sotto il coraggio dei commercianti in via Roma) - Pioggia e traffico forsennato lungo tutte le poche arterie che si debbono percorrere per forza per andare in qualsiasi posto, in una città dell’Aquila diventata per tutti un alienante altrove, un luogo diverso da com’era nell’altra vita. Il cronista ha un’ora da spendere tra un appuntamento e il successivo. La impiega girando per questo altrove che, a sera, è, in centro, un viso dalle orbite vuote e nere. Ricorda, volendo essere meno lugubri di quanto si vorrebbe, il viso di un alieno secondo l’iconografia ufologica: un viso bianco smunto dalle grandi orbite vuote. Gli alieni detti “grigi”, dagli occhi immensi e privi di iride e pupilla. E di umanità.
L’ingresso civico a Gignano è migliorato: finalmente è finita la rotatoria, erba verde e statua bianca illuminata. Almeno ci si vede e non si rischia come prima l’incidente, specie quando piove a dirotto.
Si entra in città, si percorre a rilento e a singhiozzo viale del Cimitero, completamente buio. Altissimi e inutili lampioni perdono la loro luce tra i rami sempreverdi dei cipressi. Nessuno ha capito che dovrebbero essere più bassi e liberati dai rami.
Baraccopoli lungo viale Croce Rossa è ancora spenta: aspetta i clienti della notte, che stasera saranno pochi: fa freddo e piove. Bar e locali sono spuntati come funghi da tutte le parti. Difficile, di solito, scorgere più di uno o due clienti all’interno. Più frequente che i locali siano vuoti. Nel primo tratto di via Roma, riaperto al traffico fino a metà, sfolgorano nella semioscurità dominante luci intensissime: una nuova serie di negozi. Il coraggio lo dimostrano i commercianti, o almeno quelli che possono permetterselo. Gli affitti nei centri commerciali sono da rapina, e loro si arrangiano in via Roma. Più avanti è buio assoluto: una delle orbite vuote e nere dell’altrove.
Via Venti Settembre è una striscia di luce e traffico veloce, sull’asfalto pieno di buche, tra transenne sempre più malconce. Mancano palazzi, crollati o demoliti. A Fontesecco le barriere sotto la frana di Belvedere, che nessuno in tanti mesi ha toccato con un dito. Chi sa quanto ci vorrà per decidere cosa fare e farlo.
Più avanti c’è una serie di orbite vuote e buie: gli accessi verso il centro, tutti sbarrati e tutti senza una luce. Anche corso Federico II, percorribile a piedi, è semibuio. Via S.Agostino è un buco nero senza fondo pieno di enormi contenitori di metallo verde, per i rifiuti. Tra calcinacci, frammenti di muri, transenne malferme, impalcature, rottami e sporcizia il cronista avanza al buio fin quasi alla prefettura. Non si può, ma chi ti ferma, specie sotto la pioggia, alle nove di sera?
La villa comunale è in penombra totale, pochi deboli lampioni arancione sommersi dalle tenebre, nemmeno una persona. Tutto il quartiere è così. Viale Collemaggio è rimasto senza le sue palle luminose: ne sono accese forse la metà, luride, desolanti, la manutenzione e la cura non c’erano “prima”: figuriamoci adesso. Più giù, è quasi completamente in tenebra tutta la zona del maxiparcheggio. Risplende qualche luce a Porta Bazzano, ma non si entra. Un giovanissimo alpino ci chiede dove andiamo. “A fare foto” gli rispondiamo. Si consulta con gli altri, e non dice nulla. Fotografiamo un’altra orbita nera, Costa Masciarelli. Bisognerebbe chiedere, se ci fosse un interlocutore da cui aspettarsi una risposta, per quale inquietante motivo il centro è lasciato senza luce. Il giro notturno è finito, ne abbiamo abbastanza di angoscia. L’altrove riposa, estenuato, nel silenzio della notte. Gli occhi senza pupille non si chiudono mai, le luci moltiplicate dalla pioggia paiono incrudelire. Sulla città che 19 mesi orsono c’era ancora, spadroneggia un silenzio che non pare di questo mondo. Ultimo sguardo dentro il soggiorno di un palazzo sfondato in tutto il piano terra. Ci sono mobili, un quadro sbilenco, vetri rotti, una coperta ormai lurida e un gatto smunto, allucinato, acciambellato tra un lume blu e due libri marciti. Occhi verdi rifrangono le tenue luce della nostra torcia. Abita il vuoto e l’abbandono, e forse sogna i padroni che gli davano da mangiare e una carezza. Avrà dimenticato come si fanno le fusa. “Animula vagula blandula”: ci tornano alle labbra le melanconiche parole di Marco Aurelio. Non lo siamo tutti, come quel gatto?


23 Novembre 2010

Categoria : Cronaca
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