L’opinione – Familismo e particolarismo immorale


(di Carlo Di Stanislao) – Dopo la puntata di ieri di “Vieni mia con me”, con gli elenchi di Bersani e di Fini, i motivi della giovane nata in Italia da genitori Albanesi per sentirsi italiana e l’elenco delle bellezze paesaggistiche ed umane della nostra Nazione, ci chiediamo perché lo “stivale” non è un vero e proprio “paradiso terrestre”, ma invece un Paese attraversato sempre più da disoccupazione, disorganizzazione, pressappochismo, cinismo ed edonismo spicciolo e volgare. Il fatto è che Fabio Fazio è uno che crede ancora ci sia molto da salvare nella Nazione e nella nostra società e che questa, comunque, sia migliore di certa classe politica e manageriale che, invece, negli ultimi decenni, si è preoccupata solo di badare ai fatti propri, incamerando prebende e privilegi e mandando a rotoli l’intero sistema: dall’Alitalia, ai rifiuti, alla gestione di terremoti e dissesti idrogeologici, alla cultura, all’università, alle politiche giovanili ed occupazionali. Io credo, invece, che questa Nazione sia percorsa da strane inclinazioni e che la più parte degli elettori si identifichi con personaggi come Don Citto Laqualunque e con un certo tipo di attitudine ad essere concentrati sugli interessi propri, da perseguire con qualsiasi mezzo. Così, i principi sanciti dalla Corte di Cassazione dopo la vicenda Englaro, letti dal padre Beppino e le parole di Piergiorgio Welby lette dalla vedova Mina, Fazio e Saviano che elencano le ragioni per cui vale la pena di restare in Italia, mentre Ligabue elenca cosa non fare prima di un concerto dopo aver cantato “Buona notte all’Italia” e Paolo Rossi, con un monologo, e un duetto inedito tra l’attore Toni e il cantante Beppe Servillo sulle note di Paolo Conte; compongono sì una trasmissione intelligente e deliziosa, ma non mutano l’idea negativa che mi sono fatto su questo Paese. Lo scorso gennaio è uscito un libro dal titolo emblematico: “La questione immorale”, scritto da Bruno Tinti, ex procuratore aggiunto a Torino, in cui si afferma quanto ho cercato fin qui di dire: da anni ormai, la nostra società esprime la propria preferenza per un certo tipo di classe dirigente; il che significa che noi cittadini vogliamo essere rappresentati da certi soggetti, perché ci identifichiamo negli stessi. Va poi considerato che siamo in presenza di un circolo vizioso perché i cittadini non sono informati a causa di un tipo di informazione proprietaria che effettua un certo tipo di propaganda. Se il cittadino non viene informato e non supera questo handicap tentando egli stesso di reperire informazioni tramite internet o quotidiani, ecco che gli stessi restano sudditi, continuando ad esprimere preferenze per leader che approfittano della situazione per proprio vantaggio. Ma la cosa ancora più preoccupante è che la nostra è una classe dirigente inquinata dal malaffare perché ad essere inquinato è il popolo stesso. E per dimostrare questo non serve fare grandi esempi, basta guardare alle piccole cose. Dalle auto parcheggiate in doppia fila, fino ai limiti di velocità mai rispettati. E, al contempo, siamo una società che rimprovera agli altri ciò che giustifica a se stessa, che è pronta a vedere la malignità in ogni azione, anche quanto questa è presente solo nella mente dell’accusatore. Così siamo la società di abusati neologismi: malauniversità, malapolitica e malasanità. Tutte parole usate a sproposito: quando un giudice emette una sentenza sfavorevole a una certa fazione politica; quando si sospetta senza prove che un concorso è truccato perché vince un candidato diverso da quello che volevamo; quando un medico sbaglia una diagnosi anche impossibile è malasanità. E, anche quanto si scopre che non è vero niente, resta il dubbio e si parla di lobbies che si difendono autoassolvendosi. Mentre invece, nessuno dice che la riforma dell’interesse privato in atti d’ufficio e dell’abuso d’ufficio ha reso praticamente impossibile punire i reati commessi dagli amministratori pubblici. Di controriforma in controriforma, il rischio è quello di svuotare la Costituzione ed è questo che si dovrebbe dire, come anche che il senso della moralità e civica coabitazione hanno da tempo abbandonato le nostre abitazioni. Concordo con lo storico inglese Paul Ginsborg che, a luglio, nel suo libro “Italianieuropei”, ha messo al centro dell’immoralità di questo Paese il familismo, con cui ruoli politici e candidature passano disinvoltamente di generazione in generazione come fossero ereditarie (il figlio del ministro Bossi e in cui recenti scandali coinvolgono responsabilità genitoriali e parentali (la “casa per la figlia” del ministro Scajola o quella per il cognato del Presidente Fini). Per non parlare poi di certe carriere universitarie o amministrative. Nel 1958 lo studioso statunitense Edward Banfield coniò il concetto di “familismo amorale”, per designare i comportamenti descritti come angustamente individualistici e, credo, un elenco di questi comportamenti Fazio dovrebbe leggerli, per dare una visione più ampia, reale e completa del Nostro Paese. Insieme alla tardiva formazione dello Stato democratico, la chiave di volta dell’eccezione, quel qualcosa che impedisce alla Nostra Nazione di essere un paese normale, è da un lato l’eccessivo potere assegnato alla famiglia nella società e nella sfera pubblica; d’altro (e come conseguenza), l’egoismo particolarista, distruttivo e disgregatore di più ampie e morali solidarietà, che monta e cresce nei decenni, insinuandosi nei più profondi recessi della società. Joseph De Maistre ha detto che “ogni nazione ha il governo che merita” e l’Italia si è meritata gli ultimi governi che l’hanno guidata. Mi spiace per gli AA della bella trasmissione su Rai Tre e sono felice che gli ascolti impediscano a Masi di oscurala; ma, credo, a differenza loro, che l’italiano medio non sia mai impegnato per far andare meglio le cose, non abbia mai dimostrato grande interesse per il proprio Paese a partire dalle piccole cose e non abbia mai imparato (né intende farlo) a guardare a sè stesso, prima di criticare il proprio vicino di casa. Come scrive Ernesto Galli Della Loggia, da noi e da molto tempo ormai, ogni episodio di corruzione politica propriamente detto, almeno stando alle cronache, è sempre accompagnato da una rete di comportamenti a vario titolo oggettivamente complici: mogli che accettano tenori di vita implausibili, figli ultramaggiorenni che godono senza battere ciglio di favori come cosa dovuta, evasione fiscale generalizzata, amici che si fanno fare lavori e lavoretti da amici degli amici, ecc. ecc. Insomma, tutta una trama di relazioni fondata su una personalizzazione radicale della vita sociale e insieme una vasta, capillare indifferenza alla correttezza e alla legalità, in favore del personalismo e del familismo, di cui dicevamo. Aveva ragione Ernesto Berselli quando, nel saggio: “Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia”, dice ormai tramontato il rigore implacabile di un Norberto Bobbio e definitivamente affermato, attraverso una lunga crisi morale, un tempo incerto ie trash, regno dello scetticismo e di pensieri cinici, in cui destra e sinistra si guardano in cagnesco senza più sapere perché e ciascuno, come Don Citto Laqualunque, pensa soltanto al proprio tornaconto o, al massimo, al tornaconto di parenti e amici.


16 Novembre 2010

Categoria : Rubrica
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