Lontano da Roma
(di Carlo Di Stanislao) – Lontano da Roma e dalla mia città, che oggi lì vive un suo momento cruciale, col cuore infranto per non essere potuto andare, schiacciato da riti ed impegni che ho fatto divenire, mio malgrado, inesorabili, come i registi a me cari che parlarono, “de loin”, di un dramma epocale (il Vietnam e la tragedia di un occidente fagocitante e bieco), scrivo di getto queste righe per sentirmi, almeno, in quella piazza, idealmente, in spirito e con tutto il cuore. Non ho nulla da raccomandare al consiglio comunale, né ai concittadini presenti, già visdti alla’opera, fermi e civilmente determinati il 16 scorso, ma ai singoli e alle loro anime graffate e sanguinanti, che rischiano di rimanere immobili ed infelici nella folta schiera delle vittime annichilite dalle spoliazioni subite, ferme in un passato di esperienze negative, ancorate su immagini che non si riescono a sbiadire. Da oggi e nel futuro, dovremo protenderci con slancio ed unità dentro al sogno di chi spera davvero in una rinascita che aspiri, in primo luogo, a fare della propria vita lacerata e violentata, un’opera d’arte, estraendola dalla bruttezza di sterili polemiche e pericolose divisioni, facendone un esempio di bellezza con un’anima, non soggetta al deterioramento del tempo e del male, agli insulti di politiche sbagliate e calate dall’alto, versate nel vuoto di una totale assenza di idee e col solo scopo di fare palcoscenico. Dalla nostra città, fra gli altri e su gli altri, abbiamo ricevuto il dono della bellezza, un dono inestimabile che ci fa più forti e diversi. A chi soffre di depressione e a chi vi si rapporta suggerisco di pensare che tanto male di vivere proviene forse dalla parte più profonda dell’essere che non ha rinunciato all’aspirazione della bellezza. E’ necessario fare un patto di amicizia per assumere e poi trasformare l’odio rimosso, il progetto vendicativo inconscio nei confronti della vita, dei politici e degli amministratori, in qualcosa di profondamente diverso. E’ necessario stringere un patto per la bellezza perduta e da riconquistare e per la bellezza nuova da creare insieme, per darsi un’anima e coltivare l’anima eterno di questo nostro Luogo. Il dolore e lo strazio della depressione hanno un senso se, dopo aver bruciato e consumato, si trasformano in energia luminosa che produce nuova vita. Questo avrei detto ed ora scrivo, in trepida attesa, mense ripenso ad un saggio di Antonio Mercurio dal titolo emblematico; “Perché non possiamo fare a meno della Bellezza” ed idealmente mi stringo ai concittadini a Roma. Ho bisogno di scrivere queste righe, per avere accesso alla dignità del mio esserci e ribadire la convinzione, che l’isolamento e la divisione, come la rabbia o l’eccessivo orgoglio, non portano mai a nulla di buono. Per troppo tempo ci siamo addentrati, retrocedo, nella selva delle divisioni e dei personalismi, discendendo nell’inferno della città di Dite e di Malebolge di cui Dante ha magistralmente descritto il percorso. Ed ora resta, come unica vera possibilità, il superamento di questo, nella convinzione profonda che veniamo e siamo custodi di una intatta bellezza.
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