L’opinione: spinosi dossier e Italia senza governo


(di Carlo Di Stanislao) – Ad annunciare la decisione di lasciare il dicastero del Decentramento della Sussidiarietà è stato lo stesso esponente del Pdl, durante l’udienza del processo Antonveneta, che lo vede imputato di ricettazione e appropriazione indebita insieme alla moglie. Così il caso Bancher, il primo e più semplice dei “dossier” che il Cavaliere si ritrova sulla scrivania, sembra definitivamente risolto. Dopo la richiesta di essere giudicato con rito abbreviato da parte dei legali di Brancher, il presidente della quinta sezione del tribunale ha fatto uscire i numerosi giornalisti che erano in aula per proseguire con l’udienza. Il processo a questo punto verrà celebrato allo stato degli atti, cioè in base alle carte del fascicolo processuale. Si presume che in aula si stia concordando il calendario. Secondo i programmi preannunciati la sentenza dovrebbe arrivare entro fine mese. Le dimissioni l’ha volute il Cavaliere, che ha compreso bene il rischio di una “sfiducia” ad personam in aula giovedì ed ha pregato “l’amico Aldo” di fare un passo indietro. Infatti, poco prima dell’annuncio ufficiale in aula, dopo il premier ha fatto sapere di aver “condiviso con Aldo Brancher la decisione di dimettersi da ministro. Conosco e apprezzo ormai da molti anni Brancher e so con quanta passione e capacità avrebbe potuto ricoprire il ruolo che gli era stato affidato. La volontà di evitare il trascinarsi di polemiche ingiuste e strumentali dimostra ancora una volta la sua volontà di operare esclusivamente per il bene del Paese e non già per interessi personali”. Il premier si è detto certo che “superato questo momento Brancher potrà, come sempre, offrire il suo fattivo contributo all’operato del Governo e alla coalizione”. Molto più complessa la vicenda, ormai al ridicolo, di dichiarazioni e smentite, affermazioni e dietro-front circa la manovra, che rischia di coprire di ridicolo lui e il suo Governo di fronte agli attoniti italiani che, ogni giorno, vedono annunci di sacrifici, poi prontamente ritirati e decisioni ancora del tutto incerte, fra possibilismo del leader e secchezza dura di Tremonti. Per estrema ratio il Cavaliere fa anche capire, lui il grande capo, che è pronto a sostituire Tremonti (che, come dice, lui stesso è “stanco”), pur di trovare un margine di manovra per non perdere il favore degli elettori. Ancora più serio il problema intercettazioni, con Colle in guardia e franchi tiratori anche nel suo partito ed è proprio questo fatto che apre l’ultimo dei dossier, il più difficile, quello che può essere chiamato l’affaire Fini. Come proposto ufficialmente dal capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, si potrebbe davvero arrivare a una “separazione consensuale” tra Berlusconi e Fini, che preveda — almeno nell’ipotesi che stanno cominciando a prendere in considerazione i finiani — non ovviamente una cacciata dei reprobi dal partito e dalla maggioranza, ma la nascita di una sorta di federazione tra due soggetti che resterebbero assieme sotto lo stesso tetto del centrodestra. Solo così, cioè con l’assicurazione di non essere gettato in mare aperto e senza ciambelle di salvataggio, Fini potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di un addio alla creatura politica che ha contribuito a fondare, perché avrebbe il tempo, lo spazio, gli uomini (anche i fedelissimi berlusconiani gliene attribuiscono una trentina alla Camera e una quindicina al Senato) per costruire un soggetto che avrebbe la sua libertà di movimento al pari della Lega, direbbe la sua su candidature, leadership, alleanze, scelte strategiche. Il punto però è che non è ancora chiaro quale sarà la scelta finale di Berlusconi, che tutti prevedono dovrà presto incontrarsi per un chiarimento definitivo con Fini. Il Corriere in modo accennato e Repubblica in maniera più spinta, tracciano una possibilità che per ora sembra fantapolitica, ma, se fosse, creerebbe le condizioni per il pensionamento definitivo del Cavaliere. Un accordo fra finiani, centristi (rutelliani e partito di Casini), transfughi del Pdl scontenti, amici di Montezemolo e MPA, con la possibilità, cioè i numeri, per un governo tecnico con fuori il Cavaliere ed i suoi. “Vediamo cosa accadrà in Aula – avrebbe detto il premier a più di qualche dirigente del Pdl – io sono convinto di avere i numeri per andare avanti e portare a termine gli obiettivi fissati l’agenda del governo”. In caso contrario, avrebbe ricordato il Cavaliere, la parola passerà al Capo dello Stato e sarà Napolitano a decidere se ridare la parola agli elettori o dar vita a un governo – avrebbe concluso il presidente del Consiglio – non voluto dagli italiani. E a chiedere al governo, considerato in affanno, di farsi da parte “perché in questo momento di crisi l’Italia ha bisogno di essere governata” è stato il numero due del Pd, Enrico Letta. Che in un’intervista a Sky Tg24 (http://www.repubblica.it/politica/2010/07/04/news/letta_se_la_maggioranza_non_sa_governare_la_palla_passi_al_capo_dello_stato-5378286/?ref=HREA-1) ha detto che “se questo esecutivo non è in grado di governare, la palla passi al Capo dello Stato che, con la sua saggezza, troverà una soluzione”. Ieri da Milano era stato il segretario del partito Pierluigi Bersani a invocare per l’esecutivo “soluzioni politiche diverse”. a linea dei democratici non è lontana da quella dell’Udc che con Pier Ferdinando Casini, intervistato da Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2010/07/04/news/casini_non_mi_far_usare_dal_cavaliere-5371738/), torna a chiedere un governo di “larghe intese” e a respinge (“Non mi farò usare”) i pressanti inviti del Pdl a rientrare nello schieramento di centrodestra. L’ipotesi del ribaltone si appresta e la fantapolitica si trasforma in un incubo, per il Cavaliere, dietro alla porta. Brancher a parte, è comunque chiara la linea del premier: andare avanti a governare avendo i numeri. C’è una maggioranza, ribadiscono nel Pdl, e chi dovesse distinguersi se ne assumerà la responsabilità. Nelle file azzurre del partito, si fa fatica a contenere il malumore per l’atteggiamento dei finiani sui provvedimenti all’esame del Parlamento: dalla manovra del governo alle intercettazioni. Il Giornale, che vede ormai Fini come il fumo negli occhi, ricorda le parole del segretario Udc Lorenzo Cesa: “con le sue dimissioni da ministro Brancher ha preso l’unica decisione possibile di fronte a una situazione che era diventata francamente insostenibile” e si dichiara convinto che con questo gesto “si chiude una vicenda kafkiana, nata male e proseguita peggio, in cui è emersa tutta la confusione presente all`interno del governo e della maggioranza. Ora – dice ancora il segretario centrista – il governo si concentri sulla manovra e a dare risposte serie contro la crisi che investe famiglie e imprese”. Ed è proprio questo che va ricordato a Feltri, il vero nodo, che Berlusconi ha difficoltà oggettiva a scogliere. Da Adamo ed Eva in poi, mentire, ingannare e mancare alla parola data sono caratteristiche della nostra specie, affermano antropologi e sociologi: ciascuno truffa e racconta frottole, ma più per abitudine che per altro, tanto che di recente il sotterfugio e l’inganno sono stati “nobilitati” dalla ricerca scientifica. Nel 1997 lo psicologo Gerard Jellison, della University of South California di Los Angeles, origliò le conversazioni quotidiane di 20 soggetti con il risultato che anche i più probi mentivano in media ogni 8 minuti. Piccole bugie, certo, ma pur sempre tali. Del resto le statistiche riferiscono che il 40% di quanto affermiamo quotidianamente è una “non verità”. La cosa più inquietante? La maggior parte delle bugie rimane impunita, specialmente in famiglia. Secondo Jellison, dietro a questa indole da Pinocchio si nasconde la ricerca di scuse per comportamenti che si reputano socialmente non accettati. Non sorprende dunque che, nell’esperimento della University of South California, i “campioni di bugie” siano le persone con il maggior numero di contatti sociali: commessi, rappresentanti, avvocati, psicologi e, naturalmente, giornalisti. Tutto questo Berlusconi lo sa e lo applica scientificamente. Piccole e grandi bugie, piglio da leader decisionista e scuse per rinviare ad altri le cose non fatte e le promesse non mantenute. La verità, a quanto pare, è un bene raro e non basta essere dei provetti mentitori, ma bisogna sviluppare un buon istinto per riconoscere le bufale altrui e, a quanto pare, questa qualità l’hanno persa la più parte degli italiani e molti, moltissimi aquilani. I piccoli rossori, gli occhi bassi, l’imbarazzo possono essere colti dall’occhio preparato ed attento dell’osservatore nell’atteggiamento dei bambini al momento della menzogna e letti come segni di disagio procurato da una lotta interiore. Ma, nei professionisti della comunicazione, sono ben artati, celati o contraffatti. Come dicono oggi i neuroscienzati, l’inganno sollecita in modo notevole la materia grigia ed è segno di una evidente opposizione fatta dall’emisfero deputato alla “verità” oggettiva ed obbiettiva sull’altro che difende lo status quo di quanto memorizzato. Tanto lavoro, tanto impegno, tanta sofferenza, tanta energia che potrebbe essere utilizzata nel dare ad ognuno la conoscenza della fisiologia del proprio cervello e quindi gli strumenti per aiutare l’individuo fin da bambino a lavorare sulle informazioni come “soggetto” capace di sperimentare, soffrire, comprendere, sbagliare, ma attingere in sé la capacità di modificarsi, migliorare e “crescere”, interagendo costruttivamente con il mondo circostante. Speriamo che il dramma del terremoto e del suo “dopo” per noi e quello di questo inconsulto governo per l’Italia, solleciti questa assunzione adulta di soggettività ed acume di giudizio.


05 Luglio 2010

Categoria : Dai Lettori
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