L’opinione -Fratelli divisi d’Italia


(di Carlo Di Stanislao) – Il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, nega su tutti i quotidiani di oggi di aver “sostituito” l’Inno di Mameli con “Va’ Pensiero”, in occasione dell’inaugurazione di una scuola nel trevigiano e, sul fronte opposto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, annuncia un provvedimento per disciplinare l’uso obbligatorio dell’inno nazionale in determinate situazioni. Raggiunto telefonicamente dal “La Repubblica”, Zaia dichiarava già ieri (all’uscita della messa, in S. Antonio): “Balla colossale. Fosse vero sarebbe una cosa da impeachment. Glielo dice un presidente di Regione che ha giurato sulla Costituzione. Vorrebbe dire che sono impazzito di colpo, per questo mi stupisco, e mi offendo, di fronte a certe dichiarazioni”. Su “il Tempo” di oggi Zaia chiarisce: “tutto è nato dal fatto che un giornale locale ha riportato con pieno titolo in prima pagina. Non è accaduto assolutamente questo. Poi ovviamente la notizia è stata ribattuta dalle agenzie e tutti hanno commentato una notizia falsa” . E, compresa l’aria pesante che l’episodio ha creato, Giampiero Beltotto, portavoce del presidente del Veneto, si assume tutte le responsabilità, assicurando: “io sono arrivato alle scuole prima di Zaia. Mi hanno detto che i bambini volevano far sentire il canto che avevano preparato nei giorni scorsi e che poi in scaletta c’erano il coro di Verdi e l’Inno di Mameli. Ho chiesto di stringere. Bene il coro dei bambini, ma per gli altri si organizzassero. Zaia non ne sapeva nulla”. Comunque, di là da polemiche, accuse e ritrattazioni, di fatto i leghisti hanno da sempre dichiarato che il “loro inno” è l’aria verdiana e non già la marcetta di Mameli, con quella strofa inpronuciabile: “schiava di Roma”, che a loro crea moto più di crisi di orticaria. Comunque, mentre l’Italia dei fratelli è ancora divisa e da fare (anche dentro la stessa coalizione), fa notare, sempre oggi, “la Stampa”, che l’inno di Mameli aspetta da oltre mezzo secolo di essere riconosciuto ufficialmente inno nazionale; dalla fine della seconda Guerra Mondiale, quando fu adottato dal governo come inno “provvisorio”, rimanendo tale per tutto questo tempo, almeno da un punto di vista formale. Nessun atto ne ha mai sancito, infatti, l’ufficialità e le proposte di legge che si sono succedute nel corso delle legislature per colmare questo vuoto, non sono mai andate a buon fine, ma stavolta La Russa avrà imparato, dal suo capo, l’artificio sicuro del voto blindato e con la fiducia). “Presenterò un ddl non so ancora se in sede parlamentare o governativa per disciplinare l’uso obbligatorio dell’inno nazionale in determinate circostanze”, ha detto oggi l’ex An ed oggi Ministro, in occasione dell’assemblea annuale di Assolombarda a Milano; ma intanto c’è chi ricorda che l’estate scorsa, alla festa della Lega, il leader del Carroccio Umberto Bossi aveva chiesto di imporre il coro di Giuseppe Verdi come inno del Nord, al posto dell’inno italiano. Ma, insomma, se avremo un’Italia federale perché non avere due inni a scelta delle singole regioni e a vantaggio dell’atomizzazione del senso di Nazione? In fondo, a ben vedere, anche a Giuseppe Mazzini, uno dei padri dell’unita’ d’Italia, l’inno non piaceva: troppo scivoloso e retorico il testo, troppo orecchiabile la musica. Ed anche se quel ‘Canto degli italiani’, scritto da Goffredo Mameli nel 1847 e musicato da Michele Novaro nello stesso anno, e’ divenuto, insieme al Tricolore, il simbolo del Risorgimento prima e dell’Italia unita poi; perché non “riformarlo” o addirittura emendarlo, come si vuol fare per la costituzione?. E poi, in fondo, perché tanto rumore? Di critiche l’inno ne ha ricevuto tante ed anche “strane”: come quella da Antonio Spinosa di essere maschilista, perché nei versi del suo autore non si accenna neppure minimamente alle imprese compiute da eroine risorgimentali come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi. E, anche durante il ventennio fascista, l’inno di Mameli ha passato i suoi guai: dopo la marcia su Roma, presero sempre più piede, oltre all’inno ufficiale del regno che era la Marcia Reale, i canti fascisti; che non erano inni ufficiali, ma il regime ne curava e in modo assai capillare, la diffusione. I canti risorgimentali furono tollerati. Tranne, s’intende, quelli ‘sovversivi’ di stampo anarchico o socialista, come l’inno dei lavoratori o l’Internazionale. Oltre a quelli di nazioni straniere ostili al governo fascista, come La Marsigliese. Chi non si placa, nonostante la precisazione di Zaia, non è solo La Russa, ma anche l’ex collega in An Italo Bocchino che oggi, su Adnkronos, tuona: “’Zaia deve scusarsi, queste cose non devono accadere e serve una parola forte e coraggiosa del premier Silvio Berlusconi, visto che e’ stato suo ministro e che l’ha scelto lui come presidente della Regione Veneto e visto che lui è a capo della coalizione di cui fa parte la Lega”. Ed ha aggiunto, se ve ne fosse ancora bisogno, che: “”Zaia usa la tattica tipica dei leghisti che vanno sul territorio mettendo in atto delle provocazioni molto gravi, come questa, e poi fanno marcia indietro perché sanno che devono convivere con le altre forze politiche delle istituzioni”. Concetto di Vecchio su Repubblica on-line di oggi, dice che comunque nel proteimorfismo leghista Zaia è molto diverso da un Borghesio, che a una convention dell’ultradestra ad Orange in Francia, ha lanciato la proposta di una scuola transnazionale di “soldati politici che resistano, anche fisicamente, al nemico”. Tuttavia, in questo caso e nella presa di posizione sulla Ru486, quella di Zaia è una posizione non meno ambigua e pericolosa. Anzi, nel caso di Zaia, ex pr di discoteca che saprebbe rendersi simpatico anche a un orso, il pericolo è ancora maggiore. Zaia, insomma, ricorda, nei fatti (e misfatti), il giovane sindaco di Verona Mario Tosi, che di recente ha dichiarato: “La Lega è sempre stata ben disposta nei confronti di quegli stranieri che non alzano troppo la testa: se ne stiano buoni a lavorare senza rivendicare aperture di kebab e moschee. A buona parte del suo elettorato quelle braccia servono. Io sono di sinistra e non mi scandalizzo quando paragonano la Lega al Pci per capacità di radicamento sul territorio. Ma il vecchio Pci faceva da tramite, elaborava istanze. La Lega funge da notaio: quel che il suo popolo vuole lo trasforma in legge. Tanti ex comunisti sono diventati leghisti per opportunismo: nelle Regioni rosse votavano falce e martello perché là il Pci rappresentava il potere, solo che allora non c’erano abbastanza immigrati per rivelarsi razzisti”. Ebbene, se siffatte persone non cantano il mio stesso inno, forse sono anche contento, così posso sentirmi più italiano.


14 Giugno 2010

Categoria : Dai Lettori
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