Angelo Narducci a 25 anni dalla scomparsa


L’Aquila- (di Goffredo Palmerini) Il terremoto del 6 aprile 2009 ha non solo martoriato L’Aquila nel suo volto architettonico ed artistico, ne ha sconvolto la vita degli abitanti, forse ne muterà persino il carattere. Ha infierito anche sull’ordinato volgere del tempo, strapazzando l’intensa vita culturale che, tuttavia, gradualmente va recuperando una certa regolarità, essendo uno degli elementi distintivi della città capoluogo d’Abruzzo. Cosicché la commemorazione di Angelo Narducci, a 25 anni dalla scomparsa, programmata regolarmente nella primavera del 2009 nell’ambito del premio L’Aquila Zirè d’Oro a lui intitolato, è slittata fatalmente d’un anno a causa del sisma. Con qualche vena di sofferenza, queste circostanze ha richiamato Mario Narducci – cugino di Angelo, anch’egli giornalista, un passato da vaticanista de “Il Popolo”, poeta, fondatore e deus ex machina del premio – aprendo nella mattinata del 30 giugno scorso i lavori del convegno dedicato allo storico direttore di Avvenire, prologo del premio L’Aquila Zirè d’Oro tenutosi nel pomeriggio, segnalando tuttavia la celebrazione dell’evento come un forte segnale di ripresa della vita culturale della città e di speranza nel suo futuro.
Figura di spicco del giornalismo e della cultura italiana, scomparso prematuramente nel 1984, Angelo Maria Narducci era nato a L’Aquila il 17 agosto 1930. Dopo le esperienze professionali maturate in Prospettive Meridionali (1955-‘58), mensile di studi e cultura del Mezzogiorno diretto da Nicola Signorello, nel settimanale della Democrazia Cristiana La Discussione (1956-‘58), nel quotidiano della Dc Il Popolo (1956-‘66) ed alla Gazzetta del Popolo (1966-’68), giornale politico di Torino, nel 1968 Paolo VI lo volle nel gruppo fondatore di Avvenire. Del quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Angelo Narducci è stato il direttore più longevo, dal 19 ottobre 1969 al 30 aprile 1980. Ne lasciò la direzione solo a seguito dell’elezione al parlamento europeo, come indipendente nella Dc, nella prima legislatura elettiva con voto popolare. Di lui resta una grande eredità: professionale, morale e politica. Ma Angelo Narducci, oltre che per l’impronta del suo giornalismo, nello stile e nel rigore inconfondibili, va anche segnalato per la sua sensibilità poetica, come traspare dalla produzione data alle stampe o nelle opere inedite, compreso un romanzo. Una vita marcata da un’autentica testimonianza cristiana, la sua, spentasi il 29 aprile 1984 a soli 54 anni. Nello spirito del Concilio Vaticano II, Narducci fece del quotidiano Avvenire uno strumento di forte dialogo tra cattolici italiani e non solo. Un dialogo e un legame che egli costruiva attraverso le sue parole, che sanno di testamento morale, nel tempo arido che viviamo: “Noi ci ostiniamo a lavorare come artigiani sulla parola, perché sia onesta, perché non tradisca, perché corra, in qualche modo liberante, sulle labbra e nasca da coscienze illuminate, severe, semplici. Non cerchiamo il successo, ma interlocutori. Quella cosa povera che sono le parole vogliamo che sia la nostra grande ricchezza, la grande ricchezza dell’uomo”.
