L’opinione: Showdown
(di Carlo Di Stanislao) – Mentre lo stato maggiore del Pd, ieri pomeriggio, è venuto in pullman a L’Aquila per sostenere la ricostruzione, a Roma ci si prepara, senza infingimenti, al probabile botto, che avverrà, pare, dopo la fiducia sulla manovra. Dice Bruno Vespa, su Il Giornale di Sicilia (è giunto a scrivere anche lì), che, come insegna la storia politica italiana, l’assenza di una opposizione strutturata ha sempre fatto esplodere i conflitti all’interno delle maggioranze. È quel che è accaduto e sta accadendo nel Pdl , dopo la vittoria anche alle elezioni regionali. L’assenza di appigli oggettivi ha enfatizzato quelli soggettivi di Fini nel suo carsico conflitto con Berlusconi, mentre le dimensioni della crisi economica e finanziaria hanno assegnato un ruolo di assoluta preminenza a Giulio Tremonti e la questione morale nel Pdl, resa più agguerrita e forte la Lega. Nell’aula di Montecitorio l’unico contento, ieri, pareva il ministro Giulio Tremonti. Lui, in qualche modo, in porto c’è arrivato: la finanziaria da 24 miliardi ha resistito ai consueti assalti alla diligenza ed è destinata a un voto di fiducia – definitivo, quello della Camera – dagli esiti scontati. Molto più teso ed inquieto il Cavaliere, arrivato alla Camera proprio per fare il punto finale sulla manovra con Tremonti e che ha deciso quasi subito di rinviare a mai più la prevista riunione con il ministro dell’Economia per affrontare le grane vere della sua maggioranza: Fini che chiede la testa di Verdini, i suoi pasdaran che invece vogliono quella di Fini, mentre Bossi intende mettere alla porta i dissidenti ma non vuol sentire parlare dell’ingresso nell’esecutivo di Casini. Secondo Il Giornale La scissione del Pdl è vicina e manca solo una scintilla per la rottura definitiva tra Berlusconi e Fini. A frenare il Cavaliere, esasperato dal lavoro di fioretto dialettico del co-fondatore, sarebbero solo Tremonti e Bossi, il primo interessato, pare, ad aspettare che la manovra sia completamente assorbita e il secondo, che pure lunedì, all’orecchio, gli aveva sussurrato “io e te siamo autosufficienti”, ora sostiene che è troppo importante portare a casa qualcosa sui decreti attuativi del federalismo, prima del possibile showdown. La nota politica di Massimo Franco, che spesso ci piglia, sul Corriere, dice che il Pdl, dentro cui si intrecciano e confondono note giudiziarie e convulsioni politiche, cercherà con ogni mezzo di non perdere altri pezzi, anche resta ferma l’intenzione del grande capo di ratificare, dopo sedici anni di alleanza, la rottura con il Presidente della Camera. Il capo del governo non vuole le dimissioni né del coordinatore Denis Verdini, né del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, indagato ieri per appartenenza ad associazioni segrete, né del coordinatore della Campania, Nicola Cosentino. La priorità apparente è l’approvazione della manovra economica, per la quale occorre una coalizione parlamentare blindata. Ma la vera urgenza resta il fatto, segnalato anche sul fedele Il Giornale, che ha ottorte scade il suo scudo protettivo e deve fare presto per altre tutele e garanzie. Domani, ad esempio, la Camera deciderà come calendarizzare quel che è rimasto della legge bavaglio e si sa che il premier ha fretta di fare passare le norme che spezzano le gambe ai giudici, perché troppi sono i procedimenti in corso sui suoi uomini. Il Cavaliere vuole dunque il sì della Camera entro il 5 agosto, perché subito dopo arriva la pausa estiva e del disegno di legge Alfano rischiano di perdersi le tracce fino a settembre inoltrato. Ma non è detto che tutto fili liscio: il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità potrebbe riservare sorprese, anche perché lì c’è lo scrutinio segreto. E nel tam tam di voci ormai impazzite di Montecitorio c’è perfino chi sostiene che molti berlusconiani doc potrebbero votare no di nascosto per scaricare la colpa sui finiani e arrivare finalmente alla rottura con il presidente della Camera. Pertanto, subito dopo l’approvazione della manovra, ci si aspetta che Berlusconi prenda di petto i rapporti fra la maggioranza e quella che definisce “giustizia politica”, probabilmente con un discorso al Parlamento e, parallelamente, cerchi, una volta per tutte, di liquidare la questione di Fini. L’urgenza improvvisa con la quale la minoranza invoca un incontro tra fondatore e cofondatore del Pdl nasce dalla percezione di un pericolo imminente. L’alternanza fra parole rissose e appelli in extremis segnala un epilogo difficilmente evitabile; e dalle conseguenze imprevedibili per lo stesso governo: anche perché i finiani non vogliono abbandonare il Pdl e daranno battaglia per rimanerci. È evidente, d’altronde, che l’uscita di scena della minoranza indebolisce numericamente la maggioranza. I dati sui gruppi parlamentari che Palazzo Chigi ha esaminato, offrirebbero margini di sicurezza ambigui, se non esigui. Tuttavia meglio pochi e sicuri, dicono fra le fila del Pdl ed anche il Cavaliere e Bossi, ritengono la situazione irrecuperabile e dunque sono d’accordo ad agire, anche se non subito, prima che le inchieste giudiziarie e le frustrazioni nel Pdl rimpolpino la pattuglia finiana. A tutto questo poi si aggiunge la difficilissima elezione del nuovo Csm, altro appuntamento rischioso per la maggioranza in programma la prossima settimana. A tutto questo poi si aggiunge la difficilissima elezione del nuovo Csm, altro appuntamento rischioso per la maggioranza in programma la prossima settimana.
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