L’opinione – Vento di elezioni
(di Carlo Di Stanislao) – Con una sinistra senza leader né programma ed una destra ormai esplosa, si preannunciano prossime elezioni già in ottobre, mentre l’Italia è una nave in un oceano in tempesta, con un timoniere che è preoccupato solo di conservare il suo ruolo sul ponte di comando ed una ciurma allo sbando totale. In una intervista su Repubblica, il 9 agosto, Enrico Letta, vicepresidente del Pd, sintetizza bene l’aria che tira nell’opposizione, dicendosi convinto che, se si andasse alle elezioni anticipate, Berlusconi conquisterebbe quella maggioranza che gli consentirebbe di salire al Quirinale dopo Napolitano; per questo il centrosinistra deve compattare l’intero fronte anti-berlusconiano, compresi Fini-Casini-Rutelli, turandosi il naso e quant’altro pur di fronteggiare la nuova emergenza democratica. Insomma, il Pd sorprende ancora una volta, per la fantasia dei suoi dirigenti che, anche in questo caso, ripropongono la stessa strategia asfittica di Prodi. Invece, da Ponte di Legno, accompagnato dall’ormai inseparabile “figlio-trota”, Bossi paragona il governo tecnico ad una trovata davvero risibile, escogitata solo per mandare a casa Berlusconi e lo paragona ad un cocomero a fregatura, chiarendo, al contempo, la vera strategia della Lega, che, con il vento in poppa, cercherà di lucrare il più possibile sul trend favorevole scaturito dall’ultima tornata elettorale amministrativa e puntare alle elezioni anche se il furore populista, come sempre nel Carroccio, va a braccetto con il tentativo di candidarsi a un ruolo di mediazione (solo apparente, credo) tra Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. I più informati non nascondono che nella Lega si starebbe lavorando per stendere quei 4-5 punti (federalismo, giustizia, sud, fisco) che potrebbero rimettere insieme i cocci del Pdl. In realtà non sfugge il fatto che sebbene Calderoli, sempre a Ponte di Legno, abbia affermato che sul federalismo i decreti attuativi passeranno automaticamente anche se cade il governo, le insidie parlamentari sono molte e forse non conviene arrivare a una crisi così presto. Infatti la Lega ha tutto da guadagnare, in apparenza, dai venti di elezioni, ma sarà dura convincere il proprio elettorato, dopo 15 anni di promesse federali di fatto rimaste lettera morta, a concedere ancora fiducia ai leader storici dell’indipendenza Padana. Inoltre, anche se ieri, Giorgio Napolitano su L’Unità e Renato Schifani, sul Corriere della Sera, si sono augurati, in premessa, la continuità della legislatura; le loro interviste e ricette divergono sostanzialmente. Napolitano ha messo in guardia dalle conseguenze del “vuoto politico” che l’interruzione traumatica della legislatura determinerebbe anche sull’economia del Paese; Schifani, invece, sottolineato che non ci sono alternative alla maggioranza scelta dagli elettori e che, di conseguenza, il ricorso alle urne sarebbe inevitabile in caso di caduta dell’esecutivo. E sulla linea dettata dal presidente del Senato si attesta tutto il Pdl che, con una mezza dozzina di ministri, i capigruppo parlamentari e uno stuolo di deputati sposa incondizionatamente le sue tesi, per marcare così le distanze da Napolitano, del quale non viene condivisa, in particolare, la scelta di dare l’intervista a un giornale di opposizione come L’Unità. Netto è anche il distinguo di Bossi dalle posizioni del capo dello Stato. Secondo il Senatùr il ”vuoto politico“ paventato da Napolitano “potrebbe essere anche una maggioranza spaccata che non riesce a combinare niente. Per cui è naturale andare ad elezioni quando il governo non funziona più”. E, ancora più interessante, è notare che mentre uno stuolo di ministri (Frattini, Alfano, Bondi, Sacconi, Brunetta e Rotondi) hanno unanimemente sottolineato “l’equilibrio e la saggezza” del presidente del Senato, per concludere che, a settembre, o la maggioranza si ricompatta o la parola passa necessariamente agli elettori, è già partito l’attacco diretto, becero e squadrista al capo dello Stato da parte di importanti esponenti del Pdl, come Giorgio Straquadanio, che nelle parole di Napolitano vede :“un tentativo di indirizzare le scelte istituzionali al di fuori della via maestra che la Costituzione indica in caso di crisi: le elezioni e da cui fa discendere il serio interrogativo sull’indipendenza e neutralità del supremo garante della Costituzione”. Con Napolitano si sono schierati invece Pd ed Udc, ma non l’Idv. “Le sue parole”, ha commentato il segretario Pier Luigi Bersani, “sono un richiamo forte e chiaro alla responsabilità politica e ai principi costituzionali”. “Finché Berlusconi non avrà fatto la Costituzione di Arcore”, ha