I fatti di cui non si parla abbastanza: la denuncia del padre di Nicola Bianchi


foto7L’Aquila – Riprendiamo integralmente una denuncia pubblicata dal padre di una vittima del terremoto, Nicola Bianchi, sul Messaggero di oggi 3 maggio 2009 e ci poniamo anche noi degli interrogativi che vorremmo condividere con tutti voi. Ma prima del 6 aprile chi doveva e poteva decidere qualcosa (dagli enti locali alla protezione civile) ha fatto ciò che si sarebbe dovuto fare in un paese civile? Ma è vero che alcune personalità sono state allontanate dal centro storico dell’Aquila poche ore prima dell’evento disastroso delle 3 e 32? Ma è possibile che dopo 5 ore dal sisma delle 3.32 sulle macerie del condominio di via Campo di Fossa  con decine di vittime sotto i tramezzi di cemento armato non vi fossero aiuti da parte degli organi preposti ma solo dei volenterosi parenti?  Se esiste “una culpa in vigilando”, la procura sta valutando le varie posizioni e sta verificando le affermazioni di funzionari statali e di enti locali rilasciate anche ai microfoni di questo giornale nei giorni precedenti al sisma (vedere i video in archivio sulla home page a partire dall’ultima settimana di marzo) ?  Se fossero accertate delle omissioni è lecito chiedere le dimissioni di tutti coloro che potevano e dovevano decidere sull’incolumità della popolazione e non hanno fatto niente? E’ possibile che gli stessi che dovevano salvarci ora decidano sul nostro futuro? Questo ed altri dubbi ci attanagliano le idee convinti in buona fede che qualcosa non funziona nel sistema e in tutti noi se accettiamo come normale qualcosa che è stato paragonabile ad una strage di innocenti. (ppv)

Dal Messaggero:

