Storie abruzzesi: la Pro loco di Civita d’Antino
Il 26 giugno scorso la pro-loco di Civita d’Antino ha compiuto il primo secolo di vita. Un convegno tenutosi presso la sala consiliare del Comune ha celebrato la ricorrenza, presente una nutrita delegazione giunta dalla Danimarca, ricordando il ruolo svolto dal pittore Kristian Zahrtmann con la scuola estiva che egli fondò in quel borgo della Valle Roveto, dove passarono centinaia di artisti scandinavi. Presenti all’evento il Sindaco di Civita d’Antino, numerose autorità regionali e provinciali, amministratori locali, studiosi e molti cittadini. Tra i relatori il prof. Antonio Bini, che ha il merito di aver riportato all’attenzione, in Italia e all’estero, la straordinaria storia di questa scuola di artisti. Quello che segue è il suo intervento al convegno. (Goffredo Palmerini)
LA PRO-LOCO ITALO-DANESE
Civita d’Antino – Antonio Bini – unosemper@libero.it) – LA PRO LOCO ITALO-DANESE – Cari amici danesi (1), quella di oggi costituisce una tappa significativa nel percorso di recupero del passato di Civita d’Antino e della stessa storia artistica di Kristian Zahrtmann, nel quale sono impegnato da alcuni anni. La storia non si improvvisa, né tanto meno si può inventare. Ma il passato può anche essere dimenticato quando non viene alimentata la memoria o peggio ancora quando questa viene rimossa a causa di eventi tragici, come un devastante terremoto, come quello che colpì duramente l’Abruzzo nel 1915 e la Marsica in particolare, con la perdita di 30mila vite umane e la distruzione di interi paesi. Quel terremoto colpì duramente anche la vicina Sora, città da dove arrivò Zahrtmann a Civita, nel 1883.
Il declino, non solo demografico, di un paese come Civita, con alle spalle una storia millenaria, che affascinava lo stesso Zahrtmann non meno dei paesaggi della Valle Roveto – tanto da voler riportare all’esterno della sua casa di Copenhagen, affettuosamente chiamata “Casa d’Antino”, l’antico motto del popolo marso: “Nec sine, nec contra” (né senza, né contro), che contrassegna tuttora lo stemma comunale – il declino, dicevo, rappresenta una perdita culturale che va ben oltre la stessa comunità locale. Ho cominciato ad occuparmi di Zahrtmann e della sua scuola, per caso, sette anni fa, quando mi capitò di accompagnare a Civita un giornalista e scrittore svedese, Johan Werkmaster, alla ricerca della tomba di un pittore svedese, Anders Trulson, sepolto nel vecchio cimitero.
Mi incuriosii. Mi chiesi cosa ci facesse un pittore svedese un secolo fa a Civita, in un paese inevitabilmente “sperduto” – come i giornalisti stranieri amano ancora definire i piccoli paese montani d’Abruzzo, sulla scia dei viaggiatori romantici dell’800 che si avventuravano in Abruzzo. Fu Johan ad aiutarmi gradualmente a capire l’importanza di questa stagione artistica legata alla scuola di Zahrtmann, scrivendo poi un articolo sulla pagina culturale del Goteborg Posten, in cui parlava del suo viaggio in questa dimenticata Skagen italiana. Nel paese le uniche tracce rimaste erano limitate alle due targhe presenti a Porta Flora e al nome di alcune strade o piazze che ricordano Zahrtmann, P.S. Krøyer e J.Jørgensen. Nessun altra traccia era rimasta d’una scuola frequentata per anni da decine di giovani artisti, di cui si faceva e si fa ancora menzione nel sito del Museo d’Arte di Bornholm che, delineando il profilo di Zahrtmann, ricorda la sua “summer school” italiana, tra le montagne d’Abruzzo. http://www.bornholms-kunstmuseum.dk/
Feci delle ricerche in Italia e in Abruzzo trovando rare e frammentarie notizie su questo periodo artistico, assente dai circuiti editoriali, mentre nemmeno un cenno veniva fatto in una voluminosa guida turistica realizzata della Provincia dell’Aquila. Scoprii comunque che su Zahrtmann era stata allestita nel 1999 una mostra a Pistoia con la stampa di un documentato catalogo – in due distinte edizioni (danese e italiana) – che ruotava su un’unica opera, proveniente dal Museo di Bornholm: “Matrimonio pistoiese” – un’opera a tema religioso, molto vicina alla “Processione di San Lidano” (nativo di Civita), la cui immagine, forse per non far sfigurare l’opera locale, era stata proposta in b/n. In quella mostra furono esposte varie opere abruzzesi di Zahrtmann. In Abruzzo non se ne seppe nulla…
Un artista importante al punto da portare all’allestimento di una mostra di alto livello in Toscana, “giustificata” da un solo quadro, mentre in Abruzzo il silenzio rimaneva assoluto, pur con un numero, forse, indeterminabile di opere create da Zahrtmann e dai suoi amici e allievi. A questo punto la curiosità iniziale divenne quasi irritazione. Era necessario colmare il vuoto, recuperare innanzitutto la conoscenza di Zahrtmann e della sua incredibile scuola, mentre cresceva in me la passione per le immagini che progressivamente andavo recuperando di quel periodo. Prima ancora che dallo spessore artistico delle opere, rimasi colpito dal valore descrittivo di tanti quadri che raccontano ancor oggi un mondo scomparso, la vita di una comunità attorno alla sua semplice quotidianità, gli scorci urbani e i paesaggi circostanti, come pure i riti e le feste religiose, i costumi femminili e il lavoro nei campi. Alcune riproduzioni di questi quadri sono visibili nella mostra realizzata in concomitanza con l’inaugurazione del museo Antinum.
