A proposito di gestione emergenza…
L’Aquila – (di Maria Concetta Ruffo) – Ritengo opportuno esprimere sull’ordinanza della Protezione civile n. 3870/10 (e non solo) dubbi e perplessità, credo propri di larga fetta della cittadinanza, continuamente interessata da una molteplicità di provvedimenti, che, per stato di cose, appaiono spesso oltre che a carattere transitorio anche del tutto estemporanei, tali da sfuggire a logiche interpretazioni e corrette applicazioni.
Detta ordinanza, all’art. 9, prevede tra le altre cose: “il beneficio della sistemazione alberghiera o delle soluzioni alloggiative equivalenti ed il contributo per la autonoma sistemazione vengono conservati o ulteriormente riconosciuti a condizione che i soggetti interessati attestino, mediante autocertificazione resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 e successive modificazioni e integrazioni, l’indisponibilità di idonee unità abitative, di proprietà anche dei componenti del nucleo familiare, nell’ambito del territorio della provincia di attuale dimora temporanea, oppure, limitatamente al Comune di L’Aquila, nell’ambito del territorio dei comuni dell’ambito di mobilità”.
Non emergono con immediatezza le logiche sottese a tale norma (diciamo riduzione spese e avvicinamento popolazione al capoluogo) ed è possibile che la stessa, così come formulata, sia andata “oltre” o “contro” le buone intenzioni del proponente; certo è che appare di difficile comprensione, non solo perché espressa in discutibile italiano, ma anche e soprattutto per le ingiuste conseguenze che comporta.
Appare infatti incongruo assimilare “sistemazioni alberghiere ed equivalenti” e “contributo per autonoma sistemazione (o CAS)”, trattando alla stessa stregua fattispecie del tutto diverse e meritevoli di differenziato trattamento, in quanto:
a) aver goduto o godere di sistemazione alberghiera o altra soluzione alloggiativa messa a disposizione gratuitamente dallo Stato pur potendo disporre in loco di idonea unità abitativa di proprietà di un componente del nucleo familiare, contrasta con l’autocertificazione che gli interessati avrebbero dovuto già rendere all’atto del ricovero alberghiero o equivalente e sostanzia un comportamento riprovevole;
b) aver optato o godere del trattamento di autonoma sistemazione, peraltro di entità del tutto simbolica, usufruire di ospitalità per un così lungo periodo (oltre un anno dal sisma), ovvero utilizzare un alloggio proprio e debitamente dichiarato (magari dopo aver affrontato spese per riadattarlo alle nuove esigenze), spesso coprendo quotidianamente distanze considerevoli per raggiungere il capoluogo e la sede di lavoro, sostanzia una fattispecie del tutto legittima. Tale lodevole scelta, però, viene incomprensibilmente mortificata.
Sia detto per inciso: il cittadino che ad esempio sia temporaneamente dimorante a Pescara e gode di CAS, secondo l’ordinanza può continuare a goderne anche se ha disponibile un alloggio di proprietà in altra provincia, mettiamo a Francavilla (CH).
E che dire dell’espressione “limitatamente al Comune di L’Aquila, nell’ambito del territorio dei comuni dell’ambito di mobilità”?
Gli addetti agli uffici comunali, così come i moduli di autocertificazione a disposizione del cittadino, riportano un’interpretazione che esclude dal CAS e dalla sistemazione alberghiera chi è proprietario di alloggio disponibile “nel territorio dei comuni dell’ambito di mobilità”. Considerato che alcuni piccoli Comuni hanno affisso avvisi alla cittadinanza, comunicando che perdono il CAS coloro che hanno un alloggio disponibile “ricadente nel territorio della provincia”, sembrerebbe opportuna maggiore chiarezza e uniformità di interpretazioni.
Alla luce di quanto evidenziato, se appare doveroso esigere la dichiarazione da parte dei cittadini sistemati in hotel o altro alloggio equivalente fornito dallo Stato (ma dovrebbero farlo spontaneamente al variare della situazione iniziale dichiarata), perché privare del CAS chi – a prescindere dal piano mobilità e dalle province – continua a usufruire di sistemazioni alternative, certo diverse da quelle consuete e spesso di fortuna, gravando il bilancio pubblico di un costo limitato?
E comunque, prima di assumere tali provvedimenti, perché non aspettare che gli interessati finalmente acquisiscano una sistemazione ravvicinata?
Tanto più che anche agli studenti fuori sede, che a seguito del sisma sono magari tornati alle case familiari, oltre a comprensibili aiuti ed incentivi (vedi biglietti autobus e tasse universitarie) è stato riconosciuto anche il CAS.
