L’opinione – Quello che tanti aquilani non perdonano alla Perdonanza
L’Aquila – Dal sito elettronico “Vola” – (di Luisa Nardecchia) – Ci sono dei laici che hanno il malvezzo di considerare il cristianesimo come un fatto “culturale”. Questi stessi laici trattano i fatti religiosi alla stregua delle rievocazioni storiche: per loro la Quintana e il Palio di Siena hanno lo stesso significato della Perdonanza celestiniana o dello scioglimento del sangue di San Gennaro. Curiosità antropologiche, singolari stranezze folkloristiche da mettere sulla guida Touring, insieme alla corsa degli zingari o alla sagra della cicerchia. Questi stessi laici guardano con simpatia qualsiasi lontanissimo Imam, o monaco tibetano o Hare Krishna, ma non un cristiano: sono pronti a comprendere un voodoo, che nel loro immaginario si lega a un principio istintivo e selvaggio, più che un voto di povertà. Guardano a ogni rito cristiano come al Carnevale di Viareggio, e si domandano come sia possibile, oggi, credere ancora a Babbo Natale. Fin qui nulla da dire, fa tanto “new age”. Il vero grande torto di certi laici (non di tutti, certo, solo di questi) è l’appropriazione indebita di fatti e personaggi cristiani di schiacciante e innegabile rilevanza collettiva. Il fatto religioso collettivamente rilevante viene laicizzato e rivendicato in quanto “storico”, patrimonio dell’umanità, come se la fede fosse un corollario di quel fenomeno, invece che il suo motore e la sua essenza. Parlano, certi laici, di tale Francesco (San Francesco) o di Lorenzo Milani (Don Milani) o di Pietro da Morrone (San Pietro Celestino), negando con violenza ciò che li fece essere ciò che furono. Il cristianesimo, per questi laici, è un disonore del personaggio, un peccatuccio ideologico, una imperdonabile ingenuità. Vedono il rito e non il mito: ostensorio, mitra e scarpa da baciare. Dimenticano, questi laici, i Zanotelli, i Benzi, i Ciotti, i pretucci di periferia che si battono per sostenere stranieri buttati fuori da una politica sempre più razzista, dimenticano i grandi prelati che cambiarono e cambieranno le sorti di intere città. Di questi preti non si parla in cronaca, si parla a mala pena negli spot dell’8 per mille (e questo non aiuta). Bisogna essere “trendy” e il cristiano non lo è, anzi è fuori moda, è fuori tempo, fuori luogo. Certi laici sentono dentro di sé il dovere morale di recuperare il “meraviglioso cristiano” in termini di rievocazione storica, a beneficio non più di poveri pellegrini, ma di bei turisti pronti a spendere e giornalisti pronti a scrivere sui misteri dei cavalieri di Gerusalemme e sul tesoro nascosto di Alì Babà. Ora il punto è: c’è un’adeguata resistenza del mondo cattolico a tutto questo? Quanto e a chi parimenti interessa il “numero” di pellegrini/turisti a cerimonie religiose? Ci sarà un concorso di colpa in questo incidente del malaugurato intreccio tra mito e rito? E veniamo a noi: da quanti anni la Perdonanza si è laicizzata? Negli anni Sessanta il 28 agosto si celebrava il rito religioso in assoluta osservanza, per poi concludere con l’indimenticabile tocco profano della “benedizione delle macchine” sul piazzale di ghiaia di Collemaggio. Un rito iniziato forse per caso, forse perché il piazzale si riempiva di automobili appena comprate nel boom economico, e spontaneamente e con simpatia queste venivano benedette, come si usava fare con gli ”Ovunque proteggi” e i “Guida piano” fatti di calamita che si appoggiavano sul cruscotto. Questo era la Perdonanza. Alla fine della cerimonia, come ai matrimoni paesani, tutti suonavano orgogliosi il claxon dell’auto, generalmente una Fiat fiammante lucidata a festa per l’occasione. Poi è iniziato il tira e molla, il Comune, la bolla, il corteo, la dama della bolla, i mazzieri, chi la passa e chi la prende. Noi aquilani l’abbiamo sempre vissuta male, questa cosa. Noi aquilani l’abbiamo sempre tollerata in silenzio, con pazienza, sempre legati profondamente a quel nostro povero Celestino, e sempre l’abbiamo visto come un Cristo in croce. Siamo cresciuti con Celestino, abbiamo imparato ad andare in bicicletta sul suo piazzale, e andavamo a salutarlo, e di lui sapevamo che poteva essere papa e lo fu per troppo poco. Non ci è mai piaciuta quella sagra paesana in calzamaglia che gli hanno costruito intorno. Quest’anno, poi. Il lutto, il dolore, la povertà collettiva, sto per dire il buon gusto, tutto avrebbe dovuto consigliare un ripristino del rito antico, nuda e cruda la Porta Santa, aperta a qualunque credente, “pentito e confessato”. Miracolo della fede che merita il rispetto dei laici, di tutti i laici. E invece, anche quest’anno, abbiamo assistito all’ennesimo, improbabile connubio di sacro e profano. Ci siamo perfino accapigliati per un posto all’interno del corteo! Croce sì/croce no al corteo del 6 aprile, carriola sì/carriola no al corteo della bolla. Era inevitabile, data la situazione: “Io so’ omo, che fo, nun m’impiccio?” dice giustamente Ciceruacchio. E certo che ci impicciamo, tutti, nelle cose che accadono. Non stava a noi evitare gli spiacevoli incidenti che si sono verificati per l’occasione. A noi sta la riflessione: che nostalgia per i sani, vecchi comunisti che mangiavano i bambini, pervasi da una fede uguale e contraria a quella dei cristiani! Certi laici, al contrario dei vecchi mangia-bambini, hanno completamente dimenticato che il cristianesimo non è un fatto culturale, è una fede. Celestino fu un monaco: concesse, da papa, l’indulgenza annuale, plenaria e gratuita a tutti i poveracci del mondo. Fu la lotta di un ecclesiastico contro la corruzione, la diseguaglianza sociale e il clero corrotto. Celestino riscuote le simpatie dei laici perché lottò contro la corruzione della chiesa, ma appartiene alla chiesa e resta della chiesa. In questa brutta storia della Perdonanza 2010, tutti abbiamo perso qualcosa. I giovani che pregavano e i giovani che ballavano, mai avrebbero voluto infastidirsi reciprocamente. Ma tutti gli adulti erano come sempre troppo “occupati” a cercarsi una vetrina, per rendersi conto che mai avrebbero dovuto farli trovare in quella situazione. La politica merita rispetto. La fede merita rispetto. Rispetto, che strana parola, contiene nella radice il verbo “guardare”. Guardare, riconoscere la presenza. Qua nessuno guarda nessuno. Il povero cristiano, forse, stava meglio sul Morrone.
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