Anna Ventura al “Pieve Santo Stefano”
L’Aquila – Anna Ventura, scrittrice aquilana, è stata inclusa nella Lista d’onore del Premio “Pieve Santo Stefano” con l’opera “Tra domenica e lunedì”. E’ il suo diario sul terremoto dell’Aquila, come il titolo richiama evocando i giorni di quella terribile notte, il 6 aprile 2009. Dolore, emozioni e speranze, con numerosi richiami al mondo letterario, pervade questo straordinario diario che si dispiega dalla drammatica notte fin quasi alla conclusione del 2009, l’annus horribilis. La cerimonia di premiazione del concorso, bandito dalla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, avverrà nei giorni 10, 11 e 12 settembre 2010. Anche in tale singolare rassegna la scrittrice e poeta abruzzese, dunque, ha il riconoscimento dell’iscrizione nella Lista d’onore del Premio, come frequentemente accade alle sue opere poetiche e narrative, premiate nei concorsi nazionali. Anna Ventura, infatti, è una delle personalità più affermate, fervide e versatili della letteratura italiana. Nata a Roma da genitori abruzzesi, laureata in lettere classiche a Firenze, agli studi di filologia classica, mai abbandonati, ha successivamente affiancato un’attività di critica letteraria e di scrittura creativa. Lunga sarebbe la lista delle opere pubblicate, per molte case editrici italiane: tra esse tredici volumi di poesie, nove volumi di narrativa – soprattutto racconti, ma anche romanzi e diari di viaggio – e sei testi di critica letteraria. Diversi suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, spagnolo, tedesco, portoghese e rumeno, e pubblicati su riviste, antologie e volumi monografici. Di lei si sono occupati critici italiani e stranieri, anche in monografie: la più recente, Itinerario letterario di Anna Ventura, è di Vittoriano Esposito (Centro Studi Marsicani, Avezzano, 2005). Pubblicista, Anna Ventura collabora a varie riviste, in Italia e all’estero. Socia del PEN CLUB italiano, è presente nell’antologia delle scrittrici del PEN CLUB internazionale, curata dall’Università di Salta, in Argentina.
Corposo il “palmares” dei riconoscimenti e dei premi tributati alla grande scrittrice abruzzese: il Premio per la Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1983), quindi il Tagliacozzo (1988), il Chianti (1989), il Lerici/Pea (1995), l’UTET (1997), l’Esuvia (2000), il Capoverso (2003), il Cesare De Lollis (2005), il Venilia (2007), tutti per la poesia. Finalista ai Premi Adelfia (1985), Il Ceppo (1986), Penne (poesia – 1989), Penne (narrativa – 1990), Teramo (racconto – 1991), ha conseguito il premio Giusti Monsummano (1992), il Parise (1994), il Michetti D’Annunzio (2001), per la narrativa, il Tagliacozzo (1984) per la critica e l’Over Cover Scriba (2007) per la prefazione. Ha avuto il Premio Histonium per la cultura (1977) e il Peltuinum per la carriera (2003). Ha tradotto dal latino il De Reditu di Claudio Rutilio Namaziano e gli Inni di Ilario di Poitiers per il volume “Poeti latini tradotti da scrittori italiani (Bompiani, 1993). Dirige la collana di poesia Flores , per la casa editrice Tabula Fati di Chieti. I suoi diari – tra cui quelli del 1996 ed appunto del 2009 inseriti nella Lista d’onore del Premio “Pieve Santo Stefano” – sono tutti depositati presso l’Archivio Nazionale del Diario.