concluso, “volente o nolente rispetterà quella su cui ha giurato e sappia che le minacce esplicite o velate non impressionano nessuno”. “Condividiamo in pieno il suo prezioso invito alla moderazione dei toni e alla sobrietà”, ha affermato il segretario della’Udc Lorenzo Cesa, ricordando come “in caso di sbriciolamento della maggioranza c’è la Costituzione a fare la massima chiarezza sui percorsi da seguire”. Diversa la posizione di Antonio Di Pietro. “Il presidente della Repubblica ha detto una cosa giusta, anzi giustissima, ma ritengo che il suo messaggio sia in anticipo e possa generare equivoci e malumori. Lui è l’arbitro, e non può muoversi come un giocatore perché così rischia di condizionare il gioco”. Infine, dopo Montezemolo, anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia ha espresso la sua preoccupazione: “Basta con gli insulti e i dossier” ha detto, “perché quello che serve al Paese per tornare a crescere sono riforme chiare» e nel ribadire lo stop al massacro, ha detto anche no a “forzature” ed elezioni anticipate: “Se si dovesse tornare alle urne sarebbe una sconfitta”. Il problema per la Marcegaglia sono le riforme. ”Noi – spiega – abbiamo sperato nella stabilità e nelle riforme” e con un governo con la maggioranza solida ”era legittimo puntare su riforme condivise e ragionevoli, in politica e nell’economia. Riforme nell’interesse del Paese, non di questa o quella fazione”, dice la Marcegaglia. Il governo, sostiene, con tre voti di fiducia avuti dal Paese (elezioni politiche, europee e regionali) ”aveva davvero un’occasione d’oro per amministrare e riformare. Invece al paese non vengono presentati dibattiti politici seri ma conflitti personali, battaglie mediatiche senza esclusioni di colpi. E non c’e’ un programma di lungo periodo, una strategia”, c’e’ ”l’assenza di un progetto forte” con la classe dirigente del centrodestra ”prigioniera delle sue polemiche” e ”colpevole davanti al paese di non sapersi assumere le responsabilita’ per cui e’ stata chiamata al governo”. Quando si parla di elezioni anticipate poi la Marcegaglia chiede ”serieta”. ”Ma vogliamo scherzare? A meno di tre anni di elezioni anticipate del 2008?”, nota il leader degli industriali sottolineando come ”nel mezzo della più grande crisi dal 1929 il Paese pretenda stabilità e un governo con una maggioranza fortissima non puo’ parlare di tornare alle urne”. Certo, aggiunge, ”questa legge elettorale non e’ brillante” ma ”riformarla non e’ impossibile”. Se però in ogni caso si andrà alle urne, se il centrodestra ”non riuscirà a riportare la legislatura su binari normali, se la rissa vincerà’ per la Marcegaglia ”non sarà una sconfitta per questo o quel leader del governo ma per l’intera leadership che ha vinto le elezioni del 2008”. Peccato che né Bossi né Berlusconi la pensino come lei. Quanto al Cavaliere, secondo l’Unità, è molto amareggiato e non solo per la ferita non ancora sanata del morso di Fini alla sua mano allungata, ma per le cose dette da Napolitano che non intende affatto rinunciare alle proprie prerogative costituzionali, a cominciare dal potere di scioglimento delle Camere. Era convinto che, in caso di caduta del governo in Parlamento, il Colle avrebbe automaticamente indetto le elezioni anticipate, ma ora appare evidente che non è così. Le parole del Capo dello Stato, raccontano dal suo entourage, gli sono andate di traverso: fin dalle prime anticipazioni dell’intervista del Presidente ha messo in moto la sua reazione, attraverso l’interposta persona di Schifani con la già ricordata intervista al Corriere. E mentre continua per Fini “il trattamento Boffo” e la posizione del Presidente della Camera si aggrava (grazie alla campagna tenace de il Giornale, Libero e anche Panorama), minandone se non la statura politica, almeno la credibilità morale, resta evidente il problema Napolitano, che si frappone fra lui e la conservazione del potere. Insomma, in buona sostanza, Bossi vuole le elezioni per rosicchiare voti, Berlusconi per riaffermare il suo ruolo di leader indiscusso, tutti gli altri, per motivi diversi, di elezioni farebbero a meno. Ciò che del tutto chiaro, in questo agosto in piena confusione, è che il Cavaliere vorrebbe il presidenzialismo di fatto e per questo chiede il voto e pensa di mettere il suo nome al posto del Pdl sulla scheda elettorale (oltre che per l’impossibilità di usare fino al 2014 quel simbolo senza il consenso di Fini). E in questo turbinio di istanze, solo le prossime settimane e, soprattutto, la riapertura delle Camere a settembre, ci dirà qual è il vento dominante e dove la bussola sta indirizzando la nave Italia.
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