Giannino Di Tommaso: “Chi lascia sbaglia, ma qualche buon motivo deve averlo di sicuro”


L’Aquila – SCARICABARILE, SPORT NAZIONALE E AQUILANO – Dal prof. Giannino Di Tommaso riceviamo: “Caro Colacito, l’altro giorno ho ascoltato con il solito interesse il Suo intervento su TVuno sulle recenti dimissioni a catena di persone che hanno avuto responsabilità pubbliche in questo tormentato periodo della nostra vita cittadina. E sono perfettamente d’accordo con Lei: non è lasciando il proprio posto che si rende un buon servizio alla collettività aquilana, che ora più che mai ha bisogno che l’impegno sia rafforzato e perfino svolto con passione. Ciò vale, prioritariamente, per coloro che hanno responsabilità nella gestione della cosa pubblica a qualsiasi livello. Pensare ai distinguo e alle scomodità personali è cosa spesso misera, lo è tanto più quando le difficoltà investono la totalità degli aspetti della vita civile associata, rischiando concretamente di comprometterla in modo irreparabile. Ben venga, allora, il giusto richiamo alla necessità di restare al proprio posto e di lottare perché dagli sforzi comuni rinasca la nostra città.
Mi permetta, tuttavia, di integrare il Suo punto di vista con una considerazione che tende a individuare una delle ragioni che, a mio modesto avviso, spingono a gettare la spugna anche coloro che, in altre circostanze, nemmeno avrebbero preso in considerazione tale eventualità. Sarebbe istruttivo mettere in luce in quali e quanti modi si pratichi attualmente, nella nostra città, lo sport italico per eccellenza, lo scaricabarile, così come sarebbe interessante elencare (la lista sarebbe infinta) i sotterfugi che vengono utilizzati come arma per astenersi dal fare. La scarsa propensione all’assunzione delle responsabilità che ci caratterizza in tempi normali, la prodigalità nel lasciar fare agli altri quel che non vogliamo fare noi si sono enormemente accentuate con l’emergenza, ampliando lo spettro dei pretesti per alibi tanto improbabili quanto pervicaci.
Nella società complessa in cui viviamo, difficilmente un’azione può avere successo come azione individuale, ma può riuscire solo come risultato di tante diverse e convergenti potenzialità, competenze e intelligenze. Se la maggior parte di coloro che sarebbero chiamati a concorrere alla realizzazione di un fine comune, o non partecipano affatto, oppure lo fanno con il mal di pancia e solo per quel tanto che eviti che venga loro imputato il mancato coinvolgimento, allora la possibilità di riuscita sono minime, mentre è massimo il senso di frustrazione di chi ha la maggiore responsabilità nella realizzazione di quel fine. Nell’animo di quest’ultimo si insinua il sentimento dell’isolamento e dell’inutilità dei propri sforzi, e contro questo tarlo insidioso si combatte con convinzione sempre decrescente e destinata a scemare del tutto, lasciando il posto alla nota e scontata conclusione secondo cui l’universo, in fin dei conti, non poggia sulle mie spalle.
È vero che non bisogna abbandonare le posizioni, specialmente in tempi difficili, ma questa sacrosanta verità andrebbe ricordata e resa efficace non solo da chi è al vertice – più o meno elevato – di un processo decisionale e attuativo, ma anche da tutti coloro che, alla riuscita di quel processo, hanno parte attiva. A ciascuno di noi, nella misura che gli compete, è affidata una parte – per quanto minima – nella realizzazione di quell’opera collettiva che è la costruzione della realtà storica nella quale viviamo e che contribuiamo a vivificare con il nostro operare. Se tale operare si limita alla miope ricerca del tornaconto individuale, tradisce la sua destinazione essenziale, che è quella di proiettarsi in dimensione sociale. Lo spettacolo deprimente di individualità occupate a covare loro stesse è quello più scoraggiante e non ci si può stupire se, davanti ad esso, molti cedano alla tentazione di lasciare che il corso del mondo prevalga e considerino vana illusione la spinta a modificarlo”.
(Nella foto il prof. Giannino Di Tommaso)
(Ndr) – Le argomentazioni del prof. Di Tommaso, come si suol dire, non fanno una grinza. Lineari, illuminate, coerenti. Chi lascia spesso non se la sente più di scontrarsi ogni giorno contro mille assurde difficoltà, contro ostracismi che toccano a chi è più bravo e onesto, contro chi tenta di vincere sulla palude malsana che ci circonda. E’ comprensibile. Ma spesso sarebbe meglio denunciare, denunciare, denunciare : alla magistratura, ma soprattutto a quel giudice supremo che è il popolo.


24 Agosto 2010

Categoria : Dai Lettori
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