Cossiga: finto matto delle contraddizioni
L’Aquila- (di Carlo Di Stanislao) – Dotato di capacità di osservazione acuta e “cristiana modestia” (ma presa dai gesuiti o dagli scolopi, non certo dai francescani), incline alla battuta ironica e pronto a favorire scuse pubbliche, Cossiga spesso è stato tacciato di follia; una personalità complessa suscettibile di amori e dissapori. “Ma io non sono matto. Io faccio il matto. È diverso… […] io sono il finto matto che dice le cose come stanno”, ha detto nel 2007 in una intervista al Il Foglio. Gli stati depressivi non sono un’invenzione dell’età moderna. Esistono da sempre. Come dimostrano numerose testimonianze, la depressione e la sua variante più attenuata, la malinconia, sono state descritte da artisti e letterati dei secoli passati. Fino a oggi, tuttavia, si è indagato pochissimo sui fattori scatenanti, i motivi e le cure della depressione. Senza dubbio ciò è in parte da ricollegare alla dinamica stessa di questo stato d’animo, perché diversamente dal soggetto aggressivo, che scarica la frustrazione all’esterno, il depresso la tiene tutta per sé. Si ritrae al proprio interno, si nasconde, non vuole avere nulla a che fare con il resto del mondo e, di conseguenza, riceve anche molta meno attenzione. Quello che il depresso considera il significato, lo scopo della sua vita, va perduto, o comunque non si realizza. E non è un caso che Cossiga abbia a lungo sofferto e a più riprese, di depressione. Oggi l’ex presidente della Repubblica e Senatore a vita , Francesco Cossiga, 85 anni lo scorso 26 luglio, è stato ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per problemi respiratori, che si sarebbero aggravati nel corso della giornata, tanto che, sembra, in serata gli sarebbe stato somministrato il sacramento dell’unzione degli infermi, altrimenti noto come estrema unzione. Il reparto di rianimazione è blindato, è vietato l’accesso a giornalisti e telecamere e poliziotti in borghese sorvegliano la zona. La famiglia ha chiesto di mantenere il più stretto riserbo. Durante il settennato della sua presidenza della Repubblica, prima con le sue rivelazioni sul caso Gladio, poi sulla P2, poi con le “picconate” alla degenerazione partitocratica di ogni colore, è stato considerato da molti “un matto da legare” e da tanti altri un uomo pericoloso e da temere. Ma il suo nome resta soprattutto legato al caso Moro. Nel marzo-maggio 1978, ricoprì l’incarico, cruciale e decisivo, di ministro dell’Interno nel governo Andreotti e, per cinquantacinque giorni, diresse le indagini sul rapimento di Aldo Moro nell’agguato di via Fani da parte delle Brigate Rosse e non ha mai raccontato interamente le verità di cui è a conoscenza. Nel 2002 intervenne sul più diffuso quotidiano del nostro Paese, Il Corriere della Sera, per smentire la testimonianza dell’on. Giovanni Galloni, che un mese prima, durante la presentazione del libro di Giuseppe De Lutiis sulla vicenda, aveva riaffermato la sua convinzione della presenza della Cia nell’affare complesso legato al rapimento e all’assassinio successivo dello statista cattolico. In quella versione Cossiga chiama in causa il supposto silenzio del Pci, poiché: “non i vertici del partito, non Berlinguer e Pecchioli ma i capi sindacali nelle fabbriche conoscevano la verità e tacquero”. Secondo l’ex presidente, che chiama in causa l’ex brigatista Gallinari, “i comunisti e più ancora il Kgb hanno alimentato la leggenda nera della P2; ma i piduisti che facevano parte del comitato di crisi del Viminale erano tutti protetti di Moro. Ed erano filoamericani. Del resto l’unico suggerimento che mi venne dagli americani fu di aprire la trattativa con le Br per farle venire allo scoperto”. Con simili affermazioni, Cossiga ha allontanato da sé i sospetti che ancora gravano, dal punto di vista storico, sul suo ruolo di ministro dell’Interno durante quei drammatici giorni, giacché assolve otto su dieci membri del Comitato di crisi del Viminale legati alla P2 in quanto “protetti di Moro”, anche se cade in una patente ed ulteriore contraddizione, perché sostiene che erano tutti filoamericani ma dimentica che Moro era, in quel momento, in grave contrasto con