Un piccolo mondo rappresentativo non solo dell’Abruzzo di ieri, ma dell’intera Italia centro-meridionale. Infatti molte opere sono denominate “paesaggio italiano” o “paesaggio dell’Italia del sud”, ma basta conoscere Civita per riconoscerle immediatamente. Feci a quel punto due viaggi in Danimarca, toccando anche la Svezia e la Norvegia. Non ci tornavo dalla metà degli anni sessanta, un viaggio con i miei genitori, che è ancora ben compreso tra i miei piacevoli ricordi d’infanzia. D’altra parte se i Danesi e gli scandinavi guardano con simpatia l’Italia è anche vero che tale sentimento è reciproco, infatti gli italiani sono in testa ai flussi turistici verso la Scandinavia.
In un libreria antiquaria di Oslo mi imbattei nell’ormai raro libro di J.Jørgensen, “Civita d’Antino” (1915). Mi sentii ulteriormente coinvolto nel proseguire nell’opera di ricostruzione del “puzzle”, nello stesso tempo ero desideroso di fare questo percorso di recupero possibilmente insieme ad altri compagni di viaggio interessati a condividere la medesima passione. Nell’occasione fu simbolica, ma anche preziosa sul piano pratico, la collaborazione con l’Associazione Culturale “J.Jørgensen” ed, in particolare, con il suo presidente, il giornalista e scrittore Stig Holsting http://www.johannesjorgensenselskabet.dk/affiliation.htm.
Nel 2005 fu quindi pubblicata l’edizione italiana del breve racconto di Jørgensen, una sorta di cronaca del dramma del terremoto a qualche giorno di distanza dall’evento. Lo scrittore, accompagnato da Daniel Hvidt, l’unico pittore presente a Civita in quel lontano inverno, si muove con dolore ma anche con familiarità nel paese distrutto, di cui mostra di ricordare le tante rappresentazioni di Zahrtmann, dei suoi amici e dei suoi allievi. Jørgensen scrive “che il grande lutto nazionale italiano ha portato cordoglio anche da noi: Civita d’Antino non è più”. In quegli anni la notorietà del paese in Danimarca era talmente diffusa che quel racconto struggente fu semplicemente intitolato “Civita d’Antino”. E’ lo stesso Jørgensen – il grande biografo di S. Francesco – a raccogliere la sofferta testimonianza di Caterina Cerroni che, tra le macerie del paese, ripete “E quanto farà male al sig. Cristiano” e ancora “cosa dirà il sig. Cristiano”. Contesti ed espressioni che ci danno più di altre parole l’idea dell’intenso rapporto del paese nei confronti di Zahrtmann – che aveva anche scritto di sentirsi “civitano” – e nello stesso tempo la misura del suo carisma e del profondo legame che l’artista aveva con Civita.
Il libro fu da me presentato, insieme a Stig Holsting, sia presso l’Accademia di Danimarca di Roma, che presso l’Istituto Italiano di Cultura di Copenhagen. Le ricerche sono andate avanti muovendo verso un nuovo obiettivo: recuperare tracce e documenti di una mostra che Zahrtmann volle allestire a Copenhagen nell’anno 1908, di cui c’era solo qualche notizia. Grazie alle ricerche dell’amica pittrice Kirsten Murhart – http://www.murhart.dk/ – fu possibile recuperare una copia del catalogo: un documento che raccontava una parte della vasta produzione di opere della scuola di Civita. Il titolo della mostra era infatti “Civita d’Antino dei pittori danesi”, con una selezione limitata a 124 opere, la cui realizzazione era riferita ad un quarto di secolo appena trascorso. Il ritrovamento del catalogo è avvenuto nel 2008, ad un secolo di distanza dall’evento. Una circostanza che ho voluto ricordare – Zahrtmann e la sua scuola – con un poster, realizzato graficamente dagli amici di CultureTracks di Pescara http://www.culturetracks.org/.