Numerose e qualificate le presenze al convegno. Di Angelo Narducci hanno scandagliato la vita professionale, letteraria e politica: una personalità rilevante, una figura forte di giornalista, poeta e politico “con l’ansia di essere cristiano”. Del sen. Enzo Lombardi, già volitivo sindaco dell’Aquila dal 1985 al 1992, la prima testimonianza. Per Lombardi non è possibile pensare agli aquilani illustri senza ricordare Angelo Narducci, giornalista prestato all’Italia come già avvenuto in passato con Panfilo Gentile e Ignazio Silone e più di recente con Gianni Letta e Bruno Vespa. “Il nostro è orgoglio aquilano nel ricordare Narducci”, ha aggiunto Lombardi mentre segnalava all’assessore Pierluigi Pezzopane, che aveva appena portato il saluto della Municipalità, l’avvenuto invio d’una petizione per l’intitolazione ad Angelo Narducci d’una piazza o d’una via della città. Molto articolato e ricco di riferimenti l’intervento di Gastone Mosci, docente all’Università di Urbino, che di Narducci ha tracciato il ritratto politico, uomo e cristiano impegnato, coerente con gli insegnamenti del Concilio. Paolo VI e Aldo Moro i suoi riferimenti fondamentali “nel coniugare cristianesimo e democrazia, nel solco tracciato da Romolo Murri”. Profonda la sua formazione intellettuale, già al liceo e poi negli studi universitari a Roma, all’inizio degli anni Cinquanta, alimentatasi al pensiero filosofico di Jacques Maritain e Emmanuel Mounier, nell’umanesimo integrale del primo e nel personalismo del secondo, ma anche in Georges Bernanos e Primo Mazzolari. Il suo giovanile impegno politico all’Aquila, già ispirato all’idea di partito di Giuseppe Dossetti, si arricchisce a Roma nella frequentazione della Comunità del Porcellino con Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giuseppe Lazzati, Corrado Guerzoni, Gianni Baget Bozzo, Franco Malfatti, Achille Ardigò, Leopoldo Elia, Raniero La Valle, Benigno Zaccagnini ed altri. Punti di riferimento ideale e politico di grande valore che connoteranno anche la sua vita professionale alla guida di Avvenire, con i suoi articoli tagliati per un giornale che fa sì informazione, ma anche “formazione”. Inevitabile, per il prof. Mosci, il paragone all’attualità, con la decadenza del sistema politico italiano e la crisi etica che l’attraversa. Uno stato definito senza mezzi termini comatoso.
E’ seguita la testimonianza di don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana. Di Narducci egli ha ricordato la profonda sensibilità per i temi sociali, come ad esempio il problema della droga, quando del dramma pochi se ne occupavano. Narducci, invece, fece appunto di Avvenire un giornale fortemente attento ai temi sociali, alla cultura ed al dialogo, aperto alle tante voci dell’impegno ecclesiale, civile e politico. Dal convegno don Costa si è augurato possa venire un impulso alla pubblicazione dell’opera omnia di Angelo Narducci. L’Arcivescovo dell’Aquila, mons. Giuseppe Molinari, ha portato il saluto della Chiesa aquilana, sottolineando di Narducci la testimonianza di fede intensissima, data nel corso della sua vita. Toccante, per i numerosi ricordi personali e familiari, la testimonianza di Angelo Paoluzi, già direttore di Avvenire e ora docente di Giornalismo alla LUMSA. Collega e grande amico di Angelo Narducci, gli successe alla guida del giornale quando questi lasciò la direzione di Avvenire dopo l’elezione al Parlamento Europeo. Paoluzi ha ricordato Narducci “profondamente attaccato alla sua terra”. Ne ha esaltato la dolorante ricchezza poetica, espressa in tutte le sue opere pubblicate, ma anche negli scritti inediti, come pure ha rammentato la condivisione d’una comune, grande passione per la poesia. “Posso ricordare – ha detto Paoluzi – quello che ci accomunava nella sensibilità di lettori di poesia, nelle serate che si protraevano con citazioni a memoria di autori, da Montale a Rilke, da Eluard a Cardarelli, da Poe a Garcia Lorca; e lui stesso delicato poeta, del quale le raccolte Il ragazzo che ero e Nella mia casa meriterebbero un più puntuale apprezzamento critico che sino a oggi non gli è stato adeguatamente riconosciuto. Quella sensibilità gli permise, da direttore di Avvenire, di non far restare mai a rimorchio delle mode o dello spirito del tempo le pagine culturali del giornale”. Paoluzi ha richiamato alla memoria le lunghe conversazioni intessute con l’amico su ogni grande questione aperta. Narducci era solito concludere con una frase interrogativa: “Come possiamo testimoniare?”. “Non abbiamo bisogno di maestri, ma solo di testimoni”, diceva Paolo VI . “Angelo testimone lo era”, ha concluso Paoluzi.
