Un enigmatico manoscritto
(di Carlo Di Stanislao) – “Chiarire un mistero è indelicato verso il mistero stesso” – Alberto Savinio
Un manoscritto misterioso dal testo indecifrabile, dai disegni insoliti, dalla provenienza temporale e geografica sconosciuta. Sono state proposte da ricercatori e analisti di tutto il mondo, che hanno chiamato in causa Kircher, Leonardo da Vinci, Roger Bacon, Dee, Nostradamus, Silvestro II, ma ancora oggi sono aperte le domande che da sempre gli studiosi si pongono: Perché sono stati raffigurati animali, fiori e piante sconosciuti? Perché quei disegni di donne svestite e immerse in strane vasche comunicanti colme di liquido verde? Perché quegli inspiegabili diorami astrologici? Nel tempo, le sue interpretazioni sono state innumerevoli: alcuni hanno sostenuto che fosse opera di un alchimista della corte di Elisabetta I, altri che si tratti della leggendaria Clavicola di Salomone, il testo magico per eccellenza, altri ancora che non abbia nessun significato e sia soltanto una straordinaria beffa concepita da qualche erudito. Noto come “il libro più misterioso del mondo”, scritto su pergamena di vitellino e di dimensioni piuttosto ridotte: 16 cm di larghezza, 22 di altezza e 4 di spessore, il manoscritto Voynich consta di 102 fogli, per un totale di 204 pagine, con rilegatura che, tuttavia, porta a ritenere che originariamente comprendesse 116 fogli e che 14 si siano smarriti .Fanno da corredo al testo una notevole quantità di illustrazioni a colori, ritraenti i soggetti più svariati: proprio i disegni lasciano intravedere la natura del manoscritto, venendo di conseguenza scelti come punto di riferimento per la suddivisione dello stesso in diverse sezioni, a seconda del tema delle illustrazioni. Gli studiosi hanno convenzionalmente suddiviso il Voynich in alcune sezioni in base alle illustrazioni che le caratterizzano, così la prima parte del testo (che va dal foglio 1 al foglio 66) è chiamata botanica, perché essa contiene 113 disegni di piante di specie non identificata. Sono piante dalle forme strane, con grandi foglie alcune puntute, altre rotonde e flaccide; con radici contorte che sembrano alghe o gonfie come spugne o coralli, molte hanno strani tubercoli, e alcune delle piccole teste umane. Gli steli sono talvolta doppi o tripli, uniti fra di loro a formare delle anse e delle arcate. I fiori raffigurati non sono meno bizzarri: alcuni hanno la forma di campane, altri sono larghi e tondi come piatti; altri ancora sono piccoli e spinosi, altri hanno un aspetto carnoso e composito. La sezione II (fogli 67-73): chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammmi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione. La III (fogli 75-86): chiamata biologica, nomenclatura dovuta esclusivamente alla presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro. Dopo questa vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi. Segue la sezione IV (fogli 87-102): detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie. In questa sezione vi sono anche disegni di piccole piante e radici, presumibilmente erbe medicinali. L’ultima sezione del Manoscritto Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, fatte salve delle stelline a sinistra delle righe, ragion per cui si è portati a credere che si tratti di una sorta di indice. Diversi caratteri (almeno una dozzina) sono perfettamente identici alle abbreviazioni latine in uso presso gli amanuensi fra i secoli XIII e XV, per cui è molto verosimile che l’autore, o gli autori, abbiano avuto suggestioni in tal senso. Un botanico avrebbe riconosciuto, nella prima sezione, al foglio 33 la riproduzione del girasole (Helianthus annuus) e tale elemento sarebbe di importanza decisiva per datare il manoscritto, poiché il girasole arrivò in Europa dall’America non prima del 1493, il che esclude, contrariamente a ciò che si disse, fosse da attribuire a Ruggero Bacone, il quale morì alla fine del XIII secolo. L’ipotesi più suggestiva resta quella secondo cui il manoscritto Voynich sia l’unico testo pervenutoci dei Catari, da molti ritenuti i veri custodi del Santo Graal. Questo documento sarebbe dunque l’unica copia di ciò che rimane della loro lingua e dei loro segreti, intrecciati a doppio filo con il volto di Maria Maddalena e del suo sangue reale. La storia recente e nota di questo libro inizia nel 1912, quando un mercante di libri antichi statunitense, Wilfred Voynich, lo acquista dalla scuola dei gesuiti di Villa Mondragone, presso Frascati e per questo motivo, il documento è comunemente noto come “Manoscritto Voynich”. Incollata