La poesia e la narrativa di Anna Ventura, con l’inconfondibile cifra stilistica di rara raffinatezza, ti prendono la mente e l’anima, alimentando una suggestione che incanta. “Ella sa evocare – afferma Giorgio Barberi Squarotti in una nota sull’Autrice – da un’ombra fonda di tempo e di mistero, personaggi, vicende in un linguaggio che è, al tempo stesso di narrazione e di sogno. Nel cerchio stesso di ogni testo viene fuori un frammento di verità assoluta che si compone con gli altri in una visione fantastica e, insieme, esemplare invenzione, com’è, ed esperienza profonda dell’essere al di là delle apparenze”. E Stefano Valentini, nella prefazione alla silloge poetica “Non suoni, ma rumori”, vincitrice a Padova del Premio Venilia 2007, così puntualmente annota: “Se alcuni poeti inseguono a lungo una propria voce, un timbro riconoscibile tra i molti, Anna Ventura l’ha trovato sin dagli esordi: il suo fascino deriva dalla leggerezza tonale, dall’ironia lieve, dalla misura cesellata, dalla capacità sopraffina di cogliere il sublime nel consueto e di rendere familiare il sublime, dalla perizia stilistica per cui un dettato fondamentalmente colloquiale diviene lirica perfetta e coinvolgente”, infine accostando la sua poesia – se proprio si vogliono cercare parallelismi e somiglianze – unicamente a quella della polacca Wislawa Szymborska, Nobel per la Letteratura nel 1996. “Qualche altra eco – scrive ancora Valentini – può trovarsi in certa poesia anglosassone e nordamericana, con la differenza che l’understatement di Anna Ventura non equivale a composto distacco o ad un’asettica presa di distanza, ma veicola invece un’empatia profondissima, un’identificazione con gli altri e con le cose che la circondano, un’immedesimazione che trova il suo equilibrio sfuggendo alle risacche di qualsiasi sentimentalismo e radicandosi in una filosofia di vita che non si limita a contemplare il mondo, sia pure con arguzia, ma lo abbraccia cercando un possibile senso ad ogni cosa, senza farne un’ossessione e rispettando il mistero di quanto è inconoscibile”.
Ma torniamo a Pieve Santo Stefano e alle sue origini, quindi all’Archivio Diaristico e al Premio nazionale. Citata per la prima volta nel 723 d.C. in un atto che riconosceva quel territorio come parte dell’Umbria, Pieve Santo Stefano era inserita nel corridoio bizantino che collegava Ravenna a Roma. All’epoca il borgo si chiamava Suppetia, ossia fornitrice, in riferimento all’ancora attivo commercio del legname. A partire dall’ VIII secolo, però, i Longobardi al comando di Liutprando riuscirono a forzare il blocco bizantino ed a conquistare la Valle del Tevere, prima di lasciare il posto all’avanzata dei Franchi di Carlo Magno. Si deve comunque all’Historia Langobardorum di Paolo Diacono se possiamo sapere che all’epoca, nei pressi dell’attuale Pieve, si era già sviluppato un oppidum, ovvero un borgo fortificato di notevoli dimensioni che i Longobardi avevano ribattezzato “Verona”. Alle porte dell’anno Mille, il borgo fu consegnato all’autorità di Goffredo d’Ildebrando, fedelissimo dell’imperatore tedesco Ottone I, che così venne eretto sovrano d’una vasta zona dell’Appennino tosco-emiliano, mentre l’amministrazione spirituale del borgo rimase sotto la Curia umbra di Città di Castello. Ma lungo sarebbe citare le vicende d’un altro millennio di storia.