Il contributo conclusivo al Convegno è stato di Giuseppe Merola, docente all’Università Pontificia Salesiana di Roma, studioso della stampa cattolica nel mondo, che di recente ha pubblicato “Angelo Narducci e Avvenire” – Storia di un giornalista, poeta, politico con l’ansia di essere cristiano (Aracne Editrice, Roma 2009) con prefazione di Angelo Paoluzi. Il volume fa il contesto della stampa cattolica in Italia e, al suo interno, i precedenti e la storia del quotidiano Avvenire, collocandovi il ruolo che Angelo Narducci ha svolto negli anni cruciali dell’avvio del giornale. Un ritratto completato da una serie di notazioni su una personalità che non si è limitata a svolgere una funzione meramente professionale ma che, in essa, ha investito le qualità migliori dello spirito. Il giornalista, quindi, e insieme l’uomo, il cristiano, legato al rispetto della verità, ai valori della famiglia, degli affetti, dell’amicizia nonché al contesto della vita civile. Merola ha realizzato un’opera significativa, facendo la storia di Avvenire, ripercorrendo la biografia stessa di Angelo Narducci attraverso gli atti e una serie di interviste mirate, infine tracciandone il pensiero sulla scorta d’una puntualissima analisi sugli articoli di fondo da lui scritti e pubblicati sul quotidiano cattolico dal 1969 fino al 29 aprile 1984, proprio il giorno della sua morte. Per concludere che per Narducci l’essere giornalista “fu un mestiere per vocazione, più che per professione”. Così scriveva Angelo Narducci (Avvenire, 17 febbraio 1973) in un articolo che dà compiutamente il senso del suo modo d’essere cristiano impegnato: “Ognuno può intendere d’essere cristiano come meglio crede: ma una cosa è certa. Che la Chiesa è in agonia sino alla fine dei tempi e che agonizzare vuol dire prima di tutto combattere, intendere le ragioni, i colpi, la spada degli altri, ma anche essere consapevoli della forza che si ha in sé e la necessità di farla emergere dalla nebbia degli avvenimenti. Domani la vita potrebbe privarci – scrittori, poeti, pittori, giornalisti – delle mani, della parola, della penna, ma niente può privarci del nostro essere cristiani: tutto è subalterno a questa nostra vocazione d’essere cristiani, a questa capacità d’essere comunità, Chiesa, che è viva, anche in quanto ognuno di noi, personalmente, è vivo, libero, responsabile. (…) E’ il momento di una mobilitazione generale che non vuol dire integralismo, rifiuto del dialogo, rifiuto di comprensione, ma, molto più semplicemente, tende a rendere presente e visibile dentro noi stessi e nella storia quell’umanesimo plenario al quale siamo stati chiamati”. Dunque un uomo di solidi princìpi e di grandi valori etici e politici.
