Sidòti scrive alla Gelmini e a Maroni
L’Aquila – Il prof. Francesco Sidòti, presidente del corso di laurea in Scienze dell’Investigazione dell’Università dell’Aquila, ha inviato alla ministra Gelmini e per conoscenza al ministro Maroni la seguente lettera:
“Premetto che ho sincera ammirazione per il lavoro svolto dalle istituzioni, a livello locale e nazionale, di fronte alla tragedia del terremoto aquilano. Ho visto e apprezzato l’enorme generosità dimostrata nei confronti dell’Università di L’Aquila, che è stata ricoperta di attenzioni, risorse, disponibilità.
Espongo alla vostra attenzione un problema che riguarda circa 2000 persone. Sono presidente di un Corso di laurea che richiamava nell’Università di L’Aquila studenti provenienti da tutta Italia e molti da nord a sud. Non a caso, Alice, morta sotto le macerie, era una ragazza di Bergamo. Alice non sarebbe mai stata a L’Aquila, quella maledetta notte, se non fosse esistito questo Corso di laurea da me fondato. Con questa mia lettera, accolgo in pieno e fino in fondo l’invito di Benedetto XVI a farci tutti un esame di coscienza.
In coscienza, debbo rendere pubbliche alcune situazioni, che lascio giudicare a chi ben più di me ha strumenti di conoscenza e possibilità di intervento. In particolare, soltanto come docente, nell’anno accademico 2007-2008 avevo un carico didattico di ben più di 1000 (mille) studenti, che avevano bisogno di me per lezioni, ricevimento, esami, tesi di laurea, percorsi post laurea, eccetera. E’ una situazione che si commenta da sola e che non veniva decisa da me. In tutto il corso di laurea, eravamo (e siamo) soltanto in quattro docenti di ruolo. Abbiamo avuto anche 2000 iscritti l’anno. Per il prossimo anno accademico, gli organismi universitari aquilani hanno deciso (senza la mia approvazione) di aprire le iscrizioni a 300 nuovi studenti – anche se, sulla situazione esistente, che era già, evidentemente, sul filo dell’equilibrismo, è intervenuto il terremoto. Non so quanti iscritti verranno in futuro a L’Aquila, in un contesto caratterizzato sia dal terremoto sia dalla possibilità di non pagare le tasse di iscrizione ed avere altre forme di incentivazione. Chiedo se c’è la possibilità di un Suo intervento, Signor Ministro Gelmini, per darci, se possibile, qualche aiuto. Anche un parere sarebbe un contributo fondamentale. Non chiedo risorse; chiedo un chiarimento. Lo chiedo non per me, ma per gli iscritti, presenti e futuri, che sono in un certo senso intrappolati dentro questo corso di laurea. Infatti, mentre uno studente di ingegneria, per esempio, se vuole, può trasferirsi in una qualunque altra università italiana, da Palermo a Torino, invece i miei studenti sono, per così dire, incatenati a L’Aquila, in quanto assolutamente non esiste un altro Corso di laurea con lo stesso percorso formativo.
Se gli iscritti se ne vanno da L’Aquila, perdono tutto o quasi, quindi, in un certo senso, sono costretti a rimanere. Ma in che situazione rimangono? Ad oggi, tutta la parte amministrativa dell’Università (incluso il Rettorato) è ubicata tra le tende ed un androne; tutta la struttura del mio corso di laurea è stata azzerata (non ho più il sito internet, non ho più una segreteria, non ho più collaboratori, stanza, computer, archivio, eccetera). In mancanza della precedente struttura organizzativa, non c’è alcuna differente, chiara e condivisa prospettiva futura. Ricevo centinaia di richieste di studenti che si rivolgono a me, pensando che io sia in grado di dare quelle risposte che legittimamente vanno cercando in sede istituzionale. E’ una situazione assai difficile, che inevitabilmente crea sfiducia. Non sto accusando nessuno: mi limito a citare fatti documentati uno per uno.
Eppure, forse, meriteremmo sorte migliore. Perché abbiamo finora gestito efficacemente sia rapporti con migliaia di studenti nell’università aquilana, sia rapporti con migliaia di persone nella società civile italiana, attraverso iniziative scientifiche e culturali della più varia natura, in diversi settori della vita sociale.