Il poster fu presentato il 28 dicembre 2008 nell’Osteria del paese che porta il suo nome. Lo scorso anno è stato pubblicato il libro “L’Italian dream di Kristian Zahrtmann”, sempre a cura di Menabò/D’Abruzzo http://www.dabruzzo.it/ e sempre in assenza di qualsiasi contributo pubblico. Un libro a più voci, che ha soprattutto ricercato il coinvolgimento delle pittrici Kirsten Murhart ed Helle Fibiger, di J. Werkmaster e dalla sig.ra Alice Krøyer, discendente del grande P.S. Krøyer, per una lettura aperta di quella stagione, in una comune visione culturale che superasse insufficienti letture di taglio locale. Il libro contiene oltre alla riproduzione del catalogo del 1908, una ventina di lettere di Zahrtmann ed altri elementi utili per inquadrare la golden age danese a Civita, indicazioni sui musei scandinavi che raccolgono opere di Zahtmann e della sua scuola, ecc.
Una storia a parte merita l’individuazione del quadro della Madonna della Ritornata, realizzato da Zahrtmann ed inizialmente destinato all’erigenda chiesa di S. Maria. L’eccessiva umanizzazione del dipinto portò a destinare altrove la Madonna. Presente in un primo tempo nel suo studio di Copenhagen, si erano perdute le sue tracce dopo la morte dell’artista. Oggi l’opera è esposta in una chiesa di Søborg, a 60 km a nord di Copenhagen. E’ per molti versi singolare che l’unica opera di rilievo rimasta a Civita sia rappresentata proprio da un quadro di Daniel Hvidt che riproduce – più fedelmente rispetto al Maestro – la Madonna venerata a Civita e nella Valle Roveto. Di questa prese addirittura il posto durante l’occupazione tedesca.
Al riguardo, mi sembra doveroso ricordare come lo scorso anno sia stato realizzato un altro momento “storico”: la mostra “Il lungo viaggio dal nord”, promossa a Pescara – con molta lungimiranza – dalla Fondazione PescarAbruzzo, con l’allestimento curato da CultureTracks. E’ stata la prima volta che in Abruzzo venivano esposte opere di Zahrtmann e della sua scuola, insieme a opere contemporanee delle artiste danesi – Fibiger e Murhart – tornate ad ispirarsi nella nostra regione. Alla conclusione della mostra il presidente della Fondazione promise l’impegno dell’istituzione a ricercare le soluzioni dirette a permettere l’acquisto di opere della Scuola di Zahrtmann reperibili sul mercato internazionale dell’arte da riportare in Abruzzo. Oggi posso dire che quell’impegno non era una generica promessa di circostanza, espressa dinnanzi alla comunità di Civita arrivata a Pescara nell’ultimo giorno di apertura della mostra. Si tratta, infatti, di un impegno che sta concretizzandosi con l’acquisto di alcune importanti opere.
Circa due anni fa avevamo ideato lo slogan “Per non dimenticare Kristian Zahrtmann e i pittori scandinavi a Civita d’Antino”, che decidemmo di inserire nel poster realizzato per ricordare il centenario della mostra di Copenhagen, quale messaggio diretto a favorire la conoscenza del paese attraverso il ricordo del Maestro che tanto amò questo angolo d’Italia. Una speranza per contrastare il declino del paese e un certo clima di rassegnazione. Oggi posso dirvi che l’impegno nel favorire ogni possibile canale di comunicazione sui media tradizionali e soprattutto sul web ha determinato il sorprendente riemergere sulla rete la combinazione Civita d’Antino-Zahrmann. Basta inserire nella ricerca su google “Kristian Zahrtmann” per verificare il posizionamento dell’artista legato al paese abruzzese. In misura minore stanno crescendo combinazioni tra Civita e altri artisti che l’hanno frequentata (a cominciare dal grande P.S. Krøyer).
