L’opinione di Ceci – Abruzzo Engineering, perchè salvarla?
(di Giampaolo Ceci) – La questione di Abruzzo Engineering apre una questione molto più vasta di quanto si pensi. Ha senso che enti pubblici costituiscano società coi soldi pubblici per svolgere attività che possono essere utilmente reperiti sul mercato privato? Ovvero per quale ragione un Ente pubblico dovrebbe dotarsi di una propria struttura tecnica specialistica?
A parte le intuibili illazioni malevole che purtroppo spesso sono vere, la motivazione più gettonata è: “per avere servizi migliori a prezzi minori”.
Se questa è la motivazione allora le Aziende Ospedaliere potrebbero costituire imprese pubbliche per la manutenzione dei loro Ospedali; i Comuni potrebbe costituire loro società di ingegneria a cui affidare tutti i progetti che rientrano nelle loro finalità statutarie o consorziarsi per farne una comune come per Abruzzo Engineering.
Ma perché fermarsi a questo. Gli Enti Pubblici potrebbero anche costituire società di costruzione che realizzi i progetti e ne garantisca le manutenzioni.
Cos’ facendo però si riducono di molto gli spazi provati che per assurdo potrebbero portare alla scomparsa delle gare di appalto e degli affidamenti professionali pubblici. Questo sarebbe un bene per la società?
Si potrebbe facilmente dimostrare che paradossalmente invece è vero proprio il contrario e che un Ente pubblico svolge meglio la sua funzione sociale se non realizza nulla al suo interno, anche perché questa politica semplifica e snellisce di molto la struttura dei suoi costi fissi che poi determinano l’ammontare delle tasse che dobbiamo pagare.
Il risparmio che l’Ente pubblico ottiene realizzando i servizi al suo interno, purtroppo si tramutano impietosamente in un freno alla crescita delle imprese che operano nel suo territorio e una riduzione delle imposte senza le quali l’Ente pubblico non potrebbe espletare le attività sociali che sono la ragione della sua esistenza.
Insomma fare da se è gratificante per l’Ente Pubblico, ma approfondendo si potrebbe rivelare una vittoria di Pirro.
Richiedere i servizi al mercato locale è meglio, anche se fosse più costoso, perché, pur spendendo di più, si attivano processi economici virtuosi molto più utili al territorio, del risparmio conseguito nel realizzare i servizi in casa.
Le aziende pubbliche, una volta raggiunto il loro l’equilibrio economico, non hanno bisogno di crescere o modernizzarsi tanto non hanno concorrenti. Il loro mercato e il futuro sono al sicuro. Poi non possono essere neppure ridimensionate se il mercato cala, come ben sappiamo. Insomma sono una palla al piede.
Tra l’altro questa “tranquillità” può determinare un precoce invecchiamento dei servizi erogati da queste strutture.
L’affidamento dei servizi ad una società esterna all’ente pubblico comporta invece diversi vantaggi, se ragionassimo in un’ottica sociale.
Il primo è che, mentre la società pubblica ha un mercato garantito, quelle private invece devono organizzarsi per restare competitive sul mercato, ovvero devono saper espletare servizi di più specializzati a costi sempre minori.
Se ben gestite queste società, a differenza di quelle promosse dagli enti pubblici, svolgono un’altra importante funzione quella di poter assumere una dimensione regionale o nazionale e quindi aggredire territori e mercati più ampi.
La loro crescita comporta il travaso in zona di risorse economiche reperite da “fuori”.
Questo si chiama produrre ricchezza per il proprio territorio e progresso per tutti.
Gli Enti pubblici e lo Stato allora non devono mai costituire società pubbliche?
No, non è detto, agli Enti resta sempre il delicato compito di fornire tutti i servizi di cui la collettività ha bisogno, soprattutto quelli troppo complessi, costosi o strategici o quelli sociali che non fossero economicamente vantaggiosi e che quindi nessun privato organizzerebbe mai.
Per definizione, quindi le imprese pubbliche, che erogano servizi sociali, devono necessariamente operare in perdita o con ristretti margini di guadagno, perché se producessero utili significativi allora espleterebbero una vera e propria attività economica e non un servizio di pubblica utilità, producendo un’indebita ingerenza nel mercato del privato a cui vedrebbe sottratta una possibile attività economica che in un sistema liberale sono il motore dell’economia e del benessere.
Al pubblico e allo Stato resta il solo non secondario compito di controllare che la competizione tra i privati si svolga lealmente in un quadro di regole certe e garantite.
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