Cialente ai giornalisti nazionali: “Ecco il massacro, ora lo avete visto tutti”
L’Aquila – SBATTI LE MACERIE IN PRIMA PAGINA – Tanti, quasi tutti, non ne avevano idea. Ora ce l’hanno. Ora sanno e hanno visto – cum oculis, non dalla tv – cos’è stato il 6 aprile nella città che aveva uno dei centri storici (pregevoli) più grandi d’Italia, nella sua categoria demografica. Un massacro incredibile, un frullatore che ha maciullato migliaia di edifici: visti dall’autostrada, nel panorama ingannevole e un po’ sinistro di notte, sembrano in piedi. Invece sono ectoplasmi edilizi, spezzati, tenuti in piedi grazie a catene e puntelli per migliaia di tonnellate di ferro e legno. I direttori delle testate (pochi, c’era Bianca Berlinguer “capo” del Tg3, con qualche altro nome importante), ma soprattutto i loro inviati, le telecamere, le fotocamere, i telefonini che “prendono bene”, ora sanno e non hanno più alibi e idee approssimative. Specie quelli che nel Nord, soprattutto, si erano fatta l’idea scostante e saccente di una città “che non si accontenta mai”. La folta schiera dei giornalisti è stata accompagnata dal sindaco Cialente, ed ha potuto sentire lui (nelle interviste finalmente finite in onda nei tg nazionali già alle 14), ma anche tanta gente, che ha detto la sua. Come quel signore che ha perso casa in centro e da 14 mesi neppure può avvicinarsi alle macerie per riprendere i suoi documenti: all’anagrafe dicono che è del 1921m, invece lui è del 1937, ma senza documenti si deve rassegnare ad essere più vecchio: burocrazia cieca, sorda, e anche arruffona e approssimativa, che commette errori incredibili e non sa correggersi neppure al cospetto dell’evidenza. La “grande” stampa (che spesso scopiazza la piccola, il giorno dopo, ma solo quando le fa como per risparmiare) accanto alla meno grande che questo disastro lo sta raccontando e documentando, inascoltata, dal primo giorno, dal 7 aprile 2009, a terremoto ancora in corso (in quel mese vi furono almeno cinque scosse superiori al 5° grado Richter).
La grande stampa che ora, se vuole, può capire le lacrime, la disperazione, ma anche la forza e il coraggio di chi ha perso tutto e chiede solo di poter vivere.
Come? Con i soldi, con cos’altro se no? Il sindaco la canta chiara e semplice: o ci danno 7-8-9-10 miliardi di euro, in un flusso regolare e certo, oppure ci dicano “che L’Aquila delle baracche, delle case antisismiche di legno, e dei map, deve abituarsi a vivere così molto,molto a lungo”. Insomma, rinunciare ad una vera ricostruzione, che richiede soldi e certezze, non pannicelli bcaldi, ordinanze, confusione, ritardi estenuanti. Per il sindaco la sola soluzione credibile è la tassa di scopo, lo ha sempre detto, e ora sono in tanti ad essere d’accordo con lui. Il PD, e Stefania Pezzopane (ieri D’Amico e Di Pangrazio) ribadiscono: occorre una legge speciale, altrimenti non se ne esce tra provvedimenti frammentari, contrastanti, incompleti e soprattutto senza fondi adeguati. In poche parole: Italia, vuoi che L’Aquila sia ricostruita o vuoi lasciarla tra favelas e baracche, case di legno, capanne? Il patrimonio monumentale perso non vale nulla? Ma non eravamo un paese civile che vive d’arte, turismo, storia e monumenti? La lezione per la grande stampa pare sia stata utile, a giudicare dal risalto che le danno le tv e le radio. Anche quelle che il 16 giugno, al corteo, erano distratte oppure – semplicemente – obbedivano a osceni ordini di minimizzare, tacere, attutire. ma allora è inutile strepitare per la libertà di stampa e le intercettazioni… Troppi giornali i divieti e i bavagli se li sono dati.
Dal canto suo il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, scrive al direttore del quotidiano Il Sole 24 Ore: ”Gentile direttore mi auguro che trovera’ il tempo per visitare L’Aquila. Rimarra’ stupito nel constatare la quantita’ e la qualita’ delle opere realizzate in favore della popolazione abruzzese”. Prosegue Bertolaso: ”Da parte dei rappresentanti della comunita’ locale mi e’ sempre stato ribadito che la ricostruzione cosiddetta pesante fosse compito loro. Mi limito a constatare che gli stessi rappresentanti delle istituzioni locali oggi si scagliano con forza contro una sorta di immobilismo ed abbandono”.
(Nelle foto Col: anche la Carispaq si lecca le ferite, ingabbiata nel cuore della città – Sotto le campane di S.Pietro precipitate al suolo sfondando i sioffitti rimasti in piedi. Sono lì da 14 mesi)
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