Commercio, regole a sostegno del caos, tanto il danno è fatto e nessuno può rimediare…


L’Aquila – (ore 18,55) – (di Gianfranco Colacito) – La Regione, tra rumori e invettive di un’opposizione (peraltro molto confusa e arruffona al suo interno) ha finito cion l’approvare , dopo due rinvii, la riforma del commercio, oggi in aula all’Emiciclo. I sì necessari sono arrivati dalla maggioranza, pur con molti distinguo, e dopo una ardimentosa pacificazione interna costata ore ed ore di confalubulazioni, conventicole, trattative, patti, aggiustamenti. Il commercio fa gola a tutti, ed ha sodali e famuli pronti a qualsiasi nefandezza pur di soddisfare i grandi interessi. Che sono poi quelli che contano e prevalgono sempre, perchè “pecunia non olet”: la lezione dei romani che non ebbero paura di imporre una tassa sugli orinatoi, i “vespasiani” scomparsi da noi solo pochi anni fa. Il commercio è una grande madre dalle poppe lubriche e capienti, alle quali si attaccano per ciucciare davvero in tanti. Malizie da Laura Antonelli in calze a rete e sottanina corta sulla famosa scala? No, la verità dei fatti.
Oggi arrivano delle regole nel commercio (che forse cambieranno ancora, ma comunque ci sono): prima di tutto, stop a nuovi grandi centri commerciali (per tre anni soltanto, però…), meno aperture festive e altre facezie di questo tipo, con la scusa di voler tutelare i lavoratori e i piccoli concorrenti straziati dalla grande distribuzione. Tutte fandonie.
La grande distribuzione tratta i lavoratori come oggetti da strapazzo, paga poco, non dà garanzie, chiede molto e licenzia tagliando teste come la falce alla mietitura taglia le spighe. Lavoro debole, precario, malpagato, spesso costruito sull’autentico sfruttamento. Quali tutele? Si lavora e basta. Poco importa che certi scombinati ragazzini non sappiano dare del lei ai clienti e neppure rispondere su una modesta richiesta di informazione sulle merci. La grande distribuzione mira ai soldi e agli incassi, punta sul week end e sulle domeniche piovose, sa il fatto suo. Magari spesso conviene anche ai consumatori: grande scelta (non sempre), prezzi convenienti, offerte speciali a valanga. E poi alla gente piace, questo è il mondo oggi. Se L’Aquila non avesse oggi una grande distribuzione, cosa sarebbe? Davvero una Pompei, ma senza colonne romane e ville riemerse dalla cenere.
Le regole dunque arrivano, ma sono vent’anni che se ne parla, anzi se ne straparla. Nel frattempo, i centri commerciali hanno bombardato l’Abruzzo facendone la regione che, in proporzione, ne conta di più in Italia. Un mare indistinto, specie lungo la costa. Esitazioni e porcherie della politica, naturalmente, a L’Aquila, dove se ne sono fatte di così assurde, da vergognarsi, e ancora non si esce dall’ultimo problema: un centro commerciale negato, respinto, soffocato, forse perchè non diceva sufficienti sì ai golosi politici. Anche in questo L’Aquila ha fatto eccezione, e la sua politica si è dimostrata suicida e fallimentare: come in mille altre cose. Il peggio del peggio in Abruzzo. Dove la grande distribuzione ha fatto e strafatto a suo piacimento, senza neppure garantire massicci consumi di produzioni locali, specie in agricoltura. Nel terremoto aquilano, si è dovuto combattere per costringere le autorità a spingere qualche consumo locale. Compravano tutto da fuori e pagavano quel che veniva chiesto. Non sarà difficile capire chi e perchè. Poi, quando si sono aperte le porte ai prodotti locali, ci sono voluti mesi, raccomandazioni e strepiti sui giornali per avere i pagamenti.
Nel frattempo, mentre la politica regionale chiudeva occhi e orecchie e prendeva tempo (speriamo solo quello…), il piccolo commercio moriva e boccheggiava. Alla fine, è deceduto del tutto. Il grande commercio domina sovrano, dilaga, tracima, esonda ovunque. Solo oggi, a danno irrimediabile, la Regione impone le regole. Ma a sostegno del caos creatosi negli anni. Bella pagina di storia abruzzese, c’è da compiacersi. Complimenti e ringraziamenti dai grandi marchi che fecero, fanno e faranno soldi in questa terra di conquista dagli sceriffi distratti, o forse complici, chi sa quante volte. Ora la coscienza è a posto, la fanciulla arriverà vergine al matrimonio. Imene intatto, ma, diciamo, un ricco paniere di esperienze… Come nella Sicilia anni Cinquanta.


05 Maggio 2010

Categoria : Economia
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