In questi giorni si parla e si continua a parlare solo delle case e degli appartamenti da ricostruire, dei finanziamenti e delle agibilità, ma non si parla delle persone che abitavano in quelle case, di tutti quei giovani morti in un quella tragica notte tra il 5 e 6 aprile e dei loro familiari rimasti soli nel dolore, dolore provocato anche da domande a cui chi di dovere non dà delle risposte. Tra le varie domande quelle che più attanagliano le nostri menti e che non ci fanno dormire, dice Sergio Bianchi padre di Nicola, e che ci tolgono il respiro, sono: perché la protezione civile non ha tenuto conto del telegramma spedito dal Sindaco de L’Aquila il 2 aprile e che chiedeva lo stato di allerta? Perché le parole di Giuliani non sono state prese in considerazione, ed invece di istruire la popolazione su come comportarsi e difendersi da un sisma hanno invitato la popolazione a stare tranquilli ed a non credere alle parole dei “ciarlatani”?
In particolare, in quella settimana già critica perché si erano verificate più scosse consecutive, non si è pensato di tutelare i giovani studenti universitari che popolavano L’Aquila chiudendo anticipatamente l’Università, come invece già avvenute per altre scuole?
Questa particolare colpa, “culpa in vigilando” è trattata con forte severità dal nostro codice che pare non esista per coloro che vivono e operano a l’Aquila. Ammesso che i terremoti non si possano prevedere ma si possono invece prevenire eventuali conseguenze, perché la protezione civile ha invitato la popolazione a rientrare in casa invece che esporre il problema e lasciare ai singoli la responsabilità di dover andare incontro a un evento casuale si, ma in parte preannunciato dalla turbolenza sismica dei mesi precedenti alla catastrofe?
Ma oltre il danno anche la beffa. A distanza di meno di un mese da quella fatale e tragica notte, molti dei genitori di quelle giovani anime, morte il 6 aprile scorso, non hanno avuto conforto alcuno nella loro condizione luttuosa da parte delle autorità, che invece si sono espresse sopratutto sugli aspetti economici, culturali e organizzativi del terremoto. Questo evento anzi è servito e serve da vetrina mediatica per le gare di solidarietà e di iniziativa di gruppi e persone che su questo fatto speculano in visibilità e propaganda. Si parla degli investimenti che si devono affrontare per ricostruire le case, quelle che sono state le bare dei nostri figli, di quei giovani che le pensavano sicure benché costose.
Infatti uno dei commerci più importanti de l’Aquila, come, di altre città universitarie, è quello dell’ospitalità agli studenti. I quali non possono andare in sedi più vicine e meno costose rispetto alla loro abitazione familiare, perché grandi città come Roma (non hanno residenze universitari e gli atenei sono così intasati che per un giovane è quasi impossibile non sprecare diversi anni del suo curriculum universitario alla ricerca della sede e alla frequenza del corso prescelto). Ecco che L’Aquila non viene scelta perché è una bella sede climatica, nel cuore dell’Abruzzo e ai piedi del Gran Sasso, ma perché spesso per chi sceglie facoltà scientifiche offre la garanzia di non protrarre alle calende greche il corso di studi.
Di questi fatti non si parla. Non si parla della condizione universitaria, e della speculazione che sulla condizione dello studente si consuma a diversi livelli, quello della casa per primo. Oggi siamo arrivati al paradosso che saranno rifinanziati anche i proprietari di quelle case fatte di “sabbia di mare”, i quali avranno buon gioco a prendersela con i costruttori, i quali a loro volta troveranno il modo di evadere le leggi che li obbligano a rispettare determinati parametri. Ingordi e bulimici anche in questo tragico momento, insaziabili di denaro cercano di speculare anche sulle disgrazie: il Rettore si dichiara non responsabile di ciò che accade di notte, la padrona di casa, almeno quella proprietaria dell’abitazione dove stava mio figlio, non mi ha fatto neanche le condoglianze.
Allora mi chiedo qual è L’Aquila che dovrebbe rivolare, come declamano i manifesti pubblicitari? Quell’animale rapace che esiste anche sotto specie umane? E’ importante salvare la memoria, ripete Bruno Vespa e noi siamo d’accordo. E’ bello aver trovato città che si gemellano con L’Aquila per ricostruire monumenti, storici e religiosi, ma è altrettanto, se non più importante, ricordare chi è morto nel terremoto come vittime del lavoro, quel lavoro per antonomasia che è lo studio universitario, fatto di perseveranza, autodisciplina,senso del sacrificio e anche naturalmente tanto amore, come quello che mio figlio dedicava allo studio delle biotecnologie.
Voleva fare il ricercatore, si appassionava delle scienze legate al mondo della natura, ai suoi fenomeni più imprevedibili e particolari. Ricordo l’emozione che in lui, scolaro delle elementari, aveva suscitato l’eruzione dell’Etna. Voleva studiare un modo per bloccare la lava, aveva fatto disegni e scritto lettere. Più avanti negli anni leggeva Focus,raccoglieva e classificava piante, aveva fatto dello studio della natura e delle tecnologie non invasive che adesso si potevano applicare la ragione delle sue giornate e della sua vita. Non penso che sia l’unico, tra i ragazzi scomparsi, che fosse arrivato a L’Aquila spinto proprio dal desiderio di portare avanti a livello universitario interessi così precisi e profondi. Ma il terremoto de L’Aquila servirà anche a parlare della ricerca, del diritto dei nostri figli ad avere studi all’altezza di quelli dei loro coetanei europei?
Un’altro grande dolore, e questo tutto evitabile,è stato provocato dal modo, totalmente non trasparente e affrettato, in cui le salme sono state trattate. A parte il via vai di bare che si incrociavano e si perdevano in chissà quali meandri, (arrivavano infatti quella della protezione civile, dirottate a un certo punto verso destinazione sconosciute per far posto a quelle portate dall’azienda che ha preso in carico le funzioni funebri di tutti i defunti), inaccettabile è stato il modo con cui le salme, dopo l’obitorio e gli accertamenti previsti, sono state accatastate nelle bare stesse.
Nessuna preventiva pulizia dai calcinacci, nessuna attenzione a vestirle e presentarle ai cari, fretta e approssimazione poiché i morti erano tanti e non bisognava andare per il sottile! Personalmente ho ripreso, discutendo e litigando, il corpo di mio figlio per dargli le cure e la dignità che non può essere sostituita con fanfare pubbliche e bandiere patriottiche. Inoltre, qual è il mandato della Protezione Civile, quello che ha sostenuto il Dott. Bertolaso al TG1, ovvero che la Protezione Civile è il pronto soccorso dell’emergenze! Quindi Non Protezione, Non Prevenzione, ma Supporto agli aiuti e alle persone una volta che la catastrofe è avvenuta. Forse bisognerebbe rivedere questo mandato e lo scopo di questo organismo…
Io chiedo a questo Paese una giustizia civile che individui delle responsabilità e dia il segnale che non si può fare tutto quello che si vuole sulla pelle delle persone. Ma vorremmo anche che le vittime fossero ricordate, una per una, con delle borse di studio che il nostro Governo dia a giovani che vogliano intraprendere gli studi interrotti da queste giovani vite spente in una notte di aprile. Nessuno ce le riporterà a casa ma sarà un modo per ricordarle. E come ricordarle se non parlarne, parlare delle loro vite, dei loro sogni, desideri. Parlare dei loro traguardi raggiunti e che avrebbero voluto raggiungere.
Invece anche questa volta e in questa occasione la nostra politica e chi la governa ne ha approfittato per poter fare sfilate e propaganda elettorale e non per fare giustizia, giustizia che è dovuta a chi non c’è più e a chi resta. Giustizia penale, civile ma anche etica e morale. Come quella di chi poteva far qualcosa e non l’ha fatto, dalla protezione civile al governatore della regione, dal magnifico rettore al sindaco, dagli organi di stato a quelli dell’informazione. Giustizia che continuano a non fare non parlando delle VITTIME.

Sergio Bianchi
Il Padre di Nicola Bianchi


04 Maggio 2009

Categoria : Cronaca
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