Torna il cuore aquilano, centro sporco e in degrado: non ridateci una città così
L’Aquila – Sentimenti contrastanti, per chi oggi ha potuto con tanta gente ripercorrere il “corso stretto”, quei 500 metri di “budello” tra palazzi antichi, bifore, cortili, decori e pietre secolari, negozi, vetrine, locali, vicoletti laterali. Ivan, un bambino, è passato per primo. Il nero e il verde del rugby e della città recavano la scritta “immota manet”, che suona anche beffarda, visti i movimenti… sismici. Ma “immota manet” oggi ha perso il suo significato sarcastico (“ecco non se move mai gnente”) per tornare a ribadire che L’Aquila è forte, trema e non casca. Si fa per dire. Lungo il corso non c’è alternativa a puntelli, incastellature d’acciaio, legno, tiranti, catene, cavi e piastre di sostegno. E qualche messaggio di … sana diffidenza affidato alle transenne, lasciato da chi sospetta, dubita, si chiede… se dobbiamo fidarci.
Anche un sentimento di commozione, va detto, benché il cronista abbia già percorso, senza essere fermato, il corso quando era ancora chiuso e transennato. Scoprendovi la struggente malinconia delle cose finite, che riesumano ricordi (altrimenti insignificanti), persone, incontri, beate notti di caciara al Bar Gran Sasso, una volta aperto fino alle ore piccole. Ore e anche persone svanite, irrevocabili, così come è oggi quella città dei nottambuli degli anni lieti e – ormai – lontani e irreali. L’Aquila torna ad avere il suo corso, dalla Villa alla Fontana Luminosa. Speriamo che basti a sostenere, a puntellare l’illusione di tornare a com’era. Comunque, un passo avanti.
Uno indietro, ma grosso, lo ha compiuto buona parte del centro, dove stanno crescendo erbacce rigogliose ovunque, indifferenti a macerie, sporcizia, feci, contenitori, rifiuti: i segni di un declino impressionante, che in parte è inevitabile (chi può pulire dentro recinzioni e transenne?), in parte potrebbe essere alleviato. L’immagine ha il suo peso: perché non impedire, per quel che si può, che la natura selvatica si riappropri della città, come se fosse tutta una rovina? L’impressione è da day after, da giorno dopo il martirio nucleare, e nel limite del possibile, va contrastato. Un esempio:come possono essere lasciate crescere le erbacce in via Tre Marie, o sotto i portici del cinema Massimo? Non esiste neppure un tentativo di rimettere mano ai servizi ordinari. Oltre alle erbacce, purtroppo, ci sono anche immensi cumuli di sacchi di rifiuti. Qualcosa di ingiustificabile e di inaccettabile.
E’ vero che la vegetazione spontanea dilaga e invade tutto, persino i giardini pubblici, il piazzale di Collemaggio (insieme alla breccia sul prato, che indecenza!), i bordi delle strade, le aiole. La trasandatezza e l’abbandono sono assoluti, dominanti, aggressivi. Siamo nell’unica città in cui l’ordinario è impossibile: accendere una luce, tagliare l’erba, pulire le strade, aggiustare, curare, rialzare un lampione, riattivare una fontana. Il Comune avrà le sue ragioni, ma è vero che è sempre stato così. Ora la tragica aggressione del degrado appare desolante, depressiva, e scoraggia pure chi vorrebbe esserci. Nonostante tutto. Comunque, brindiamo, nel 14/mo mese (che si compie oggi) al ritorno di un ectoplasma di centro storico. Calice amaro. Ma la strada del calvario è sempre stata lunga e straziante. A L’Aquila anche sporca e trasandata, come per una resa. (G.Col.)
(Nel servizio fotografico Col: il manifesto della diffidenza, cumuli di rifiuti presso la Standa, e le erbacce che spuntano ovunque, sui marciapiedi, nei porticati, a Collemaggio)
Non c'è ancora nessun commento.