il Dipartimento di Stato americano per la politica di compromesso storico con il Pci. Ma, forse, per comprendere l’enigmatico, contraddittorio, contorto Cossiga, bisogno rileggere la sua lunga postfazione al volume “Il torto e il diritto . quasi un’ antologia personale”, a cura di Pasquale Chessa, edito da Mondadori nel lontano 1993. Scrive l’ex Presidente: “non trovavo contrasti nell’ auspicare e nell’ operare per il definitivo ingresso del Partito comunista (a me piace tuttora chiamarlo cosi’ , non trovando nella storia dell’ Italia nulla di indegno in questo nome, perche’ debba essere cancellato) nel circuito vivo del governo del Paese, a ogni livello e in ogni forma, e nel ritenere ormai storicamente realistica l’ accettazione nella vita democratica del partito della continuita’ non “del” ma “dal” fascismo”. Ed è evidente che tutto questo stride con l’anticomunismo radicale e radicato che ha da sempre contraddistinto ogni sua azione. Cossiga, anche in quel caso, vorrebbe farci credere che il suo scopo era di realizzare la “democrazia compiuta”, cioe’ la perfetta alternanza di governo fra maggioranza e opposizione; senza tener conto che la storia ce lo ha consegnato, nei fatti, come il presidente della Repubblica piu’ odiato dalla sinistra, il presidente di Gladio accusato di golpismo se non di stragismo (anche se nessuno, salvo Pannella, ha poi raccolto le firme per metterlo in stato d’ accusa) e non già, come scrive, estimatore di Occhetto al punto da essere pronto ad affidargli addirittura l’ incarico di formare il governo. Insomma già da allora, più di tre lustri or sono, Cossiga costruisce il suo bel falso monumento alla memoria e vuole farsi ricordare come un innovatore a cui solo le circostanze e le asprezze del contrasto politico hanno impedito di essere il de Gaulle italiano, o almeno il “traghettatore” , come si direbbe oggi , dalla prima alla seconda Repubblica. Il suo predecessore Sandro Pertini, secondo lui, era un conservatore sul piano istituzionale, legato al mito fondante della Repubblica. Mentre lui, capace di cimentarsi coi tempi e sul terreno della prassi, fu un riformatore: tanto che gli incarichi a Spadolini e a Bettino Craxi furono opera sua. E le contraddizioni fra fatti e detti, azioni e parole, sono continuate anche dopo. Nel 2005 dichiarò: “dal 1° gennaio 2006 non mi occuperò più di politica militante, né con attività, né con parole, né con scritti. Non mi occuperò di politica, salvo lo impongano imprescindibili motivi di coscienza etica […]”; continuando “nella vita vi è un tempo per operare ed un tempo per meditare e prepararsi a morire nella pace del Signore ed in amicizia con Lui”. Ma si sa, non sempre i buoni propositi corrispondono ad altrettante azioni. Dopo quell’annuncio, Cossiga ha continuato comunque a parlare e a scrivere di attualità politica intervenendo a tavole rotonde, a dibattiti televisivi e radiofonici concedendo, altresì, interviste sui temi banditi. Nel 2009, in un altro libro molto interessante da titolo chilometrico e colto (Mi chiamo Cassandra. Arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso,) a cura di Anna Maria Cossiga, edito da Rubbettino, Cossiga scrive della sua sardità un concetto non facilmente intuibile per chi sardo non è. Riferendo peculiarità tipiche della sua terra, il presidente tratteggia i riti superstiziosi e le fantasie di un popolo incline alle profezie e alle credenze folcloristiche. Ricorda l’incanto dell’autonomia del vecchio Ducato di Savoia, caduto a favore del nuovo Regno di Sardegna, e la stranezza dei sardi nel votare unilateralmente a sostegno della realtà che veniva configurandosi. Una terra dove «non si dice “rubare il bestiame”, ma “truvare sa roba”, cioè far camminare la roba” e dove la vendetta è azione alla quale un uomo d’onore non può sottrarsi. In questo capitolo Cossiga racconta le sue origini miste, tra borghesia e piccola nobiltà, la fanciullezza e i miti infantili appartenuti alla famiglia democratica, antifascista, repubblicana e autonomista sarda. Non perde occasione, l’autore, per puntualizzare la sua educazione in parrocchia-oratorio, diversamente da Romano Prodi, in parrocchia anch’egli, ma in “odore di sagrestia!”