dietro ad una pagina del libro, Voynich trovò una lettera di Johannes Marcus Marci (1595-1667), medico dell’imperatore Rodolfo II di Boemia, indirizzata al famoso poligrafo Athanasius Kircher in Roma, datata Praga 19 agosto 1665 (o 1666). In questa lettera Marci affermava che il libro gli era stato lasciato per testamento da un amico, di cui successive ricerche riveleranno l’identità: si trattava di Georg Baresch, un alchimista poco noto, nato verso il 1580/1585 in una località ignota. Un’altra informazione fu ottenuta per caso: durante un’ispezione fotografica si scorsero alcune righe tracciate sulla prima pagina e quasi cancellate dal tempo. Esaminate all’infrarosso, si rivelarono essere una firma di appartenenza: “Jacobi a Tepenece”, ovvero Jacobus Horcicki (morto nel 1622), direttore del giardino botanico e del laboratorio alchemico di Rodolfo. Horcicki ricevette il titolo nobiliare “de Tepenecz” (in latino: a Tepenece) dopo il 1608, quindi la firma rintracciata non poteva essere stata apposta prima di quell’anno.La datazione del Manoscritto Voynich è tuttora controversa: alcuni studiosi lo assegnano al XIII-XIV secolo; altri – la maggioranza – stabiliscono invece quello successivo. l crittologo William F. Friedman, nel 1945, riunì un gruppo di studio a Washington che diede l’assalto all’enigma del Voynich con criteri rigorosi, proprio come se fosse un testo cifrato. Per prima cosa, il gruppo di Friedman decise di trascrivere i bizzarri caratteri del manoscritto in segni convenzionali ma sicuri; ad esempio, un segno del Voynich uguale alla cifra 9 venne trascritto come G; ciò non significa che i ricercatori lo “traducessero” con quella lettera; era insomma un espediente per trasportare l’astrusa scrittura del manoscritto in un sistema riconoscibile e chiaro. Friedman morì nel 1969 senza aver trovato la soluzione all’enigma cui aveva dedicato decenni di studi e che aveva affrontato, per primo, con criteri oggettivi; tuttavia, egli si era fatto una sua personale opinione sul Voynich, che riteneva essere stato scritto in un linguaggio artificiale, qualcosa sul tipo dell’Esperanto. Inoltre il vocabolario del Voynich era più esiguo di quanto ci si aspettasse secondo i calcoli statistici e le singole parole erano insolitamente corte rispetto al latino e all’inglese. Curiosa, poi, la totale assenza di parole formate da una o due lettere, che invece esistono in tutte le lingua naturali. Una scoperta interessante, e basata su dati oggettivi, venne fatta nel 1976 da William Ralph Bennett che esaminò il Voynich in una sua opera sull’applicazione del computer nella soluzione di problemi scientifici e di ingegneria. Egli considerò il manoscritto come un esempio metodologico, arrivando ad un risultato dalle conseguenze notevolissime. Bennett determinò il livello di entropia del linguaggio in cui è scritto il Voynich, e fece notare che è un livello basso, più basso di quello di ogni altra lingua europea nota. Recentemente è stata avanzata un’ipotesi che chiarirebbe il motivo dell’inspiegabilità del testo, e della sua resistenza a qualsiasi tentativo di decifrazione: Gordon Rugg, nel luglio 2004, ha individuato un metodo che potrebbe essere stato seguito dagli ipotetici autori per produrre “rumore casuale” in forma di sillabe.Questo metodo, realizzabile anche con strumenti del 1600, spiegherebbe la ripetitività delle sillabe e delle parole, l’assenza delle strutture tipiche della scrittura casuale e renderebbe credibile l’ipotesi che il testo sia un falso rinascimentale creato ad arte per truffare qualche studioso o sovrano. Già in passato lo studioso Jorge Stolfi della Università di Campinas (Brasile) aveva proposto l’ipotesi che il testo fosse stato composto mischiando sillabe casuali da delle tabelle di caratteri. Questo avrebbe spiegato le regolarità e le ripetizioni, ma non l’assenza di altre strutture di ripetizione, ad esempio le lettere doppie ravvicinate. Il metodo consiste nel sovrapporre ad una tabella di caratteri o ad un testo una seconda griglia, con solo alcune caselle ritagliate in modo da permettere di leggere la tabella inferiore. La sovrapposizione oscura le parti superflue del testo, lasciando visibile il messaggio. Rugg ha ricondotto il metodo di creazione ad una griglia di 36×40 caselle, a cui viene sovrapposta una maschera con 3 fori, che compongono i tre elementi della parola (prefisso, centrale e suffisso). Rugg ha tentato anche di capire se ci fosse un messaggio segreto codificato nel testo, ma l’analisi lo ha portato ad escludere questa ipotesi: per via della complessità di