Quando la divulgazione si fa vera scienza
(di Carlo Di Stanislao) – E’ la curiosità il segno più distintivo dell’intelligenza e quando essa si combina con grande capacità divulgativa e di scrittura, crea una miscela capace di innestare interesse e vera trasmissione. E i due Colacito, il senior Gianfranco ed il più giovane, ma non meno brillante, Flavio, di curiosità e vocazione divulgativa ne profondono a piene mani nel bel libro “microMACRO”, appena edito da Carabba di Lanciano: sorta di divertente ed originalissimo manuale su problemi di ordine astrofisico, astronomico, quantistico e che si diverte ad esplorare anche la questione del rapporto fra fede e scienza. Così il microcosmo riflette il macrocosmo e ed insieme evidenziano un pensiero ordinatore e non una causalità di tipo teleologico. La formazione scientifica è oggi uno dei temi dominanti della didattica e della ricerca per lo sviluppo del Paese e, in particolare, l’astronomia e l’astrofisica sono tra le componenti più importanti per attrarre i giovani verso la scienza. Questo libro ne ha consapevolezza e si orienta sui temi in modo chiaro, piano, ma non banale, tale da fornire informazioni e fascinazioni assieme. D’altra parte, come ricorda in un documento di nove anni fa, il CNR, il problema della divulgazione scientifica, cioe’ della conoscenza diffusa di cos’e’ e come procede la scienza e dei suoi risultati, e’ diventata oggi una questione strategica per tre ragioni:
(a) la societa’ attuale dipende sempre piu’ dalla scienza e dalle sue applicazioni
(b) le persone sono chiamate sempre di piu’ a prendere posizione (con il voto, con i sondaggi, con i comportamenti) su questioni sulle quali la scienza e le sue applicazioni hanno molta influenza
(c) la conoscenza e la comprensione della natura della scienza e dei suoi risultati e’ estremamente limitata, non solo nelle persone qualunque ma anche nella classe dirigente.
Questi tre punti sono la partenza del testo dei Colacito e vengono risolti, capitolo dopo capitolo, in modo originale e brillante. Ciò insomma, che il saggio fa, è dimostrare, di là dalle anche notevoli informazioni e brillanti spiegazioni di fatti molto complessi che riguardano il reale, è dimostrare che il problema della divulgazione scientifica non riguarda soltanto le scienze della natura ma anche le scienze che si occupano degli esseri umani. Nonostante la maggiore debolezza delle scienze umane rispetto alle scienze della natura, oggi conosciamo abbastanza del comportamento umano e delle societa’ umane e questa conoscenza deve essere divulgata e resa accessibile in quanto e’ proprio la natura delle societa’ umane, di come funzionano e di come cambiano nel tempo, che contribuisce in modo determinante a rendere la realta’ attuale cosi’ poco comprensibile. Del resto i nuovi modelli dei fenomeni complessi e i relativi strumenti di indagine (modelli matematici, simulazioni al computer), che possono essere usati come importanti strumenti di divulgazione, si applicano in ugual modo ai fenomeni naturali e ai fenomeni umani e sociali. Va anche qui ricordato il difficile rapporto tra giornalismo scientifico (divulgazione scientifica) ed esperti, che è al centro dell’interesse di Nature [Nature 459, 1033 (25 June 2009)doi:10.1038/4591033a; Published online 24 June 2009], con un articolo dal titolo estremamente significativo:”Cheerleader or watchdog? Science journalism is under threat. What can scientists do to help?”http://www.nature.com/nature/journal/v459/n7250/full/4591033a.html. Ci sono molti aspetti del declino del giornalismo scientifico “anglosassone” che noi viviamo da tempo sulla nostra pelle (in Italia il giornalismo scientifico ha pochissimi esponenti e tutti soffrono degli aspetti negativi sottolineati da Nature: basti pensare al ruolo dell’agenzia milanese che da sempre monopolizza testate “opposte” come l’Espresso e Panorama). Il problema, quindi, è anche quello della libertà di espressione, svincolata da interessi di parte. Ed anche questo è un pregio dell’opera di Gianfranco e Flavio Colacito, che riesce, nei campi esplorati, davvero a far comprendere i dati veri ottenuti dalla ricerca e non già porsi la questione di far sì che i numeri pubblicati abbiano l’impatto che vogliamo. Alla fine, ciò che