L’opinione – Ricostruzione, politica allo sbando
(di Giampaolo Ceci) – A prescindere dalla manifestazione di ieri, a quasi 19 mesi dal sima si può iniziare a fare valutazioni e analisi “politiche” su quanto è accaduto all’Aquila. E’ auspicabile anche che ciascuna forza politica si cimenti nella stessa analisi, almeno per rendere note le proprie valutazioni sulle motivazioni che hanno portato a questa situazione paradossale se non addirittura ad individuare le responsabilità e le cause, per poterle rimuovere.
Bisogna ricordarsi che il sisma del 6 aprile ha colpito una città il cui tessuto politico era già lacerato da polemiche e litigi che si erano già manifestati nelle ultime elezioni comunali.
Bisogna ricordarsi anche che la giunta cittadina, durante il sisma, era di centro sinistra, come di sinistra era quella della Provincia Aquilana. La Regione invece era governata dal centro destra.
Il sisma avrebbe dovuto e potuto essere l’occasione per ricompattare la città attorno sui suoi problemi storici più seri, fornendo l’occasione di un confronto costruttivo che lasciasse da parte le polemiche e le appartenenze ideologiche che avevano caratterizzato la campagna elettorale comunale. Invece no. Troppo profondi gli asti e le polemiche o forse peggio: troppo forti i personalismi rispetto ai problemi della città.
Solo nei primi mesi dal sisma la polemica politica si è attenuata. Il Governo, tramite la protezione civile, ha preso in mano la situazione operando quasi indisturbato. Ha organizzato l’emergenza, il G8 e, tra gli sfottò increduli delle sinistre, anche il progetto CASE. Ha anche costituito subito l’unità tecnica di missione, ma ha deciso sempre senza coinvolgere nessuna istituzione locale. Ha fatto male: l’emergenza non giustifica intromissioni violente in casa di altri.
Questo il primo errore politico.
Bisogna anche ricordare che nel clima di contrapposizione che si era creato, il sindaco non ha fatto alcun passo per coinvolgere le opposizioni presenti in consiglio, come se i gravi e straordinari problemi della città riguardassero soli i cittadini del suo partito. Ha perso una buona occasione per porsi quale punto di riferimento neutrale, rappresentativo di tutta la città. Non ha accettato piccole mediazioni o riduzioni di potere che un politico avveduto avrebbe addirittura ricercato pur di divenire l’unico punto di riferimento dei cittadini che non gli chiedevano altro che attivarsi sapientemente verso la Regione e quindi il Governo, per ricevere risorse e direttive chiare e tempestive sul da farsi.
Ne è nata una contrapposizione con le forze di centro destra al governo che è sfociata in eclatanti proteste e lamentele organizzate che, nonostante le buone intenzioni, hanno finito per aumentare la distanza e i contrasti tra i cittadini.
Alle critiche al Governo del sindaco hanno fatto eco quelle della Provincia.
Invece che assecondare il Governo e collaborare per ricercare soluzioni concordate, compatibili con la situazione di grave crisi economica del paese, si é preferito mettersi di traverso perseguendo uno scontro scellerato e inutile, creando le basi delle divisioni della città che ancora sono presenti.
Tra battibecchi e rimpalli di responsabilità tutto si è rallentato. La nomina di Chiodi a commissario ha riportato le responsabilità a livello regionale, ora almeno si sa chi deve decidere. La nomina di Cialente a vicecommissario è apparso a tutti un ultimo disperato tentativo per cercare di andare d’accordo. Non mi pare sia stato raccolto.
È sembrato a molti che le destre non volessero che il merito della ricostruzione fosse tutto delle sinistre al governo della città e della Provincia e ugualmente che quelle di sinistra non volessero che il merito fosse solo del governo di Berlusconi. Tutto a discapito dei terremotati. Ecco un’altra valutazione politica: la rilevanza dei giochi elettorali sui bisogni della gente. Un vero tradimento ideologico, perché la politica deve perseguire finalità di servizio non di potere.
Il risultato? La Provincia è passata di mano. Il messaggio, a mio avviso, va letto come un voto di protesta indiscriminato verso chi governa, qualunque fosse stato il suo colore.
Eppure nei primi mesi del sisma bastava convocare subito un “consiglio grande” che avesse coinvolto le forze rappresentative degli interessi cittadini per stabilire assieme COSA fare e istituire un tavolo tecnico che mettesse a punto COME attuare le decisioni del consiglio grande.
UNA DECISIONE, CHE SE FOSSE STATA PRESA ORA AVREBBE POTUTO CONSENTIRE AGLI AQUILANI DI SAPERE COSA FARE, MA SOPRATTUTTO DI AFFERMARE CHE, NEL BENE O NEL MALE, ERANO LORO GLI ARTEFICI DELLE DECISIONI SUL FUTURO DELLA LORO CITTÀ.
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