Il brigantaggio come ribellione sociale
(di Carlo Di Stanislao) – Già durante il periodo della Restaurazione borbonica il brigantaggio ha operato come fenomeno, sociale, prima che politico, che traeva potente spunto dall’occupazione delle terre demaniali da parte degli usurpatori, la nascente borghesia agraria, e dalla conseguente reazione dei contadini che volevano che queste terre ritornassero al demanio per poter usufruire di alcuni diritti che anticamente gli erano concessi. All’indomani della spedizione dei mille e della conseguente annessione del Regno delle Due Sicilie al nuovo Regno d’Italia, diverse fasce della popolazione meridionale cominciarono ad esprimere il proprio malcontento non solo verso il processo di unificazione, ma anche perché costretti, come ricorda Francesco Saverio Sipari, zio materno di Croce, dalle condizioni disperate indotte dalla povertà da sempre peculiare dell’Italia meridionale. In tale contesto si cominciarono a formare gruppi di ex soldati del disciolto esercito napoletano, rimasti fedeli alla dinastia borbonica, e di contadini e pastori che si davano al brigantaggio per sopravvivere e contro i latifondisti. “Brigante se more”, composta su commissione nel 1979 per lo sceneggiato “L’eredita’ della Priora” di Anton Giulio Majano, ha fatto conoscere a tutti la storia dell’emigrazione e del brigantaggio, raccontando la ribellione della gente meridionale all’invasione piemontese del 1860, ma e’ diventata anche l’emblema di tante altre storie di ribellione e lotta e non asservimento alla retorica di Stato. Lo sceneggiato di Anton Giulio Majano, ha fatto conoscere a tutti la storia dell’emigrazione e del brigantaggio, diventatando anche l’emblema di tante altre storie di ribellione e lotta e non asservimento alla retorica di Stato. Il brano si è diffuso a macchia d’olio risvegliando questioni tenute in poco conto nelle stanze della storiografia ufficiale, tanto che qualcuno ha confusamente insinuato il dubbio che la canzone sarebbe stata scritta un secolo prima, non si sa dove e non si sa da chi, e sono nate dispute e controversie infinite circa la sua “reale” appartenenza. Da quel brano ora il suo autore, Eugenio Bennato, fondatore ed anima della Nuova Compagnia di Canto Popolare prima e ora del movimento Taranta Power, accurato ricercatore della musica del Sud, scrive un libro cjhe è la storia stessa della ballata, in libreria dal 7 ottobre, edito da Il Coniglio. Bennato ha deciso di descrivere dettagliatamente il percorso umano e creativo che lo ha portato alla composizione di Brigante se more, interfacciandosi anche con i suoni e i rituali del Sud di ieri e di oggi e approfondendo, in un viaggio a ritroso tra terre impervie e soleggiate, l’affascinante e triste storia di alcuni tra i piu’ combattivi briganti di fine Ottocento: Ninco Nanco, Carmine Crocco, Michelina De Cesare, personaggi dall’anima pura e implacabile che, vivendo le loro vite di battaglia e rapina, segnarono profondamente le divisioni e le lotte che sarebbero venute in quella che ancora conosciamo come Questione meridionale. Scrive l’Autore ()che ha lavorato con Carlo D’Angio”, nella prefazione: “”La ballata era semplice, efficace ed emozionante ed ha acceso l’interesse per una vicenda storica che era praticamente sconosciuta: la ribellione della gente meridionale all’invasione piemontese del 1860. Qualcuno ha cominciato confusamente ad affermare che quella ballata, nata a Napoli una sera della primavera 1979, sarebbe stata scritta un secolo prima non si sa dove non si sa da chi. Qualcuno, folgorato come tanti di quella composizione, ha cominciato a sognare che i briganti dell’Ottocento l’avessero potuta cantare, magari prima della battaglia. E ha cominciato ad insultare noi che l’avevamo scritta (purtroppo solo 120 anni dopo). Nel frattempo la nostra ballata si è diffusa sempre più, aprendo una rinnovata attenzione per la storia del brigantaggio e dell’emigrazione e per una diversa interpretazione della secolare “questione meridionale” . Quei versi e quella musica nati dalla nostra fantasia e dalla nostra sensibilità erano evidentemente l’inno che il sud aspettava da più di un secolo. Un coro di centinaia di migliaia di voci ha cantato in questi trent’anni quell’inno e la celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia dovrà fare i conti con le masse di giovani e di intellettuali che non ci stanno più a subire passivamente la retorica risorgimentale. Alle feste popolari di musica dei sud del mondo si vendono magliette con la scritta “Ommo se nasce brigante se more”. Nell’opera di Carlo D’Angiò ed Eugenio Bennato, si concretizza l’idea di vari storici, primo fra tutti Paolo Zanetov, secondo cui, il brigantaggio politico del decennio 1860-70, fu una vera e propria guerra civile, con vari aspetti che riguardano il sociale, come nel caso dei contadini che cercavano di opporsi alle prepotenze della classe borghese, dei latifondisti che li opprimevano. E’ una storia vecchia che durava da quando erano arrivati i francesi in Italia, quindi durava dalla fine del ‘700 e che si è sviluppata nel lungo periodo e nei vari contesti storici. l brigantaggio nel sud è sempre stato un fenomeno endemico che ha avuto i suoi momenti epidemici nel momento in cui sono intervenute forze estere. Il Brigantaggio trova sviluppo, inizialmente contro i francesi, durante il cosiddetto Decennio ma poi anche contro i Borbone, perché durante il periodo della Restaurazione borbonica il brigantaggio ha continuato ugualmente ad operare, sia pure in forma minore. Poi c’è stato un periodo di tranquillità almeno apparente nel meridione. Il fenomeno, sociale prima che politico, traeva potente spunto dall’occupazione delle terre demaniali da parte degli usurpatori, la nascente borghesia agraria, e dalla conseguente reazione dei contadini che volevano che queste terre ritornassero al demanio per poter usufruire di alcuni diritti che anticamente gli erano concessi, come il diritto di legnatico, di poter spigolare dopo la raccolta etc. Quelli qui narrati (nel libro e nella ballata), furono dieci anni di autentica rivolta contadina hanno provocato migliaia di morti e danni tremendi. Questo lungo periodo di brigantaggio non fu dovuto esclusivamente al fatto politico immediato, ossia all’invasione piemontese, che pure ebbe un suo peso notevole, quanto ad una lotta politica all’interno della società meridionale che trovò sviluppo nell’invasione stessa. Le borghesie locali sostanzialmente erano in continua guerra fra loro per i posti più importanti, perché essere sindaco di un paese o comandante della guardia nazionale o segretario del paese permetteva di avere posizioni di comando, in tramite questo potere, ottenere il famoso possesso della terra. Queste cariche erano molto ambite. Quando si innesca il meccanismo dell’invasione, per ché di invasione piemontese si trattò, queste borghesie si dividono al loro interno: una parteggia, fittiziamente, per i Borbone, una parteggia, fittiziamente, per i Savoia. La posta in gioco è il potere politico. Di volta in volta queste borghesie si sono appoggiate all’una o all’altra fazione secondo le convenienze momentanee e hanno foraggiato il brigantaggio come arma di pressione rivolta contro gli avversari locali di sempre.
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