Ricostruzione e imprese
L’Aquila – (di Giuseppe Molinari, arcivescovo dell’Aquila, su Vola) – Nei giorni scorsi ho avuto il piacere di partecipare, presso il Pontificio Consiglio dei Laici (a Roma) ad un interessante convegno dal titolo: “La crisi attuale nell’ottica della Caritas in Veritate”. Erano presenti banchieri famosi (alcuni di chiara professione cattolica) ed esperti di Dottrina Sociale della Chiesa.
Si sono dette cose importanti. La cultura nichilista contemporanea ha sovvertito l’ordine tra i fini e i mezzi, tra persone e strumenti, assegnando ai secondi priorità ed autonomia morale. Si è sottolineato che occorre diffondere la Dottrina Sociale Cristiana e ristabilire un legame fecondo tra produzione della ricchezza e impresa, ma soprattutto occorre un rinnovamento globale dell’uomo. Il buon capitalismo si fonda su una serie di principi: l’imprenditore che investe il suo capitale, il rischio assunto e l’iniziativa a lungo termine.
Negli ultimi cent’anni questo sistema è stato snaturato. Chi ha creato più ricchezza non lo ha fatto attraverso forme quali l’investimento, la gestione del rischio e il lungo termine, ma attraverso attività a carattere speculativo, a breve termine e molto spesso ricorrendo a mezzi quali la corruzione e la speculazione. Secondo attenti osservatori la causa di questo cambiamento è la fine dell’imprenditore nel mondo globalizzato. In questo mondo globalizzato l’imprenditore diventa sempre più piccolo e si diluisce fino a scomparire: il suo posto è stato preso ormai dal fondo di investimento. Il fondo di investimento non ha più una visione a lungo termine, ma vuole soltanto qualcuno che realizzi velocemente il piano industriale e raggiunga l’utile prefissato.
L’Italia è, in questo panorama, un capitolo a sé. Il nostro paese è dotato di capacità straordinarie che – come si èd etto nel convegno citato – sembrano non utilizzate a dovere ( e questo vale anche per l’Aquila).
Esistono infatti due grandi risorse, tutte italiane (e aquilane) che sono il risparmio e le piccole imprese. Ma entrambe restano poco valorizzate. E soprattutto l’imprenditoria che crea sviluppo non è supportata come meriterebbe.
La Chiesa di per sé non è contraria alle multinazionali. Ne riconosce l’utilità e i meriti. Ma ne mette chiaramente in evidenza i limiti, il pericolo reale che in esse, per la loro strutturazione e la loro organizzazione, si favorisca la preminenza del capitale sul lavoro. La Chiesa, invece, alla luce della sua missione di evangelizzazione e promozione umana ritiene che le piccole e medie imprese (e in particolare l’impresa artigianale a dimensione familiare e l’impresa cooperativa) siano le più adatte a promuovere la dignità di coloro che vi operano, perché in esse si realizza, solitamente e più facilmente, la solidarietà tra capitale, imprenditore e lavoratori (cfr. Mario Toso, Umanesimo sociale).
Mi è sembrato opportuno offrire a tutti queste riflessioni che non sono astratte. Ma portano, invece, a privilegiare delle forze vive che sono presenti anche nella nostra realtà aquilana. Spesso si guarda con eccessiva fiducia alle multinazionali e i nostri Amministratori sembrano esaurire le loro forze nel chiedere aiuti allo Stato (che pure sono necessari). Ma non lasciamo sole le piccole e medie imprese così vivaci e così radicate nel nostro territorio.
Esse, se sappiamo intuirne il valore e la funzione, in questo momento della ricostruzione possono diventare unod ei motori più efficaci della nostra rinascita.
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