Il cinema si rivolta, la cultura si frantuma
(di Carlo Di Stansilao) – In subbuglio il mondo del cinema. Dopo l’occupazione del red carpet inaugurale del recente Festival di Roma, si è dato appuntamento ieri alle 18 a Piazza Montecitorio per poi spostarsi alle 21 a Fontana di Trevi, per un sit-in con collegamento in diretta alla trasmissione Annozero di Michele Santoro. Le 32 Associazioni del Movimento “Tutti a Casa”, insieme a tutti i lavoratori del settore, ai cittadini e alle sigle sindacali, hanno proclamato una nuova giornata di mobilitazione in piazza; il tutto per protestare contro l’incuria del governo nei confronti di un settore che da lavoro a 250.000 persone ed è riconosciuto per il suo valore in tutto il mondo. Ciò che il movimento chiede, è l’approvazione delle leggi quadro di Sistema dei Settori dello Spettacolo dal vivo e Cineaudiovisivo, per definire titolarità e prerogative per l’intera filiera della Repubblica (Stato, Regioni, Province, Comuni) e per la piena applicazione del titolo V della Costituzione e suo adeguato finanziamento. Inoltre riportare il Fus 2011 almeno al livello del 2008, ossia circa 450 milioni di euro. La conferma del rifinanziamento per il prossimo triennio degli incentivi fiscali già esistenti (Tax Shelter e il Tax Credit) per la produzione cineaudiovisiva e per favorire il processo di digitalizzazione appena avviato delle sale cinematografiche, in assenza del quale sono a rischio i livelli occupazionali di tutta la filiera. L’attivazione di analoghi provvedimenti di defiscalizzazione anche per lo Spettacolo dal vivo5. Contro la delocalizzazione delle produzioni cineaudiovisive e per favorire la valorizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture dell’Industria Cineaudiovisiva (ad es. teatri di posa), a partire dal recupero pieno di Cinecittà. La modifica del ddl cinema per riorganizzare risorse e incentivi volti a rilanciare l’intero Settore. I rinnovi dei contratti collettivi nazionali delle fondazioni lirico sinfoniche e dei teatri di prosa e della produzione cinematografica (troupe).Interventi che contrastino gli effetti della legge 100/10 sulle Fondazioni Lirico Sinfoniche. L’apertura di un tavolo Ministeriale per accedere a tutti gli strumenti di protezione sociale (a partire dalle figure artistiche) e per attivare politiche di riemersione per i settori della Produzione Culturale e dello Spettacolo per la tutela dei lavoratori stabili e precari del Settore. Un tavolo interministeriale che coinvolga il Ministero dei beni e attività culturali, dell’Economia, del Lavoro, e del Turismo e le Infrastrutture e attività produttive, nonché l’ANCI e la Conferenza Stato-Regioni, per attivare le sinergie e le semplificazioni amministrative fondamentali per la riorganizzazione del Sistema Infine, per il Lazio, una legge regionale per la promozione e lo sviluppo delle attività cinematografiche ed audiovisive a tutela di tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione e all’esercizio. Nella diretta con Anno Zero il ministro della cultura Bondi, già a mal partito circa gli strali relativi al’incuria di siti museali come Pompei che, secondo l’intervenuto Philippe Daverio, dovrebbero essere tolti al’Italia ed affidati ai casci blu della’ONU, è stato attaccato duramente dal movimento dei cineasti che, profittando di un suo vistoso errore, hanno potuto dire, per bocca dell’attore Giulio Scarpati” che lui è un ministro “che non conosce ed ama il nostro cinema”. Dal canto suo Bondi ha dichiarato il suo impegno per il ripristino di Tax Shelter e il Tax Credit, ma il regista Sorrentino gli ha replicato che l’impegno non basta e ci vogliono invece precise garanzie, in un settore che crea cultura e che langue con un finanziamento che è il più basso d’Europa (1,8 miliaridi, di cui 1,2 per gli stipendi dell’apparato burocratico, contro gli 8,5 della Francia, gli 8 della Germania ed i 5 dell’Inghilterra pure in piena austerity). Risparmiare sulla cultura, hanno detto in molti di “Tutti a casa”, è funzionale ad un governo che ha fatto tagli su scuola, università e ricerca, laddove altri stati proprio su questi settori hanno più investito in tempo