Le macerie aquilane all’ex cava Teges a Bazzano – Per ora previsti almeno 2 mln di metri cubi
L’Aquila – Le macerie della città , quanto di essa resta dopo il tremendo tritatutto del 6 aprile alle 3,32, finiranno nell’immenso bà ratro dell’ex cava Teges, a Bazzano. Si prevede, secondo un calcolo approssimativo, che dovranno essere scaricati laggiù almeno 2milioni di metri cubi di materiale raccolto soprattutto nel centro storico maciullato. Lo hanno reso noto questa mattina l’assessore provinciale all’ambiente, Michele Fina, e l’assessore comunale Alfredo Moroni. La scelta, che appare piuttosto logica, riguarda un gigantesco sito da sempre inutilizzato (ex una cava di inerti nella piana di Bazzano, vicino all’area del nucleo industriale) esteso e profondo. Un baratro da colmare, nel quale finiranno le macerie, quindi non rifiuti che produrranno deiezioni liquide e deflussi capaci di inquinare il sottosuolo. Del resto, non c’era la possibilità di fare molte altre scelte: per forza in una ex cava bisognava finire. E la Teges agli esperti (speriamo solo per motivi di effettiva utilità e di interesse pubblico) è sembrata la destinazione migliore.
Ora sorgono due problemi. Primo, il Comune dovrà rimuovere le macerie già scaricate o interrate a piazza d’Armi, tra le quali sicuramente molti residui di amianto tossico e generatore di malattie letali. Da anni c’era il problema amianto, anche in città , anche in edifici pubblici (il linoleum in ambienti ospedalieri, scuole, uffici), in capannoni in disuso, alcuni dei quali evidenti e segnalati più volte dalla stampa in tempi recenti (stampa fastidiosa e ritenuta ostile da politici e amministratori: noi) anche a Pettino. Nessuna bonifica, nessuna reazione, nessuna iniziativa, se non velati (non sempre) inviti a non toccare certi argomenti capaci di turbare l’opinione pubblica. Sempre da noi ignorati, da altri forse no.
C’era il problema amianto, e c’è ancora, non solo in città , così come c’è il problema radon: il gas radioattivo di cui tanto si parla in questo periodo sismico, è una presenza costante e si libera dal sottosuolo ovunque. Più o meno. E’ pericoloso per la salute. Ogni casa dovrebbe essere costruita dopo preventivi accertamenti nel suo sottosuolo. Mai avvenuto, eppure norme ci sono. Parlare di radon alla sanità pubblica, significava ricevere alzate di spalle, sguardi di fastidio, segni di insofferenza. Come dire: “Perchè non ti fai i fatti tuoi?”.
Il secondo problema è relativo al prelievo e al trasporto di almeno 2 mln di metri cubi di macerie fino alla Teges. Ci sono ditte locali in grado di farlo? Saranno preferite? Che spesa comporterà questo titanico lavoro? Chi deciderà e in quanto tempo? Occorre muoversi subito e occorre vigilare su concreti rischi di infiltrazioni malavitose, persone sospette, segugi in cerca di guadagni enormi, annusatori di flussi di risorse davvero imponenti. Viene garantito che la vigilanza sarà rigorosa, inflessibile, ma sappiamo che di rigore e di inflessibilità in Italia c’è carenza. Spesso assoluta. In questo periodo tragico e calamitoso, le cose dovrebbero andare diversamente: è quanto politici, amministratori, istituzioni, debbono però dimostrare. Non basta l’efficienza, che finora, più o meno, abbiamo visto: occorrono pulizia morale e trasparenza delle azioni. Su questo la gente giudicherà chi oggi comanda: compito difficile, che merita rispetto e comprensione, ma anche compito scivoloso. E di fiducia, per quanta buona volontà si possa mettere in campo, ne abbiamo riserve esauribili. Qualche volta esaurite. (G.Col.)
(nella foto: cumuli di macerie da rimuovere in centro, in periferia e nei paesi)
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