Da tale quadro sembra emergere, di fatto, un accanimento contro il cittadino che ha fatto tesoro dell’arte di arrangiarsi in situazioni di emergenza, dando dimostrazione della disponibilità e della propensione dell’abruzzese “forte e gentile” (e direi anche onesto, che è la maggioranza) a saper reagire anche a situazioni di estremo disagio, cercando soluzioni, ove possibili, per ricostruire la propria vita (e non solo le case), seguendo percorsi dignitosi, con iniziative autonome e collaborative, sfidando la mera rassegnazione e confidando soprattutto nelle proprie forze più che in mere politiche di assistenza.
Che questi percorsi siano spesso i meno agevoli è noto, ma che addirittura vengano disincentivati attraverso trattamenti indifferenziati che tutto appiattiscono, premiando spesso i più furbi o coloro che prediligono logiche assistenzialistiche, può comportare alla lunga ripercussioni molto pesanti in termini di spese, responsabilità, spirito di squadra, ricostruzione, insomma in termini di efficacia degli interventi e di immagine del territorio.
Se la finalità perseguita è quella della riduzione di spesa, ci si chiede per quali ragioni nuclei con contratto di locazione al 6 aprile 2009, oltre a risultare in gran parte fra i primi sistemati nel progetto di ricostruzione, continuano ad essere esentati dal pagamento di un qualsivoglia canone anche ove le condizioni economiche lo consentano.
Se la finalità perseguita è quella di agevolare il riavvicinamento, è fondato il dubbio che ottenga il risultato opposto: disincentivare l’anelito al del rientro ed esacerbare gli animi.
Aver acquistato un alloggio (spesso a fronte di sacrifici e aperture di mutui e con tutto ciò che ne consegue quanto a tasse, imposte, oneri di manutenzione e compagnia bella) è una scelta non sempre agevole, che in questa emergenza post sisma si è tradotta in un ingiusta situazione di sperequazione, rispetto a chi invece non piange la perdita della propria casa e non dovrà percorrere la faticosa strada della ricostruzione.
Per finire, qualcosa ci sarebbe da dire sulle cd. “graduatorie” degli aspiranti ad alloggi, mai rese pubbliche ed in continua trasformazione, tale da sfuggire anche al più fiscale degli aventi diritto, così pure sulla circostanza che a nuclei di pari entità numerica sono state assegnate case di diversa metratura senza alcuna motivazione e, ancora, sul fatto che alcuni nuclei si sono visti assegnare un alloggio ove richiesto ed altri esattamente in zone meno appetite, cioè le ultime indicate nell’ordine di preferenza del censimento, atto amministrativo evidentemente di nessuna importanza per coloro che assegnano, sordi alle esigenze più elementari formulate da tanti cittadini.
Ma così è, pare tutta una questione di buona sorte, in un contesto in cui la quantità degli interventi e l’esigenza di celerità (col beneficio del dubbio su correttezza e buona fede) vanno a scapito della qualità, dell’uguaglianza e della più che mai invocata trasparenza sulle procedure pubbliche.
E, ancora, che dire sull’inflessibile (e apparente) “intransigenza” della struttura tecnica che gestisce l’emergenza alloggiativa, con frasi del tipo “tutti uguali, niente favoritismi, le disposizioni valgono per tutti, non telefonate, non venite, chiamiamo noi” ? A giudicare dall’estemporaneità dei criteri di assegnazione non credo che si possa stare del tutto tranquilli e sicuri della certezza del diritto nelle procedure.
E, a proposito di estemporaneità, termino con un accenno ai single. Già hanno dovuto subire le conseguenze della sottostima del numero percentuale rispetto alla totalità della popolazione, nonostante censimenti tanto platealmente sbandierati quanto disinvoltamente misconosciuti dagli organismi decisori; ora sono oggetto di un indirizzo comunale secondo il quale, a parità di requisiti tra lavoratori pendolari, sono preferiti, nelle assegnazioni, i più giovani di età. Della serie: beati gli ultimi che saranno i primi … a guardare gli altri passar loro avanti!!
E allora largo alle categorie più “meritevoli” tanto a chi importa dei proprietari che dovranno affrontare negli anni a venire la ricostruzione pesante e dei single vecchiotti? Gli uni e gli altri potranno aspettare ancora poiché chissà, col tempo, potrebbero anche ridursi di numero…
(Nella foto Maria Concetta Ruffo)
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