di crisi. Sempre Nicola Sorrentino ha poi dichiarato che, forse, la riduzione di investimenti sul cinema si deve al fatto che i più recenti film italiani sono molto più mordaci e taglienti di certa televisione edulcorata ed istupidente. Ma Bondi ha replicato che: “E’ assurdo pensare che il governo non vuole finanziare il cinema perche’ ne ha paura”. Di Diverso avviso Stefania Sandrtelli, che a margine della conferenza stampa di presentazione del film di Luca Lucini La donna della mia vita, di cui è protagonista con Alessandro Gassman, ha detto che esistono precisi diktat per fermare il cinema, o per tarpare le ali a certo tipo di cinema. Durante la stessa conferenza stampa, sulla protesta hanno anche preso la parola Alessandro Gassman e il produttore Marco Chimenz di Cattleya. L’attore, protagonista lo scorso weekend della rassegna Panorama sull’Autore di Assisi dedicata a lui, al padre Vittorio, alla sorella Paola e al fratello Jacopo, ha ribadito che il padre aveva previsto la crisi. “Lui come Steno e tutti quelli della sua generazione – ha detto Gassman – hanno sempre parlato di crisi. Io sento questi discorsi da 45 anni. Ora e’ arrivata quella vera. Il problema e’ che ai suoi tempi, quando il cinema era in salute, tutto andava bene anche perche’ si capiva l’importanza della macchina culturale del Paese, cosa che oggi purtroppo si capisce molto meno”. Per lunedì 22 novembre è prevista ancora una manifestazione unitaria SLC-CGIL, FISTel-CISL, UILCOM-UIL Rona e Lazio, con sciopero nazionale generale della produzione culturale e spettacolo e vedremo come se la caverà il governo di fronte a fatti drammatici ed inoppugnabili: negli ultimi due anni il calo delle giornate di lavoro è stato intorno al 30 per cento dato che, se aggiunto, alla delocalizzazione arriva al 50 per cento ed i finanziamenti hanno raggiunto il record in negativo. Siamo d’accordo con Paolio Virzì: il cinema italiano sta andando bene, ma rischia di chiudere per la sciatteria e l’arroganza di chi non capisce che rappresentiamo l’anima del paese o forse lo capisce benissimo e per questo vuole tarpargli le ali. Credo infatti facciano paura film quello annunciato da Sorrentino, ispirato al libro Cafonal di Roberto D’Agostino, che intende avvicinarsi, nelle intenzioni di rappresentare su pellicola la società italiana, alla Dolce vita di Federico Fellini, con un aggiornamento sulla volgarità di questi anni di berlusconismo. D’altra parte l’ha fatto intendere chiaramente l’estroso conduttore di Passepartout, educativo programma di Raitre, gli edifici antichi sono tutti destinati a rovinare e persino il cupolone di Firenze, lungi dall’essere eterno, prima o poi crollerà. Per ovviare a tale destino c’è solo una soluzione: fare “come col Pantheon, a Roma, dove si pregano gli dei nello stesso modo da 1900 anni”. Per tutelare un edificio bisogna dunque “mantenergli una funzione o assegnargliene un’altra”, in definitiva fare in modo che sia sempre “abitato” e frequentato. Ma cosa volete che importi ad un governo che, per definizione, a partire da Brunetta, non frequenta la cultura? Con questo governo, dice sempre Daverio fra il serio ed il faceto, potremmo fare anche una cosa più spiritosa: “Prendere due sassi pompeiani della Schola Armaturarum e seppellirli simbolicamente sull’Altare della Patria, accanto al Milite ignoto”, a memoria del “nuovo martire caduto in questa Patria”. Quanto poi alla proposta, sortita dalla bocca del direttore de La Padiana, di privatizzare i “beni culturali”, sempre Daverio avverte che è una “stupidata” dovuta a chi pensa di trasformare il “prosciutto pubblico in affettata privata”, poiché il Italia, da sempre, “il privato si mangio tutto il mangiabile”. Lo scrive anche Marecello Veneziani su il Giornale di oggi. La destra ha sempre dimostrato totale insensibilità verso chi azzarda progetti e strategie, abbandono della cultura negli spazi pubblici (tv, scuola, università), gioco di rimessa, per poi denunciare l’uso fazioso degli spazi pubblici da parte della sinistra. E così, in questo vuoto, la cultura è lasciata franare o morire, fra le ortiche.
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