Traumi psicologici da terremoto
L’Aquila – Il Prof. Flavio Colacito – Psicopedagogista – Dottore di Ricerca in Medicina Preventiva e Sanità Pubblica ci invia il seguente intervento:
Trascorso il periodo della spettacolarità dell’evento disastroso, spenti (quasi) tutti i riflettori mediatici, cosa si presenta davanti ai nostri occhi dopo più di un mese dal terremoto in Abruzzo? Oggettivamente i numeri: centinaia di morti, migliaia di sfollati, milioni di euro per la ricostruzione. Diversa cosa è invece il danno psicologico e sociale che, impossibile da quantificare, è comunque presente nelle persone a più livelli, come del resto non è possibile fornire una stima del grado di paura e terrore che accompagnano le lunghe giornate dei terremotati, lontani o vicini ai luoghi del disastro che ha scosso il mondo. La voragine che questo terremoto ha lasciato in ciascuno non è solo materiale, traducendo con questo termine la perdita dei beni, quindi in primis la casa quale valore affettivo e simbolico per eccellenza, ma in modo particolare psicologica: dentro l’animo di chi ha vissuto una tale esperienza vi è una compresenza di vari sentimenti, tra i quali primeggiano la paura, la rabbia e l’impotenza, elementi che lasciano tutti quanti ammutoliti, anche quelle persone estranee ai fatti ma che osservano le immagini catastrofiche legate alla devastazione del sisma, compresi i visi disorientati ed assonnati di chi è costretto a vivere in una tenda, circondato da un ambiente irreale nel quale gli unici rumori sono quelli prodotti dai volontari della Protezione Civile, o dalle forze dell’ordine, tutti impegnati nelle complesse attività di soccorso e aiuto verso chi, spesso, ha perso tutto, anche la speranza. Non è difficile comprendere quali possano essere le emozioni in questo momento. Certamente molta rabbia, poiché il destino ha inferto sulle persone un’ingiusta punizione, caratterizzata da scenari ai quali nessuno poteva essere preparato. Altro elemento ricorrente è la tristezza, in quanto il terremoto in questione ha cancellato in pochi secondi vite innocenti, bambini, giovani, studenti.
Forse molti sopravvissuti attualmente vivono avvertendo un profondo senso di colpa, probabilmente dovuto al fatto di non essere periti al posto dei loro figli o dei loro familiari. Purtroppo le conseguenze di un evento così calamitoso portano i soggetti ad incorrere facilmente in alcuni disturbi, mettendo ai primi posti l’intervento psicologico a scopo preventivo. Un tipo di inconveniente è Il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD), ovvero l’insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento. Lo stress che causa il disturbo post-traumatico ha una portata tale da essere traumatico per chiunque. Può derivare da esperienze di guerra, tortura, catastrofi naturali, aggressione, stupro e incidenti gravi, ad esempio incidenti stradali o con il fuoco. Le persone rivivono l’evento traumatico nei sogni o in fantasie a occhi aperti; sono determinate a evitare qualunque cosa possa ricordare loro l’evento e avvertono una riduzione della propria disponibilità a tali ricordi insieme a uno stato di ipervigilanza. Sintomi comunemente associati al disturbo posttraumatico da stress sono depressione, ansia e difficoltà cognitive (p.es., difficoltà di concentrazione). I criteri diagnostici del DSM-IV per disturbo post-traumatico da stress specificano che i sintomi dell’evitamento e dell’aumentata vigilanza devono essere durati più di un mese. Per i soggetti nei quali i sintomi sono stati presenti per meno di un mese, la diagnosi appropriata può essere di disturbo acuto da stress. I criteri diagnostici del DSM-IV per disturbo posttraumatico da stress consentono al medico di specificare se il disturbo è acuto (se i sintomi sono durati meno di tre mesi) o cronico (se i sintomi sono durati tre mesi o più). Il DSM consente inoltre al medico di specificare se il disturbo ha avuto un esordio ritardato, nel caso i sintomi siano esorditi sei mesi o più dopo l’evento stressante. La diagnosi di