Ora Pieve Santo Stefano è un magnifico borgo, in provincia di Arezzo, al confine con Marche ed Emilia Romagna, nel lembo di Toscana in Val Tiberina ancora incontaminato dai flussi turistici, nonostante ci si trovi nella terra di Piero della Francesca, di Michelangelo Buonarroti ed infine di Alberto Burri, uno dei maggiori esponenti della pittura informale. Il paese antico fu completamente distrutto nell’agosto 1944 dalle mine dell’esercito tedesco in ritirata, che proprio sopra Pieve verso nord aveva realizzato le postazioni della Linea Gotica. Tra i pochi edifici rimasti in piedi, il Palazzo Pretorio comunale con gli stemmi delle casate alle pareti. Pur se la ricostruzione concitata del dopoguerra ha largamente cancellato la facies architettonica dell’antico borgo, Pieve conserva tuttavia alcune preziose testimonianze del passato che, insieme ad altre singolari valenze, la rendono assai interessante anche in ragione del contesto ambientale, della qualità del paesaggio verde e incontaminato dove scorre il Tevere, meta ideale per lunghe e tranquille permanenze a contatto con la natura. Orbene, proprio in un’ala di quel Palazzo Pretorio salvatosi dalla distruzione bellica, quarant’anni dopo la fine della guerra è sorta una casa della memoria: un luogo pubblico per conservare scritti di memorie private. Pieve Santo Stefano, infatti, nel 1984 è balzata alla notorietà nazionale come la “Città del Diario”, da quando vi si avviò la costituzione dell’Archivio Nazionale che raccoglie le memorie e gli epistolari degli italiani, giunto oggi a conservare oltre seimila storie di vita. Questo straordinario Archivio, nel frattempo trasformato in Fondazione, è diventato progressivamente un centro rilevante di conservazione della memoria del Paese, recuperando dai recessi di soffitte e dai cassetti di vecchi comò degli antenati lettere di emigrati, diari di guerra, carteggi d’amore, memorie autobiografiche, quaderni con ricordi dell’intimità giovanile, appunti e pagine personali di nonni ed avi vissuti nei secoli precedenti, il tutto catalogato e messo nella disponibilità delle generazioni future, così salvandolo dalla dispersione e da probabile distruzione. Sono tutti documenti autentici, non rielaborati o corretti da altri, che per tale particolarità danno uno spaccato storico dell’Italia attraverso la memoria scritta del suo popolo, della sua gente comune.
L’Archivio ha attirato l’attenzione di studiosi, anche stranieri, per la sua peculiarità. Ne è stato fondatore Saverio Tutino, scrittore e giornalista milanese, classe 1923. Militante nella lotta di Resistenza al nazifascismo, nel dopoguerra Saverio Tutino iniziò l’attività giornalistica come inviato e corrispondente in diversi paesi del mondo e, segnatamente, in America Latina. Nel 1975 prese parte alla nascita del quotidiano “La Repubblica”, dove ha lavorato fino al 1985. L’anno prima, appunto, la sua idea di fondare a Pieve Santo Stefano un luogo dove raccogliere le scritture autobiografiche degli italiani e successivamente quella di creare un concorso nazionale per diari. Il Premio Diaristico Nazionale è affidato ad una Commissione di lettura composta da persone del luogo che, durante tutto l’anno, leggono e discutono sui diari, le memorie e le raccolte epistolari che giungono a Pieve. La Commissione sceglie tra i cento testi ammessi ogni anno al concorso la rosa degli otto finalisti, che vengono poi passati alla Giuria nazionale.
L’Archivio Nazionale dei Diari, che s’avvia a diventare un vero e proprio Museo, attira sempre più curiosi e visitatori provenienti da tutto il mondo. All’interno delle stanze del cinquecentesco Palazzo Pretorio, dove ha sede l’Archivio, una preziosa terracotta realizzata nel 1510 da Girolamo Della Robbia, “La Samaritana al Pozzo”, mentre, nella piazza adiacente, la Collegiata di Santo Stefano ospita, fra le altre opere, una terracotta della bottega di Andrea Della Robbia raffigurante l’Assunzione della Madonna tra Santi, risalente al 1514. Tali casi confermano la notevole attività svolta nell’area dagli artisti della famiglia Della Robbia, dal capostipite Luca (Firenze, 1400-1481), formatosi nella bottega di Donatello, a suo nipote Andrea ed ai figli di questi, Giovanni e Girolamo. Dunque, val proprio la pena fare una visita a Pieve Santo Stefano ed al suo Archivio dei Diari dove, tra gli altri, sono conservati tutti i diari di Anna Ventura e, da ultimo, anche quello dell’orribile 2009, l’anno del terremoto dell’Aquila. Il diario, che con il titolo “Tra domenica e lunedì” sta per essere pubblicato, oltre all’indubbio valore letterario assume il significato d’una preziosa testimonianza dall’intensa forza espressiva, ricca di sentimenti e d’emozioni, come solo una scrittrice straordinaria e sensibile, qual è Anna Ventura, riesce così densamente ad esprimere.
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