40 anni di statuto, la storia della rivolta è scomparsa con le macerie della Prefettura


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – STATUTO E CAPOLUOGO – Lo statuto della Regione Abruzzo ha 40 anni, almeno questa è la sua età dalla prima stesura, quella maturata dopo la “rivolta del capoluogo” che mise a ferro e a fuoco prima Pescara, nel 1970, e poi molto più estesamente L’Aquila l’anno successivo. La Regione Abruzzo nacque – con decenni di ritardo come le sue consorelle rispetto alle previsioni delle Costituzione – tra barricate, sirene, fumo nero, blitz di celerini inferociti e maldestri, urla di rivolta, incendi, saccheggi e disordini che a molti fecero dire: “Questa non è rivolta popolare, ma sovversione organizzata”.
SOVVERSIONE? – Forse la verità sta nel mezzo: la sovversione organizzata si intromise, colse l’occasione e ne approfittò. In quegli anni l’Italia era avvelenata da sovversivi di tutte le risme, tentati colpi di Stato, oscuri segreti (rimasti tali), bombe, sussulti di eversione. Ma lasciamo andare un discorso tentato tante volte, e mai giunto a conclusione definitiva. La rivolta dell’Aquila ci fu e fu scatenata dalle indecisioni ambigue sul capoluogo. Nello Statuto fu scritto, ed è scritto, che capoluogo è L’Aquila e le riunioni di consiglio e giunta si tengono a L’Aquila “e” a Pescara.
CAMPANILISMO BECERO – Quarant’anni sono serviti a fissare questo principio, ribadito nei successivi statuti regionali, e il capanilismo becero dovrebbe essere ormai morto e sepolto. Dovrebbe. La politica ogni tanto fa di tutto per rinfocolarlo, degna erede di un passato in cui tanti fecero fortuna attizzando rivalità e mistificazioni estranee al 90% degli abruzzesi.
Abbiamo visto nel terremoto l’affetto di tanti (se non tutti) gli abruzzesi per gli aquilani. In prima linea, la civiltà e la generosità di Pescara hanno persino commosso chi ha vissuto esule da quelle parti. La gente, come sempre, è mille volte meglio dei suoi politici. O almeno di molti suoi politici.
ABRUZZO AMICO – In quattro decenni, abbiamo imparato anche queste cose. Nelle disgrazie si vedono gli amici. Li abbiamo visti. E oggi vediamo i non amici, ma non tra le gente abruzzese, salva qualche ovvia eccezione. La mamma degli imbecilli è sempre in sala parto.
Che tutto sia passato e cambiato, lo dicono lividamente le macerie della Prefettura, l’edificio polverizzato dal sisma. In quel palazzo, anche allora sicuramente malfermo e rischioso, si vissero i primi fuochi (fatui) della rivolta (46 arresti, circa 100 feriti, diversi vip destituiti d’autorità), i lanci di monete, gli assedi al neonato consiglio (il cronista c’era…), le fughe pavide di alcuni politici, i momenti cruciali di un evento che comunque è storia.
TUTTO SPAZZATO VIA – Il tempo ha spazzato via tutto, come avviene per le grandi metropoli del deserto, per le civiltà, per i regimi, per ogni tipo di potere. Qui, è stata piccola cosa, di fronte al grande scenario della storia con la S maiuscola. Ma tutto è emblematico, tutto forse nasconde significati, ammonimenti, simboli, analogie. Tutto è trascorso e finito in frammenti. Tanti se ne sono andati. 40 anni sono molti in una vita, nulla nella storia. La lezione? Come sempre, non c’è: la storia non è maestra di vita, la grossolanità e l’ignoranza dei tempi in cui viviamo l’hanno confinata nella noia e tra le bugie ufficiali. Ma chi c’era, guarda con occhi diversi ciò che resta della Prefettura sbriciolata più degli altri edifici. Un segno anche questo? Se ci si crede, sicuramente. Se no, una pagina chiusa come le mille altre di ogni vita, umana e materiale.

CUPIO DISSOLVI – E anche semidimenticata, il che, forse, è la cosa migliore. Cupio dissolvi, una saggia globale aspirazione.
Il nostro archivio con le foto della rivolta è andato distrutto con il terremoto. Si Internet, non c’è una parola per la rivolta dell’Aquila, decine di titoli per la rivolta di Reggio Calabria e del “boia chi molla”. Segno dei tempi: L’Aquila non vuole ricordare, e la natura le dà una mano. Un pensiero va, comunque, al sindaco di allora, Tullio De Rubeis, che con dignità e sentimento leale si mise alla testa del primo corteo, quello diretto verso la Prefettura. La miccia e la scintilla. Per De Rubeis, solo sentimenti da galantuomo. Per molti altri, chi sa.
(Nelle foto: il dipinto del Patini nel salone della Prefettura, il palazzo crollato il 6 aprile 2009, lo storico sindaco Tullio De Rubeis)


07 Giugno 2010

Categoria : Storia & Cultura
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