Angelo Narducci s’era formato all’Aquila, all’inizio del secondo dopoguerra, nel clima di rinascita culturale della città prodottosi intorno al Gruppo Artisti Aquilani, in principio costituito dai pittori Vivio Cavalieri, Giuseppe Centi, Amleto Cencioni e Francesco Paolo Mancini, ma subito allargatosi alle più fervide intelligenze cittadine, quali Fulvio Muzi, Angiolo Mantovanelli, Nino Carloni, Gian Gaspare Napolitano, Remo Brindisi, Laudomia Bonanni, Nicola Ciarletta, Pietro Ventura, Domenico D’Ascanio, Ferdinando Bologna, Giovanni Pischedda, Nicola Costarella e Pio Jorio, che avrebbe portato dapprima alla nascita della Società dei Concerti “Bonaventura Barattelli”, poi della Scuola d’Arte e quindi, negli anni Sessanta, ad opera di Giuseppe Giampaola, Luciano Fabiani ed Errico Centofanti, del Teatro Stabile dell’Aquila. Assieme agli amici Luciano Fabiani e Giovanni De Sanctis, Angelo Narducci produsse un forte impegno politico nel movimento giovanile della Dc. Quel robusto sodalizio amicale, rafforzato da Silvano Fiocco, dette quindi vita ad un vero e proprio cenacolo culturale giovanile – politica, arte, cinema, teatro e musica – che si riuniva presso il bar Gelateria Veneta, lungo il corso cittadino. Nacque così per loro iniziativa, e a proprie spese, il periodico “Provincia Nostra”, uscito con cinque numeri nell’arco di due anni, sul quale comparvero firme che avrebbero avuto un grande rilievo nella vita pubblica del Paese, come d’altronde loro stessi nei rispettivi campi professionali. Ebbene, sin da quelle giovanili esperienze Angelo Narducci, oltre alla vivacità culturale, mise in mostra il talento giornalistico che avrebbe segnato l’intera sua esistenza. Per tornare al Convegno, va infine segnalato il bel messaggio inviato dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, letto durante i lavori, ai quali hanno assistito la signora Giovanna Annibale Narducci, compagna di vita di Angelo, e le figlie Cecilia e Lucia.
Nel pomeriggio la cerimonia di consegna ai vincitori del Premio L’Aquila Zirè d’Oro “Angelo Narducci”, nell’auditorium della Cassa di Risparmio pieno in ogni ordine di posti. Gran regista della serata Mario Narducci, direttore di TvUno, accanto Franco Narducci, attore di teatro e poeta, alla lettura delle motivazioni dei vari riconoscimenti, e la Giuria della Sezione letteraria del Premio, composta da Angelo Paoluzi (Presidente), Liliana Biondi, Marilena Ferrone, Maria Lenti, Gastone Mosci, Mario Narducci, Stefano Pallotta (per il giornalismo), Elio Peretti, Raimondo Rossi, Mario Santucci (per la canzone abruzzese) e Fabio Maria Serpilli. I riconoscimenti ai Personaggi dell’Anno, invece, sono stati attribuiti da una Giuria popolare in base alle segnalazioni pervenute nel corso del 2009 al quotidiano on line “Secolonuovo.it”. Sono stati insigniti del premio Zirè d’Oro, quali Personaggi dell’Anno, il Commissario regionale della Croce Rossa Italiana, Maria Teresa Letta, il direttore regionale dei Vigili del Fuoco, Sergio Basti, il presidente della Fondazione Carispaq, Roberto Marotta, il presidente dell’Associazione Onlus di Onna, Franco Papola, il presidente regionale della Confartigianato, Angelo Taffo, il presidente del Rotary Club Distretto dell’Aquila, Fernando Caione, il direttore dell’Eco di San Gabriele, Pierino Di Eugenio, i giornalisti abruzzesi Marina Marinucci e Antonello Antonelli, le giornaliste di TvUno, lo storico Maurilio Di Giangregorio, la poetessa Maria Antonietta Pezzopane (alla carriera), il pittore Tonino Rauco (alla carriera), quindi Carlo Censori per l’ospitalità alberghiera ai terremotati in Giulianova, l’impresa di restauro Giovanni Patella di Montorio al Vomano, il titolare della Zerocould, ditta aquilana di telecomunicazioni e web, Danilo Falzitti, e Natalia Nurzia, per le produzioni tipiche aquilane Fratelli Nurzia.