. Nel secondo capitolo, Alias, vengono riproposti gli alter ego di Cossiga, nomi con i quali firma articoli e interviste e che diventano emblematici della contraddizione del suo pensiero. Uno di questi è Franco Mauri, ispirato al nome completo, Francesco Maurizio, e con il quale su Libero del 2003 dichiara il suo mito politico, Palmiro Togliatti. Fa sorridere altresì la vignetta di Forattini riportata in copertina: un Cossiga vestito da magistrato al banco degli imputati che proclama: “Sono per il no, ma per non interferire, voterò sì”. E’ proprio vero, Cossiga della contraddizione ha fatto una bandiera ed è per questo che è un politico interessante, pieno di angolo bui, un angiporto labirintico più intricato della stesso compagno di partito Giulio Andreotti. Ancora su Il Foglio, nel 2003, da una definizione secca e netta anche su alcuni politici di oggi. Di Prodi dice: “è la persona che capisce meno di politica, ma è uno dei più furbi che conosco… dice le bugie meglio di Berlusconi”; mentre del Cavaliere e del suo partito afferma: “Forza Italia è l’unico caso di un partito fondato non sulla base di una scelta culturale e direi quasi filosofica, ma per emancipazione di un’unica personalità” e continua: “Berlusconi è una novità assoluta, unico caso di leader che ha creato un partito ex novo e dunque nemmeno concepibile senza di lui”. Infine, il 22 giugno dello scorso anno, Cossaga, dal Corriere, scrive una lunga lettera di amicali rimproveri al Cavaliere raccomandandogli: “basta rotolarsi nella melma”. In quel momento in cui il Cavaliere si trovava in un brutto impiccio per motivi “sentimentali” e anche” per motivi, diciamo così, mercantili”, Cossiga dice al premier che lui è “vittima dell’odio dei tuoi avversari ma anche delle tue imprudenze e ingenuità” e gli scrive di non credere “sia vittima di un complotto”. “Lascia stare i complotti – prosegue il presidente emerito della Repubblica – e respingi anche l`odio che è un cattivo consigliere anche per chi ne è oggetto”. Lo invita a vendere Villa La Certosa, “o meglio regalala allo Stato o alla Regione Sarda: è indifendibile e “penetrabilissima”. Lascia anche Palazzo Grazioli, che ha ormai una fama equivoca e trasferisciti per il lavoro e per abitarvi a Palazzo Chigi”. Non chiedere scusa a nessuno, scrive Cossiga, salvo che ai tuoi figli, quelli almeno che hai in comune con Veronica. “Non mi consta che gli altri due grandi sciupa femmine come Kennedy e Clinton abbiano mai chiesto scusa al loro popolo”. Chiede poi a Berlusconi di far la pace con Murdoch (“tra ricchi ci si mette sempre d`accordo”) e di cercare un armistizio con l`Anm (“porta alle lunghe la legge sulle intercettazioni e quella sulle modifiche del Codice di Procedura Penale e dai ai magistrati un consistente aumento di stipendio”). Altrimenti se il premier avesse voluto fare la guerra avrebbe dovuto tenere al Senato un duro discorso sfidando l`opposizione, “fa presentare una mozione di approvazione delle tue dichiarazioni, poni la fiducia su di essa e, come ai gloriosi tempi della Dc con il Governo Fanfani, fatti votare contro dai tuoi, impedendo con i voti la formazione di un altro governo, porta così il Paese a inevitabili nuove elezioni”. Beh, in parte, Berlusconi e la storia hanno dato ragione ai suoi consigli ed alle sue previsione da Pizia invasata. In mezzo ad un mare di contraddizioni Cossiga resta un uomo ed un politico fra i più importanti della prima e della fase iniziale della seconda Repubblica, un uomo che è passato attraverso varie vicende drammatiche e a cercato di riscattarsene, ma credendo, erroneamente, di poter tornare ogni volta quello di prima. Invece (e noi aquilani lo stiamo imparando), dopo grandi tragedie o grandi lutti, non si torna mai come prima e si resta, come dice Jodie Foster nel film di Nei Jordan “Nel buio dell’anima”, come cristallizzati e vuoti, dentro un altro noi, completamente diverso da come eravamo o speravamo di essere. Insomma una vicenda umana intricata e complessa quella di Cossiga, una vicenda molto difficile da decifrare e, soprattutto, da scusare e digerire.
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