L’opinione – Cinque punti e matassa da sbrigliare
(di Carlo Di Stanislao) – Smessa la molmentosità amareggiata del leader tradito e vestita la maschera del buonista convinto, Berlusconi, ieri, ha illustrato in conferenza stampa il documento in cinque punti su cui chiedere al Parlamento, finiani in testa, di rinnovare la fiducia al governo, emerso dopo il lungo vertice a Palazzo Grazioli e basato su fisco, federalismo, giustizia, Sud e ponte sullo stretto di Messina. Nell’introduzione, il premier, interviene anche nel delicato dibattito sulla possibilità di governi sorretti da maggioranze diverse da quelle elette, sostenendo che “non c’è nessuna teoria giuridico-politica che possa giustificare” che chi è stato sconfitto vada al governo. Parole che cercano di inchiodare il Quirinale e che certo non migliorano lo stato dei rapporti fra lui e l’inquilino del Colle. Poco importa: per il Cavaliere di Arcore ho si ribadisce definitivamente la sua leadership come inconfutabile o si torna a votare, anche perché queste nuove, elezioni, anche con una Lega forte, lui è sempre convinto di vincerle. Naturalmente Berlusconi sa benissimo che la fiducia non metterebbe al riparo il governo dal pantano parlamentare con i finiani e, pertanto, nel suo calibrato intervento, chiarisce subito che non intende “accettare trattative come quelle che si sono verificate nel passato”. Con un evidente riferimento a quanto avvenuto per il testo sulle intercettazioni (sulle quali promette di voler intervenire nuovamente) che i finiani hanno praticamente stravolto. Del resto, ricorda, proprio quella pratica “ha portato alla decisione assunta nell’ufficio di Presidenza” che ha sancito lo strappo con Fini. Rivela anche, a tal proposito, che a convincerlo su questa strada sono stati dei “focus”, che dimostrano come un terzo dei suoi elettori ha letto il suo atteggiamento verso Fini come risultato del suo ormai noto “buonismo”; un terzo come segno di “senescenza” ed il terzo rimanente come segnale è che sotto ricatto. Per questo il Cavaliere si è sentito spinto ad un decisione netta e chiara, per non dare credito a chi lo vede azzoppato, invecchiato e sotto scacco. E sempre per questo è anche disposto al tutto per tutto di elezioni anticipate che tuttavia, come dice su Il Sole 24 Ore Stefano Folli, molto teme: sia perché potrebbe anche perderle come accaduto in Francia A Chirac; sia perché la Lega potrebbe aumentare i suoi voti e quindi la presa sull’esecutivo. Berlusconi assicura che in caso di voto anticipato, il Pdl e la Lega raccoglierebbero “oltre il 50%”. Ma non dice in che quote. Forse proprio perchè sa che una buona fetta di voti sarebbero raccolti dal partito di Umberto Bossi. In tanti si chiedono cosa accadrà ora. Berlusconi nega di voler riportare alla base alcuni “finiani moderati” ed invece circola insistita la voce di proporre, eliminato Fini, Alemanno come vice-premier e forse anche suo delfino, per recuperare quell’elettorato di An che ora è confuso, disorientato ed incerto. Comunque, di là della strategia, quel che appare certo è che l’atteso vertice del Pdl non ha modificato di molto l’intricata situazione in cui versa la maggioranza, tanto che i finiani, commentano tranchant: “tanto rumore per nulla” ed il loro capogruppo Bocchino dice di accettare il documento programmatico al “95%” e ancora, che parti del punto sulla giustizia non erano nel programma di governo, tanto da far intendere battaglie e distinguo sulla questione. Egli chiarisce che non ci saranno difficoltà a votare la fiducia “perchè il documento chiede cose che sono in gran parte già nel programma del Pdl. Rimane aperta – avverte però – molte questione del processo breve”, che sono proprio quelle più urgenti per il Cavaliere che, lo ha avvertito Ghedini, fra marzo ed aprile si vedrà sotto minaccia di condanna nel processo Mills. L’unica cosa, infatti, che davvero preme a Berlusconi, scrive un acuto osservatore come Umberto Macri su La Stampa, è nascosta tra le pieghe del documento finale, sotto la voce “Giustizia” e consiste nel passaggio (soppesato parola per parola nel vertice a Palazzo Grazioli) sulla ragionevole durata dei processi. Sarà “indispensabile”, sostiene il premier, “approvare apposite norme” a riguardo. Un testo c’è già, ed è quello licenziato a Palazzo Madama prima dell’estate. Se passerà così com’è pure alla Camera, il Cavaliere riuscirà a salvarsi dalla condanna che incombe sul suo capo a Milano (vicenda Mills). Bisogna però che la legge proceda al galoppo e, soprattutto, dal punto di vista del premier, è necessario che nessuno modifichi la norma transitoria, cucita su misura per far saltare i suoi processi. Insomma, il documento di 10 pagine e 5 punti è tutto concentrato sul, tema ancora irrisolto, della giustizia ad berlusconem ed il resto è solo fumo o aria fritta. I timori che animano la compagine berlusconiana sono di matrice squisitamente politica, ma quelli di Berlusconi, invece, di matrice squisitamente personale e penale. Se infatti la teoria prevede che alla ripresa dei lavori parlamentari si proceda parallelamente con lodo Alfano costituzionale e processo breve (per cercare di fermare i giudici milanesi), la pratica vede profilarsi all’orizzonte il rischio che i finiani alzino il prezzo del consenso alle manovre giudiziarie del premier e dei suoi, fino a limiti che un parlamentare di area berlusconiana definisce “di guardia”. Un punto cruciale delle richieste finiane è lo stop al temuto discorso-affondo di Berlusconi in Parlamento contro la magistratura, che porterebbe con ogni probabilità alla rottura definitiva Pdl-Fli, anche dopo l’accettazione (lo ricordiamo al 95%, quindi con possibile margine di manovra) del documento a cinque punti. Per non parlare poi che quanto la trattava si dovesse allargare ad altri temi (università, infrastrutture, sicurezza, immigrazione, ecc.), l’intesa si allontanerebbe ulteriormente. Non a caso, l’altro ieri il “falco finiano” Fabio Granata, ha dichiarato netto: “Serve una politica che sappia fare un passo avanti nel contrastare tutte le mafie e cricche, sostenendo i magistrati, le procure le forze dell’ordine con parole adeguate, atti legislativi, strumenti e risorse e non si accontenti dell’autoreferenziale elencazione, dal forte sapore di propaganda, di arresti e confische”. La matassa resta ingarbugliata, con una opposizione che non sa che pesci pigliare, un Pd che si dice pronto alle elezioni col modello “porta a porta” alla Berlusconi, ma ancora discute su quale legge elettorale sostenere; l’Idv che ora si dice pronto ad un governo di transizione per la riforma elettorale ed i “centristi” che ne dicono una al giorno. Il bandolo di questa ormai aggrovigliata matassa, è in mano a Napolitano e solo lui sarà chiamato ad operare scelte a partire da settembre. Per ora ha già avvertito che non si farà strattonare da nessuno e, in punta di costituzione, valuterà se la maggioranza tiene e, in caso contrario, ogni possibile alternativa, prima di indire nuove elezioni. E anche se molti affermano che, visto che nel 2006 il Capo dello Stato conferì a Silvio Berlusconi l’incarico di formare il governo poche ore dopo le elezioni e a seguito di consultazioni brevissime, spiegando: “in questo sistema bipolare, col premier indicato sulla scheda, è il risultato elettorale a determinare l’assegnazione degli incarichi”; non è detto che valuti oggi la situazione allo stesso modo.
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