Un risultato eccezionale quello di rimuovere il silenzio sulla irripetibile Scuola italiana di Zahrtmann, raggiunto senza risorse pubbliche grazie alla passione e al coinvolgimento di tante persone “contagiate” da questa storia, che oggi collaborano nel sito www.civitadantino.com, pensato come centro di documentazione virtuale a disposizione di studiosi, curiosi, viaggiatori italiani e stranieri ed ora diventato una vera e propria infrastruttura a servizio del turismo culturale. Nello stesso tempo ho la percezione che la comunità di Civita – e credo dell’intera Valle Roveto – stia recuperando memoria e consapevolezza del suo straordinario passato e del suo legame, non solo ideale, con la Danimarca e la Scandinavia. Anche sul recupero di queste radici si costruisce l’identità culturale europea.
Ovviamente il quadro delle ricerche è ancora da completare, mentre molte difficoltà sono connesse alla lingua danese, in cui è espressa gran parte della storia dell’arte scandinava. Tra l’altro sei anni prima di Zahrtmann giunse a Civita un altro pittore danese, Erik Olrik. Chissà su quali tracce? Forse quelle di Edward Lear, pittore inglese la cui famiglia era pure di origini danesi? Insomma ci sarebbe ancora molto da lavorare. Emblematica è stata la recente “scoperta” di un documento della Pro-Antino, che ho cortesemente avuto da Manfredo Ferrante e che ho ripreso in un mio recente articolo su D’ABRUZZO (primavera, 2010).
Un atto che non solo documenta la costituzione della pro-Antino nel 1910 (anche se la raccolta di fondi fu iniziata nel 1906), ma anche la capacità di affinare e progettare la bellezza del paese, in particolare assecondando la creatività di Zahrtmann, che desiderava – tra l’altro – che fossero piantati alberi nella piazza e nel piazzale antistante la scalinata che sale a Porta Flora.
Questi alberi – di cui scrive anche Jørgensen (1915) – sono ancor oggi la testimonianza vivente dell’amore di Zahrtmann per il suo paese italiano e bene ha fatto il Sindaco a recuperare alcuni atti che documentano l’attività svolta dall’artista quale benefattore per i poveri del paese. Della Pro-Antino il sig. Cristiano – come era chiamato da tutti in paese – fu presidente onorario: un’esemplare esperienza di integrazione interculturale, in una visione comune a difesa della bellezza del paese. Il pensiero di Platone – “Gli artisti creano sogni fabbricati per uomini svegli” – mi sembra adeguato per interpretare lo straordinario clima positivo della Civita di quegli anni, che traspare ancor oggi dalla gioiosa armonia descritta in tante opere. Tutto finì con il terremoto del 1915, in cui trovò la morte anche l’avv. Filippo Ferrante, sindaco di Civita e promotore illuminato della stessa Pro-Antino, di cui era presidente esecutivo. Il terremoto divenne una sorta di sipario del silenzio calato sul passato, tale da cancellare tutto o quasi: anche i più anziani del paese ignoravano l’esistenza stessa della Pro-Antino !
Una circostanza che fa tornare in mente l’interessante contributo di Sergio Bini al libro “L’Italian dream..” laddove si richiama per Civita l’efficace suggestione di “città invisibile” di Italo Calvino. Sempre sul tema della memoria, lo scrittore Claudio Magris sulle pagine del Corriere della Sera ammoniva recentemente sul rischio oblio per il “nuovo” terremoto che ha colpito L’Aquila e parte dell’Abruzzo interno, dopo i riflettori accesi dei primi mesi.
A mio parere L’Aquila non corre questo rischio, pur con gli immensi problemi che l’attanagliano oggi, mentre per molti piccoli e antichi paesi della montagna abruzzese questa amara prospettiva appare purtroppo fondata. L’abbandono da parte delle comunità, porta al depauperamento della memoria e quindi della stessa identità dei luoghi. Ecco perché l’eredità ricevuta da un lungo passato va difesa, perché non scompaia la stessa identità delle comunità locali. E le vicende di Civita devono far riflettere sulla realtà abruzzese di oggi e sulle stesse strategie di valorizzazione del territorio. Con queste mie riflessioni, cari amici danesi, spero di aver aiutato a comprendere almeno in parte le ragioni del lungo silenzio dell’Abruzzo su Zahrtmann e la sua meravigliosa scuola.
(1) La delegazione danese era composta da Lars Kærulf Møller, direttore del museo d’arte di Bornholm, in rappresentanza anche del sindaco di Rønne, Jesper Christiansen, artista e restauratore del Palazzo Reale di Copenaghen, Lotte Majlhede, giornalista del Tv2 News Dk; Bjarke Orsted, giornalista fotografo.
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