PTSD necessita che i sintomi siano sempre conseguenza di un evento critico, ma l’aver vissuto un’esperienza critica di per sè non genera automaticamente un disturbo post-traumatico. Il Disturbo Post Traumatico da Stress, si presenta collegato a tutte quelle situazioni nella quale l’individuo subisce un “colpo violento” accompagnato dalla messa in pericolo sia sul piano fisico che su quello emotivo, sia perchè lo subisce direttamente, sia perché vi assiste. Per esempio e’ la modalità principe per esprimere il disagio nelle persone che subiscono violenza in genere, violenza domestica o abuso, e altrettanto frequentemente nei casi di incidente automobilistico o disastri. Questo disturbo rappresenta dunque la possibile risposta di un soggetto ad un evento critico abnorme (terremoti, incendi, nubifragi, incidenti stradali, abusi sessuali, atti di violenza subiti o di cui si è stati testimoni, attentati, azioni belliche, etc.), e in molti casi può essere adeguatamente affrontato in sede clinica attraverso trattamenti psicoterapeutici specifici, diretti sia alla vittima che (in funzione di supporto, quando necessario e possibile) alla sua famiglia. Le persone con disturbo post traumatico da stress possono spaventarsi facilmente, diventare emozionalmente insensibili (particolarmente rispetto alle persone con le quali normalmente avevano una stretta relazione), perdere interesse nelle cose che normalmente amavano fare, avere difficoltà ad affezionarsi, essere irritabili, diventare più aggressive o persino violente. Evitano le situazioni che ricordano loro l’avvenimento originale e gli anniversari della data in cui è successo il fatto sono spesso molto difficili da affrontare. Quando necessario, la psicoterapia psicotraumatologica può eventualmente essere coadiuvata da una specifica terapia farmacologica. È importante ricordare che la maggior parte delle persone, anche se vive eventi potenzialmente traumatici, subisce solo delle reazioni emotive transitorie (“reazioni normali ad eventi anormali”) che, seppur dolorose, raramente si trasformano in un vero e proprio PTSD strutturato. Si valuta che la prevalenza lifetime del PTSD in una popolazione normale sia del 7,8%. Il PTSD non colpisce le persone più “deboli” o “fragili”: spesso persone apparentemente “fragili” riescono ad attraversare senza conseguenze eventi traumatici abbastanza importanti, mentre persone “solide” si trovano in difficoltà dopo eventi che hanno un significato personale o simbolico particolarmente difficile da elaborare. Il PTSD può prodursi a partire da poche settimane dall’evento (anche se sintomatologie similari, definite di ASD/DAS – disturbo acuto da stress, possono prodursi anche dalle prime ore post-evento), e perdurare per molto tempo; in altri, casi, il disturbo si manifesta ad una certa distanza di tempo dall’evento, anche dopo diversi mesi (PTSD tipo “Delayed Onset”). Oltre al PTSD classico è stata anche proposta la classificazione del sottotipo DESNOS (Disorder of Extreme Stress – Not Otherwise Specified) ai fini di un eventuale inserimento nel futuro Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders-V. Il DESNOS sarebbe una sindrome caratterizzata da sintomi particolarmente gravi e persistenti, spesso correlati con un pre-esistente Disturbo di Personalità di tipo Borderline. I pazienti con PTSD vengono abitualmente classificati in tre categorie, in base al loro tipo di coinvolgimento nell’evento critico che ha originato il disturbo: primari, le vittime dirette che hanno subito personalmente l’evento traumatico; secondari, i testimoni diretti dell’evento, o i parenti delle vittime primarie (ad esempio, nel caso di un lutto); terziari, il personale di soccorso (volontario o professionale) che si trova ad operare con le vittime primarie o secondarie. I principali disturbi, accusati dalla maggior parte dei pazienti, sono riassunti dalla cosiddetta “triade sintomatologica”, per come definita dalla classificazione del DSM-IV: intrusioni, evitamento, hyperarousal. In particolare, si possono