costruzione delle frasi e delle parole, è quasi certo che la griglia sia stata usata non per codificare, ma per comporre il testo. Ricerche storiche seguenti a questo studio hanno portato ad attribuire a John Dee e ad Edward Kelley il testo. Il primo, studioso dell’età elisabettiana, avrebbe introdotto il secondo (noto falsario) alla corte di Rodolfo II intorno al 1580. Kelley era mago, oltre che truffatore, quindi ben conosceva i trucchi matematici di Cardano, e avrebbe realizzato il testo per ottenere una cospicua cifra o favori dal sovrano. L’arrivo a Praga della strana coppia Dee-Kelley fu determinato dal solito Kelley, che il 21 settembre 1583 disse di aver visto nella “pietra magica angelica” che l’amico sarebbe stato ucciso se non fossero fuggiti dall’Inghilterra. A Praga Dee arrivò il 9 agosto 1584 e, con alcune brevi interruzioni, vi resterà fino alla fine di maggio del 1586, quando il 29 di quel mese Rodolfo II lo bandì dalle terre dell’impero. Osserviamo subito che l’imperatore cacciò il mago inglese, che incontrò una sola volta, il 3 settembre 1584. In quell’unico incontro, Rodolfo II fu molto annoiato dalla verbosità misticheggiante dell’inglese, il quale espose le sue dottrine magico-spiritualistiche al sovrano, che non ne fu affatto impressionato, anzi si limitò a dire di non aver letto la Monas hyerogliphica perché troppo difficile. Ebbene, ancora oggi in molte storie sintetiche del manoscritto Voynich si legge che esso fu probabilmente portato a Praga da Dee; ma come abbiamo visto, il rapporto fra costui e l’imperatore fu assolutamente breve e non felice. Dee cercò molte altre volte di ottenere udienza dall’imperatore, che però la negò sempre, dirottando l’erudito al suo consigliere Vilém Rozmberk. Quando Rodolfo ordinò l’espulsione di Dee, il bando venne commutato nel permesso di restare in Boemia, ma solo all’interno della proprietà terriera di Rozmberk. Se analizziamo nei dettagli il periodo praghese di Dee, vediamo che egli parlò di un solo libro all’imperatore, e quel libro era la Monas Hyerogliphica. Nei diari di Dee, nelle memorie dei cortigiani di Rodolfo non vi è alcun accenno al manoscritto Voynich, la cui eccezionalità sarebbe stata un motivo sufficiente per essere notato e ricordato. Arthur, il figlio di Dee, scrisse di ricordare che suo padre possedeva “un libro che conteneva solo geroglifici”, ovvero caratteri che nessuno sapeva leggere; molti hanno pensato che si trattasse del Voynich. Dee possedeva diversi libri alchemici scritti in caratteri misteriosi (il Libro di Soyga, ad esempio, ed il Libro di San Dunstano) o libri cabalistici in ebraico: a questi probabilmente faceva riferimento Arthur. Se vogliamo restare fedeli ai dati verificabili, dobbiamo fare iniziare la storia del Voynich con quella piccola firma cancellata di Horcicki de Tepenec, che lui o qualcun altro vergò sul manoscritto non prima dell’ottobre 1608. La lingua, , i diagrammi complessi, spirali stellate, rosette da cui escono tubi o canne, costellazioni arcane e fascinose, ci dicono che, chiunque e in qualsiasi tempo l’abbia redatto, aveva il solo scopo di presentarlo e venderlo come libro magico. Il primo possessore accertato fu Horcicki, direttore delle raccolte botaniche di Rodolfo: questo è un argomento valido per sostenere la natura preminente di erbario del Voynich. Ma Horcicki era anche direttore del laboratorio alchemico dell’imperatore, per cui doveva essere esperto di libri esoterici, come il manoscritto mostrava, enigmaticamente ma prepotentemente, di essere, ma senza convincere completamente. Ad esempio, ciò che sorprende noi ed ha certamente sorpreso lui, grande esperto di manoscritti, è la totale mancanza di correzioni è laddove non esiste manoscritto leggibile che non rechi qualche correzione o qualche ripensamento. E ancora: non è stato possibile, nonostante lunghi tentativi, ricostruire e stabilire un alfabeto del manoscritto, perché i caratteri, pur quelli analoghi, presentano numerose e significative variazioni, legami, svolazzi, abbellimenti e altre caratteristiche che fanno pensare ad una libera espressione grafica e non alla applicazione costante e rigorosa di un codice preesistente.
Letture consigliate
- Cordy M.: Il manoscritto di Dio, Ed. Nord, Milano, 2008.
- Dos Santos M.: L’Enigma del manoscritto Voynich. Il più grande mistero di tutti i tempi, Ed. Mediterranee, Roma, 2009.
- Foti C.: Il codice Voynich. Il manoscritto che da secoli sfida l’umanità Ed. Eremon, Roma, 2010.
- Foti C.: Codex Voynich , Ed. Lulu.com, Roma, 2008.
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