Spedisco questa lettera, per conoscenza, anche al Signor Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per due motivi. Innanzitutto per le varie iniziative del Corso nell’ambito della sicurezza e del contrasto alla criminalità. Cito ad esempio il rapporto con la Provincia di Treviso, che mi ha affidato la Presidenza dell’Osservatorio provinciale per la criminalità e la sicurezza. In varie attività svolte nella provincia di Treviso, abbiamo collaborato con scuole, associazioni, fondazioni, sindacati, forze dell’ordine, sviluppando un rapporto con il territorio che ha visto sia una significativa collaborazione con la magistratura locale sia l’apprezzamento formale e sostanziale del Presidente della Provincia di Treviso. Crediamo sia possibile costruire nuove proposte in materia di prevenzione della criminalità. Siamo un corso di laurea con pochissimi mezzi, ma attraverso iscritti e collaborazioni, siamo presenti in tutto il territorio nazionale.
Inoltre, c’è una peculiare Convenzione tra questo Corso di laurea e la Polizia di Stato. Abbiamo cominciato il nostro progetto con la benedizione del Prefetto Ferdinando Masone, che da Capo della Polizia venne a L’Aquila, a darci pubblicamente una mano, parlando apertamente in quella Scuola della Guardia di Finanza che ora conoscono tutti. Per la firma della Convenzione, nel 2003, il Capo della Polizia, Gianni de Gennaro, intervenne personalmente, per esprimere il suo sostegno. Negli anni, centinaia di poliziotti sono passati per L’Aquila e molti hanno iniziato un percorso che potrebbe ricevere un ulteriore sostegno, non in termini economici, ma in termini formativi ed organizzativi. Ho una collezione di corrispondenza con appartenenti alle Forze dell’ordine, che suggeriscono possibili perfezionamenti.
Centinaia di persone, da tutta Italia, si sono iscritti a questo Corso di laurea e molti sono ammirevoli testimoni della volontà di crescere e di migliorare; testimoniano l’onore delle Forze dell’ordine: si sono iscritti soltanto perché convinti della necessità di un arricchimento personale attraverso un ulteriore percorso formativo universitario. Molti ci hanno detto che frequentandoci, costretti a studiare certe tematiche, sono cambiati sensibilmente come approccio e come operatori. Appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Polizia penitenziaria, alla Polizia ambientale, alla Polizia provinciale ed alla Polizia locale…. Quelli che non appartengono alle Forze dell’ordine, sono, spesso, per altri versi, forse ancora più ammirevoli: vengono giovanissimi e sostenendo spese ingenti, da tutta Italia ad impegnare in questo Corso anni preziosi della propria vita e del proprio futuro professionale. Moltissimi degli iscritti e docenti lavorano in questo Corso di laurea perché credono genuinamente in ideali di verità e di giustizia.
Ero a Vicenza 1 luglio 2008, sullo stesso palco e davanti ad un’attonita platea, quando il Capo della Polizia, Prefetto Manganelli, ha detto pubblicamente che l’Italia è caratterizzata non dalla mancanza di certezza del diritto, ma dalla “certezza dell’impunità”. La nostra cultura della sicurezza deve anche scontare una certezza della degnazione e dell’impreparazione? C’è purtroppo in Italia una sconcertante asimmetria tra domanda ed offerta in tema di cultura della sicurezza; per questo motivo gli studenti vengono a L’Aquila. Trovano quel che trovano, mentre nel mondo come italiani possiamo vantare successi sbalorditivi nel campo della sicurezza, come dimostrano i nostri successi nella cattura e condanna di tutti i capi storici della criminalità organizzata. Su questi temi, possiamo dare lezione e camminare nel mondo a testa alta. Nella accanita competizione internazionale sui temi della konowledg society, in questo settore della sicurezza potremmo essere tra i primi a dare lezione, a dispetto di chi invece pensa il contrario.
Signor Ministro, io mi chiedo se il terremoto può umiliare la volontà di fare il meglio per il proprio Paese. Nella seduta di laurea del 15 maggio, su 20 laureandi, ho contato 15 appartenenti ai più diversi organismi delle Forze dell’ordine, provenienti da Milano, Brescia, Bassano del Grappa, Savona, Trieste, Bologna, Treviso, Roma, Chieti, Reggio Calabria. Tra i laureandi, se non erro, non c’era nessun aquilano.