emerge dalla lettura del libro, è che le leggi della fisica stabiliscono che le proprietà possibili per ogni particella o molecola sono le stesse, ossia la proprietà di scambiare energia con altre particelle o fotoni, e la proprietà del movimento; queste sono le proprietà di ogni particella quantistica, e nessun aggregato di particelle quantistiche può possedere nuove proprietà. Non esiste quindi alcuna reale proprietà emergente a livello macroscopico. Le proprietà macroscopiche citate dai materialisti non sono proprietà oggettive della realtà fisica, ma sono solo astrazioni o concetti usati per descrivere le nostre esperienze sensoriali. In altre parole, esse sono idee concepite per descrivere o classificare, secondo criteri arbitrari, una determinata successione di processi microscopici e tali idee esistono solo in una mente cosciente e pensante. Quindi la proprietà complessa o macroscopica, essendo solo una astrazione, presuppone l’esistenza della vita psichica. Risulta chiaro che la vita psichica non può essere considerata una proprietà macroscopica o complessa della realtà fisica perché la proprietà macroscopica stessa presuppone l’esistenza della vita psichica. Si tratta quindi di una palese contraddizione logica. Nessuna entità la cui esistenza presuppone l’esistenza della vita psichica può essere considerata la causa dell’esistenza della vita psichica ed anche spirituale. Circa l’argomento “abissale” del rapporto fra scienza e fede, il libro ci ricorda che esse nascono entrambe dalla stessa condizione esistenziale dell’uomo, che riconosce in sè ed in ciò che lo circonda un mistero, qualcosa che richiede una spiegazione. E si chiede, acutamente, se davvero possiamo spiegare qualcosa e, ancora, quale grado di certezza abbiano le nostre spiegazioni. Ciò che il saggio sposa (e chiarisce), è che la questione del rapporto tra fede e scienza è stata viziata da diffusa ed errata opinione. Si tratta del fatto che molti sono convinti che la scienza sia il regno della razionalità, mentre la fede quello dell’irrazionalità. Ovvero che la scienza segue la ragione, mentre la fede il sentimento.Certo i motivi per credere in Dio non saranno gli stessi per cui accettiamo la legge di gravità, ma questo non vuol dire che debbano essere per forza irrazionali. Nel Vangelo ( Matteo 22,16-39) Gesù dice che il più grande comandamento è quello di amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze; e il prossimo come se stessi. Quindi l’amore necessita non soltanto del sentimento (cuore), ma anche dell’intelligenza (mente) . La fede così non è soltanto una scelta emotiva, ma anzi, richiede delle motivazioni profonde e ragionate. ” Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, prima non si siede e calcola attentamente la spesa, per vedere se può condurla a termine? (Luca 14,28) Così la fede non è un affare solo per donne e bambini dal cuore tenero, o per poveri sprovveduti e sempliciotti, ma invece è dimensione di tutto l’essere umano e da sempre coinvolge fior di intelligenze. La fede dunque necessita della ragione non meno della scienza. Viceversa, non bisogna pensare che l’emotività sia esclusa dall’indagine scientifica. Spesso si ha l’immagine di una scienza fredda ed asettica, come se fosse opera di un calcolatore. Invece la scienza è ricca di fantasia, passione, entusiasmo. La storia della scienza mostra come anche l’indagine scientifica sia percorsa dal gusto della bellezza e dell’eleganza, dall’alternarsi di entusiasmi e cadute, di successi ed insuccessi. A volte si sostengono tesi anche per motivi non strettamente razionali, intuito, orgoglio, o semplicementi perchè ci si è affezionati. La conclusione è che la scienza è necessaria alla fede affinché non scada in integralismo o in credulità, in modo da recuperare il ruolo insostituibile dell’intelligenza nella vita dell’uomo. La fede è poi necessaria alla scienza perché essa mantenga una certa umiltà, e non perda di vista il punto centrale che è l’uomo, mantenendosi al suo servizio. Ma anche perché l’uomo possa mantenere quella parte di mistero che dà sapore alla vita, e che soprattutto lascia la porta aperta all’incontro con Dio, dando un senso a questa nostra avventura terrena.
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