riscontrare tra gli altri sintomi: Flashback: un vissuto intrusivo dell’evento che si propone alla coscienza, “ripetendo” il ricordo dell’evento. Numbing: uno stato di coscienza simile allo stordimento ed alla confusione. Evitamento: la tendenza ad evitare tutto ciò che ricordi in qualche modo, o che sia riconducibile, all’esperienza traumatica (anche indirettamente o solo simbolicamente). Incubi: che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno, in maniera molto vivida. Hyperarousal: caratterizzato da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate. In alcuni casi, la persona colpita cerca “sollievo” (ma in realtà peggiorando molto la situazione) con abusi di: alcool, droga, farmaci e/o psicofarmaci. Spesso sono associati sensi di colpa per quello che è successo o come ci si è comportati (o per il non aver potuto evitare il fatto), sensi di colpa che sono spesso esagerati ed incongruenti con il reale svolgimento dei fatti e delle responsabilità oggettive (sono detti anche complessi di colpa del sopravvissuto); spesso, sono compresenti anche forme medio-gravi di depressione e/o ansia generalizzata. Le persone affette da DPTS possono avere anche episodi di distacco emotivo, disturbi del sonno, depressione, ansia, irritabilità o scoppi d’ira. Comuni sono anche profondi sentimenti di colpa. Molte persone affette da DPTS cercano di evitare qualsiasi oggetto o pensiero che possa ricordare l’evento traumatico. La diagnosi di DPTS viene posta quando i sintomi durano più di un mese. In alcuni casi si vengono a produrre delle significative tensioni familiari, che possono mettere in difficoltà i parenti della persona con PTSD.È quindi importante riferirsi ad un professionista specializzato, psicoterapeuta e/o psichiatra, per affrontare il disturbo il prima possibile, perché con un adeguato trattamento è possibile risolverne la sintomatologia o mitigarla in maniera significativa (in molti casi, anche se si è già instaurata da anni).Il trattamento del Disturbo post-traumatico da stress è teso a risolvere i problemi psicologici e comportamentali elencati sopra. Le persone affette da DPTS hanno mostrato benefici da vari tipi di terapie, come quella cognitivo-comportamentale, la terapia di gruppo e terapia di esposizione, in cui il paziente rivive ripetutamente l’esperienza terrorizzante in condizioni controllate per aiutarlo a superare il suo trauma. I farmaci possono aiutare a ridurre i sintomi associati di depressione e di ansia e possono favorire il sonno. Alcuni studi mostrano che, dopo un’evento catastrofico, se le persone lo raccontano subito possono ridurre alcuni sintomi del DPTS.A volte, è indicato l’uso di farmaci associati alla psicoterapia. Tuttavia, i farmaci (in genere si tratta di antidepressivi) da soli non appaiono mai risolutivi, e procurano sono un sollievo temporaneo dai sintomi. L’intervento cognitivo-comportamentale porta invece a una progressiva riduzione dell’ansia e degli altri sintomi correlati all’evento traumatico, e nello specifico prevede l’applicazione delle seguenti tecniche: l’esposizione in immagini, una tecnica basata sull’esposizione del soggetto al ricordo del trauma attraverso resoconti verbali e immaginativi; l’esposizione in vivo, ossia il confronto graduale e controllato con quelle situazioni ansiogene precedentemente evitate dal soggetto; la terapia cognitiva, che si concentra sulle credenze e assunzioni del soggetto circa se stesso, gli altri e il mondo, procedendo ad una ristrutturazione cognitiva dei pensieri distorti dopo aver effettuato un assessment specifico e accurato. Grande attenzione al tema delle sequele post-traumatiche ha iniziato ad essere posta, in anni recenti, anche nell’ambito della medicina delle migrazioni e della cooperazione sanitaria internazionale (a causa dell’elevato numero di sindromi traumatiche, in bambini ed adulti, in contesti di guerra, violenza, povertà).
Prof. Flavio Colacito – Psicopedagogista – Dottore di Ricerca in Medicina Preventiva e Sanità Pubblica
Non c'è ancora nessun commento.