Trattandosi d’un premio intitolato al giornalista Angelo Narducci, ci si limita a riportare solo le motivazioni dei riconoscimenti per il giornalismo, rappresentato in Giuria dal presidente regionale dell’Ordine, Stefano Pallotta. Lo Zirè d’Oro a Pierino Di Eugenio, direttore del mensile L’Eco di San Gabriele, è così motivato: “Alla guida di una rivista che è la più diffusa in Abruzzo e tra le più diffuse in Italia, ha saputo imprimere alla sua direzione concretezza e competenza, dimostrando come sia possibile, ancora oggi, un giornalismo etico non disgiunto dai fatti e dalla verità, punto di riferimento per molti lettori in Italia e all’Estero”. Il premio a Marina Marinucci, giornalista del quotidiano abruzzese Il Centro e componente del Consiglio regionale dell’Ordine, è così motivato: “Per aver coperto con i suoi servizi, soprattutto nel campo politico, con competenza ed incisività, il periodo dell’emergenza e quello che dovrebbe avviarci alla ricostruzione. Un modo di fare giornalismo, il suo, coinvolgente per passione e competenza”. Il premio ad Antonello Antonelli così recita nella motivazione: “Per quasi un ventennio corrispondente de Il Tempo, è riuscito a creare un clima di rapporti interpersonali che in breve tempo ha modificato il modo di comunicare della Provincia di Chieti. Il suo impegno non è meno concreto sia come revisore dei conti dell’Assostampa abruzzese, sia come consigliere regionale dell’Ordine dei giornalisti”. Il riconoscimento alle giornaliste di TvUno così recita nella motivazione: “Alle giornaliste ed agli operatori di TvUno, che sin dalle prime ore del dopo sisma hanno percorso la Città devastata confezionando servizi e incamerando immagini che restano tra le più eloquenti del giornalismo italiano. Esempio di come si fa una televisione locale che è diventata non solo punto di riferimento per il territorio, ma per gli stessi operatori nazionali dell’informazione”.
Questi, infine, i Premi attribuiti dalla Giuria per le diverse sezioni letterarie. Poesia in Lingua: 1°- Benito Sablone (Chieti), 2°- Giancarlo Cecchini (Urbino), 3° – Benito Galilea (Roma). Racconto in Lingua: 1°- Vinia Tanchis (Oristano), 2°- Paride Duronio (L’Aquila), 3°- Bruno Bianchi (Asti). Poesia in Dialetto: 1°- Franco Ponseggi (Bagnacavallo-RA), 2°-Carlo Manzi (L’Aquila), 3° Floredana De Felicibus (Teramo). Racconto in Dialetto: 1°- Ombretta Ciurnelli (Perugia), 2°- Pasquale Serri (L’Aquila) e Giuseppe Placidi (L’Aquila) ex aequo, 3°- Giuseppe Lotti (Pescara). Poesia sul Terremoto: 1°- Umberto Vicaretti (Avezzano-AQ), 2°- Filippo Crudele (L’Aquila), 3°- Maria Luisa Aniceti (L’Aquila) e Giuliana Cicchetti Navarra (L’Aquila) ex aequo. La serata ha visto anche un intervallo musicale con il Coro di Tornimparte, diretto dal maestro Mario Santucci. Molto intensa l’emozione, specie quando è stato eseguito il brano tradizionale aquilano “L’Aquila bella mé”, che ha carpito qualche lacrima o forse più al pubblico, commosso al pensiero dell’attuale stato della città. Lo stesso Santucci ha poi comunicato il brano che si è aggiudicato il premio per la canzone popolare abruzzese. Si tratta di “Quatrà, Quatrà”, con testo di Giuseppe Placidi e musica di Emilio Rosati. Il Coro eseguirà il brano in occasione della prossima edizione del Premio L’Aquila Zirè d’Oro. Dunque, appuntamento al 2011. (Nella foto Wikipedia Angelo Narducci)


06 Luglio 2010

Categoria : Cultura
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