Questo corso di laurea è stato finora un successo fuori dal comune. Posso dire tanto sulla base del numero delle domande di iscrizione (che annualmente erano di gran lunga superiori a quanto noi potevamo accogliere) e sulla base della nostra rassegna stampa. Sul Corriere della sera, nel 2001, è scritto che questo corso è “unico in Italia e uno tra quelli più all’ avanguardia a livello internazionale”. Tra i nostri collaboratori, ci sono stati, come professori a contratto, magistrati, avvocati, investigatori, giornalisti appartenenti a correnti di pensiero molto diverse l’una dall’altra. Io non ho mai avuto tessere di partito in vita mia e persone di tutti i partiti hanno parlato con gli studenti nelle nostre aule. Non credo che l’università debba essere un esamificio e i baroni mi suscitano compassione. La mia ultima pubblicazione, pochi giorni prima del terremoto, è apparsa a Wiesbaden, in Germania, per uno degli editori più stimati nel campo delle scienze sociali (VS-Verlag für Sozialwissenschaften), in un volume curato dal professor Thomas Jaeger, che nell’Università di Colonia ricopre la cattedra di Relazioni internazionali. A livello di attività di ricerca, sono impegnato in un progetto che ha il sostegno dell’Unione Europea e che vede capofila l’Università di Heidelberg.
La tragedia del terremoto può essere un’occasione per innovazioni radicali, per riproporre il passato, o addirittura per riproporre il peggio del passato. La costruzione di una rinnovata cultura della sicurezza, in Italia (che possa essere d’ausilio alle pubbliche autorità) passa attraverso misure fortemente incisive, che riguardano non soltanto l’Università dell’Aquila, ma molti settori dell’organizzazione accademica. Con questa mia lettera voglio ricordare che tante possibilità ci sono state lasciate aperte da un destino che può essere affrontato in molti modi.
Il caso specifico, relativo al mio Corso di laurea in scienze dell’investigazione è relativo a qualcosa che prima del terremoto a modo suo funzionava, in maniera assolutamente atipica, ma che adesso rischia di trasformarsi in un ingombrante pasticcio, se non si interviene responsabilmente. Davanti ai miei mille e passa iscritti da fronteggiare, non so se a L’Aquila saremo davvero nelle condizioni per procedere dignitosamente. Ho visto che finora ci sono stati diversi ed encomiabili interventi dall’esterno, in soccorso dell’Università dell’Aquila. Dall’ENI al WWF, molti hanno presentato proposte nuove, clamorose, insperate. E’ possibile inventare qualcosa anche per rafforzare o riorganizzare questo corso di laurea? Non si tratta soltanto di risorse; si tratta di esplicitare parametri dignitosi di funzionamento, che ad esempio trovino il giusto equilibrio tra risorse disponibili e numero degli iscritti. L’Università dell’Aquila può liberamente decidere di dedicare le risorse che vuole a questo Corso, perché giustamente esistono interessi diversi in molteplici settori disciplinari. Sulle decisioni influisce la forza schiacciante del numero dei docenti interessati – e siamo in quattro nel mio Corso, davanti a centinaia e centinaia di iscritti, in una situazione gravemente compromessa dal terremoto. In nessun altro Corso di laurea, a L’Aquila, e in Italia, e nel mondo, spero, c’è lo stesso rapporto tra docenti e discenti. Se c’è, non ci dovrebbe essere. Nel mentre, debbo di nuovo ricordare che, in favore dell’Aquila, è esistita una gara di solidarietà, e molte università pubbliche e private, grandi e piccole, dalla Sapienza alla Link Campus, hanno offerto dimostrazione di attenzione e sostegno per le attività accademiche intraprese nell’ambito della cultura della sicurezza. E’ possibile che dentro e fuori le tante università italiane ci siano energie ancora inesplorate ed ignote agli stessi responsabili della Università dell’Aquila, che certo, a cominciare dal Magnifico Rettore, in questi giorni hanno compiuto uno sforzo enorme in una situazione disumana. Per l’impegno, si meritano un ringraziamento. Ho scritto questa lettera al fine di offrire anche il mio contributo, per gli studenti meritevoli, per i colleghi onesti e nell’interesse superiore degli Studi. Ciò detto, non può esistere un docente in grado di fronteggiare dignitosamente mille studenti. E nessuna università appartiene esclusivamente alle sue corporazioni, indipendentemente dallo Stato italiano, dalle leggi italiane e dai contribuenti italiani. Ho iniziato sottolineando che accoglievo in pieno l’invito di Benedetto XVI a farci tutti un vero esame di coscienza. Forse sono arrivato alla confessione, ma, nell’intenzione, volevo formulare una richiesta di collaborazione, anche sotto forma di consiglio e di indirizzo. Se c’è penitenza, che non sia per quelli che, come Alice, hanno creduto in questo Paese e in questa università”.
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