Ci (ri)vedremo a Mirabello
(di Carlo Di Stanislao) – Più di venti anni fa Mirabello fece da cornice alla sua incoronazione a successore di Giorgio Almirante. Ora, il piccolo comune nel ferrarese sarà, probabilmente, il luogo di nascita di un nuovo soggetto politico e il ritorno dell’ex leader di An al suo vecchio mestiere: la guida di un partito. Il presidente della Camera – a detta dei suoi interpreti più estremi (“quei tre” come li ha definiti Berlusconi) – avrebbe rotto ogni indugio e sarebbe pronto a mettere su una nuova “casa”, politica si intende. Al passo definitivo lo avrebbero paradossalmente spinto le parole di Silvio Berlusconi di sabato, quando ha definito “irreversibile” la rottura nel caso di costituzione di un nuovo partito, dopo che la stessa nascita di gruppi parlamentari autonomi era stata considerata anomala. “La nascita del partito è la conseguenza naturale della formazione dei gruppi parlamentari”, spiega Bocchino, il più duro dei “tre”, che aggiunge: ”Non credo che si possa ricucire lo strappo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, e quindi vedo all’orizzonte la nascita di un nuovo partito politico”. Se poi questo partito – è il ragionamento dei finiani – sarà con o contro il Pdl, a deciderlo sarà Berlusconi, accettando o meno il dialogo. Una tesi già espressa più volte in questi giorni, da parte dei finiani e ritenuta legittima non solo da Casini, ma, ciò che più conta, da Montezemolo . C’è comunque chi frena e vorrebbe ancora ricucire. Non a caso il coordinatore di Fli, Silvano Moffa e il capogruppo al Senato, Pasquale Viespoli invitano ad abbassare i toni e, soprattutto, “a non alimentare ulteriori tensioni nel centrodestra”. I due sottolineano che ”una rottura definitiva tra Fini e Berlusconi sancirebbe la fine del Pdl” e “si tratterebbe di una sconfitta per tutti, un esito da non auspicare”. Secondo Moffa e Viespoli con lo strappo tra il premier e il presidente della Camera “verrebbe meno il patto fondativo del più grande partito del centrodestra europeo”. Ma, in questo modo, le due “colombe” rischiano di voler trasformare Fini da politico di respiro europeo (alla Chirac, come ha detto Vendola; degno interlocutore di una sinistra riformista), a capo ciurma di un drappello o manipolo di disperati (o sfigati): ben poca cosa per sperare in una visibilità e in un peso per un vero cambiamento dentro al Pdl. Ma Fini non ci sta a farsi diminuire e svilire e, sebbene il capitolo principale rimanga Berlusconi e la campagna mediatica del Giornale per farlo dimettere da presidente della Camera, si attacca, da politico di razza , alle dichiarazioni di Napolitano per far scrivere da Bocchino, Viespoli e Moffa un comunicato per dire che bisognerebbe ascoltare parole del Capo dello Stato anziché giocare allo sfascio. Ed un altro assit glie lo fornisce involontariamente proprio il Cavaliere che non convoca, a Palazzo Grazioli, sabato mattina, il fondatore Pdl Rotondi, che con Caldoro e Giovanardi potrebbe trascinare altri quattro parlamenari e due senatori, in posizione polemica contro il Pdl e, forse, contro il governo. Certo, per il momento, il viceministro per l’Attuazione del Programma, risponde al capigruppo alla Camera di Futuro e Liberta’, Italo Bocchino, che aveva consigliato a Berlusconi di varare un nuovo governo con i finiani, Udc, Api e gli scontenti del Pd, che: “tradizionalmente questi giochini estivi duravano fino a ferragosto e ormai siamo in rientro ed aggiunge che: “ è bene rassegnarsi al governo che c’e', ricordando la favola della vecchia e del tiranno, che potrà valere anche per Bocchino”. Sarà anche così, ma nella liquida situazione attuale a Mirabello potrebbero essere più di 40 i parlamentari, con al seguito una decina di senatori, tanto da imbarazzare davvero il Cavaliere, che sempre più vorrebbe evitarle queste più volte minacciate elezioni, che fanno piacere solo a Bossi. Riecheggiano, come l’ammonimento di Cesare a Bruto, le parole, di qualche settimana fa del solito Bocchino, che, parlando della’incontro del 5 settembre, fa intravedere un barometro fisso su tempesta. E non è l’unico segnale negativo per la barcollante nave del Cavaliere. Siccome il particolare ci da il senso generale delle cose, si consideri quanto accaduto il 19 agosto in regione Campania, con Stefano Caldoro che apre a un candidato sindaco dell’Udc al Comune e il giorno dopo Nicola Cosentino che frena e dice: “viene prima il Pdl”. La firma a tre del documento “autonomista” con Gianfranco Rotondi e Carlo Giovanardi, non può essere sottovalutata ed è anzi un segnale forte ai tentativi di blocco delle libertà di manovra da parte del Cavaliere e dei pochi che credono di essere berluscones di serie A, a tutti gli altri. Non si dimentichi che, nel 2006, fecero una lista assieme, per la Campania, Rotondi della Nuova Dc e il Nuovo Psi di De Michelis-Caldoro e da qui ad allargamenti strategici il passo è piuttosto breve. E se Berlusconi (ed altri della cerchia a lui più vicina), debbono tutelare i propri interessi, non si possono dimenticare che anche gli altri hanno problemi. Ad esempio, restando su Caldoro, non va dimenticato che ha in Consiglio un gruppo a lui intitolato, il cui presidente, Gennaro Salvatore, ha colto al volo la sortita di Clemente Mastella, che ha messo a disposizione il suo nome per Palazzo San Giacomo, per decretare che “Mastella sarebbe candidato giusto e legittimo”. Insomma, al tavolo da gioco non c’è solo il mazzo di carte del Pdl. E, ancora, vi è un non insignificante terzo fronte nell’agenda di Caldoro: la riconciliazione socialista. Fausto Corace, leader del Pse ex Sdi, gliel’ha detto chiaramente nei giorni del dossier della P3: “Azzera la giunta e ti appoggiamo”. E Salvatore ha risposto che Caldoro era legato all’equilibrio politico col quale aveva vinto le elezioni, ma certo poteva anche cercare “nuovi sostegni e contributi”. Intelligenti Pauca. Con questi ed altri problemi per Berlusconi, è normale che Fini faccia il temporeggiatore, perché intende, come dice sul Messaggero Claudio Rizza, lasciare il cerino in mano al premier e far passare l’idea che non è lui ad andarsene dal Pdl, ma Berlusconi a mandarlo via, assumendosene tutte le responsabilità, non solo di fronte agli elettori italiani, ma a tutti i popolari europei. Per chi è interessato alla questione (e io direi tutti gli italiani, se hanno compreso che o la politica torna in mano ai politici, sfuggendo di mano ai faccendieri o per la Nazione è finita), il primo giro di boa sarà Mirabello il 5 settembre, dove si vedrà se Fini ed i suoi giocano o no al ribasso e il secondo il 17 settembre, quando i probiviri dovranno decidere sull’espulsione dei tre finiani più scismatici Briguglio, Granata e Bocchino. Soprattutto lì si capirà se lo strappo viene confermato o se è possibile una ricucitura, se, quindi, si avvicinerà o si allontanerà lo scisma con nuovo partito e si dovrà passare la mano a Napolitano per trovare soluzioni.
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