Dentro le case morte con il groppo in gola: tanti gli edifici inagibili avranno la sigla “E”
L’Aquila – Dentro le case senza più persone, senza più animali, con fiori e vasi di piante secche. Spesso con cattivo odore fin dall’androne. Dentro la città che rivivrà chi sa fra quanti anni, dopo quanto dolore, dopo quanta alienazione. Il cronista e il collega Christian De Rosa (autore delle immagini nel servizio televisivo di InAbruzzo.com) hanno seguito, oggi, una delle verifiche nella zona rossa, la ZRD, parte bassa di via Venti Settembre e strade adiacenti verso S.Andrea, piazzale Paoli, via Campo di Fossa. Obiettivo della fotocamera e della telecamera sempre puntato, benchè sia difficile ricostruire con le immagini elettroniche lo sfacelo aquilano.
La devastazione della città , antica, vecchia o più recente. Edifici di qualche secolo, ma anche solo di qualche decennio. I primi, spesso, sembrano aver resistito: ma poi, dentro, ti accorgi che non è sempre così. La struttura in muratura della città è sbriciolata, spicinata, colpita spesso a morte. Stando i primi dati – i risultati delle verifiche di ieri e oggi – saranno molte le inagibilità di tipo E. Cioè gravi, tali da imporre il dilemma: demolire o recuperare? Quanto costerà recuperare? Cosa dirà nella stesura definitiva il decreto? Ci saranno soldi per tutti? Chi avrà il coraggio di tornare, fra tanto tempo, in edifici “recuperati” e resi “sicuri”? Sicuri quanto, fino a che punto, fino a quale nuova sollecitazione sismica?
I verificatori (gente esperta, silenziosa, cortese) esaminano gli edifici nella loro complessità , partendo da garages e cantine. Poi il primo piano. Se la situazione è grave stando a ciò che rivelano le parti basse, non si sale neppure ai piani superiori. Si compilano le schede, si capisce che l’edificio sarà E.
“Saprete tutto dalla Protezione civile e dal vostro comune” dicono i tecnici. Ogni proprietario o inquilino firma un foglio e fornisce i propri dati, con il recapito telefonico. Gli amministratori condominiali danno i dati catastali. Poi ognuno torna in un’altra residenza, se ne ha una, oppure negli ostelli provvisori della costa. Mesti cortei, saluti tristi: “Ci vediamo un’altra volta, speriamo che sia meglio… di oggi”. “Importante è che siamo qui, in piedi, vivi” dice un medico. “A te come è andata?” è la frase più sentita, ma è solo uno spunto per raccontare il proprio terremoto, la propria salvezza. Una ragazza ingessata e dal volto stralunato confida monocorde: “Sono rimasta tra le macerie per tanto tempo. Mi ha salvata mio marito, sì, e chi se no?”. Una signora che si qualifica “un tecnico” domanda ai verificatori, tutti napoletani: “E voi come ve la cavate con il Vesuvio? Penso che possa esserci un nesso tra questo terremoto e il Vesuvio”. Tacciono tutti, i napoletani continuano a compilare moduli. Un signore annuncia: “Me ne torno a Ocre, lì siamo stati graziati”. Nelle case morte torna il silenzio, aleggia appena la polvere dei calcinacci spostata dai verificatori, e torna a posarsi su reti di quotidianità frantumata. Il cronista ha potuto recuperare un prezioso libro firmato nientemeno che da Einstein. Un’edizione preziosa, anni ’50, introvabile, che tornerà in un altro scaffale. Tre poveri gatti randagi guardano negli occhi le persone e uno miagola, come se parlasse. Fame, sete, paura, solitudine. “Ho visto dei grandi topi - fa un dentista guadandoli -” speriamo che mangino quelli”. “Più facile che i ratti di fogna, enormi e aggressivi, mangino loro” pensa ad alta voce il cronista. La città disossata, molle, malsana, colpita al cuore, mette un groppo in gola. Le immagini arricchiranno un archivio inimmaginabile fino al 6 aprile. I fiori per una comunità afflitta dal lutto li offre la natura, in cespugli rigogliosi che si fanno largo tra muri spezzati, pietre e ronzii di insetti invadenti. Dalle finestre enormi che sono le pareti di stanze senza più tamponature, in case abbandonate, è rimasto un computer acceso, finchè durerà la batteria. (G.Col.)
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