L’opinione – Dopo l’uragano
(di Carlo Di Stanislao) – A parte il fatto che per l’inedito spettacolo dei battibecchi violenti e stizziti di entrambi, ci vorrebbe, come dice su Repubblica Ezio Mauro, la capacità descrittiva di un Hitchcock (o, dato il titolo di Vincenti Mannelli), è incontestabile che dopo ieri, c’è una minoranza interna nel Pdl e Fini ne è il leader. Una minoranza politica-culturale, con un 6% accreditato, ma un valore molto, molto superiore. Le truppe del presidente della Camera non sono definite nei numeri: ma è certo che un drappello di deputati e senatori, soprattutto su temi particolarmente cari al premier come quello della riforma della giustizia, possa creare qualche problema di tenuta alla maggioranza in Parlamento. Ha ragione Dal Piaz quando afferma che anche le parole hanno un loro valore e che, molto spesso, la guerra delle parole da luogo a conflitti più ampi, profondi e radicali. Di fatto il sipario si è strappato e Berlusconi, per la prima volta, deve recitare a braccio dentro ad un plot che non potuto né prevedere, né preordinare. Nel Pdl “oggi finisce la stagione dell’unanimismo”, ha detto Fini dopo il vertice di ieri, in cui, lui e Berlusconi, hanno trasformato l’arena della direzione nazionale del partito in un vero e proprio ring sul quale si combatte un match durissimo. E la terza carica dello Stato non arretra di un passo, anzi è chiarissimo e dopo aver ascoltato la lettura del documento votato dalla stragrande maggioranza della direzione, ammette che le truppe di cui dispone formano una componente “numericamente molto minoritaria” del partito, ma intende proseguire e promette “scintille” in Parlamento. La sua e’ una minoranza che rivendica il diritto di “discutere non solo del programma del governo, ma anche su come si attua quel programma”. Per esempio, dice Fini non a caso, “cosa si intende per riforma del fisco o riforma della giustizia?. Questi sono i titoli – aggiunge – ma poi bisogna vedere cosa si fa”. Da questo momento quindi l’organizzazione del dissenso potrà anche trasformarsi in una messa a punto di posizioni che formeranno la base per una tesi congressuale. Un guanto di sfida Fini lo lancia al coordinatore del Pdl, Sandro Bondi, al termine della lunga giornata della resa dei conti. Secca la replica di Bondi: “Sarete giudicati dagli elettori” e molto amaro ed irritato il suo commento, ieri sera, a 8 e1/2 , su La7. Ma l’intenzione di Fini è confermata e da ieri si è aperta una fase completamente nuova per il Pdl, una fase, anche di battaglie in Parlamento sui singoli provvedimenti. La vera azione sarà dunque esercitata nel day by day, in una puntuale verifica quotidiana delle iniziative de Governo. Fra gli ex-colonnelli che hanno abbandonato Fini per restare sul carro del più forte (in apparenza), parla Maurizio Gasparri, Presidente del gruppo Pdl al Senato, che su IlSussidiario.net, afferma: “l’esito dipende da come si vuole stare nel partito, se si accetta il confronto o se si punta all’ostruzionismo. A volte mi sono trovato più vicino a Berlusconi, altre a Fini. Il confronto è importante, ma alla fine bisogna accettare la decisione della maggioranza. Per immaginarsi altri scenari servirebbero invece dei numeri diversi”. E’ evidente che per lui e La Russa ubbidire è più importante che pensare ed allinearsi alla Lega e al leader, più urgente di fare politica con respiro sociale e davvero europeo, non spalmato sulle esigenze di singoli. Assordante, intanto, sia ieri che oggi, il silenzio de La Lega. . Nessun commento è giunto da Umberto Bossi, che ieri ha trascorso una lunga giornata nella sede di via Bellerio, fino alle 20, dove ha incontrato a metà pomeriggio il presidente della Provincia di Como Leonardo Carioni, membro in quota Carroccio nel cda di Expo 2015 Spa. La Lega, fanno capire in via Bellerio, non vuole entrare nella querelle tra le due anime del Pdl: “Noi osserviamo e tiriamo avanti sulla linea delle riforme – spiega Leonardo Boriani, direttore della ‘Padania’ -. Noi siamo per il governo dei fatti e non delle chiacchiere. Le chiacchiere non ci interessano”. Un modo per sottolineare una differenza di stile e soprattutto di affidabilità e coerenza di una formazione politica che ha rivendicato la lealtà alla coalizione di maggioranza e la coerenza con le promesse fatte agli elettori come i motivi del proprio successo elettorale. Furbi come sempre e come sempre in grado di gestire i problemi di altri a proprio favore, con atteggiamenti superficiali e pericolosamente populisti. Quanto a Bersani, oggi dichiara, parlando del duello Fini-Berlusconi: “hanno un modo di discutere che non va a fondo dei problemi, siano le riforme istituzionali o quelle economiche e sociali. Se non vanno al merito delle questioni e non hanno il coraggio di registrare le differenze profonde tra loro, il mio pronostico è che non si farà alcuna riforma perché continuare a tacitare e a tacitarsi è arrivare a stare fermi”. Ma poi aggiunge “con Fini si può ragionare su temi come le riforme” e conclude, non so con quanta convinzione, che, davanti ad tale spettacolo indecoroso, la possibilità che la maggioranza imploda prima del 2013 e che, vi sia la possibilità di urne anticipate, si fa concreto. Ma la vera questione, per il Pd, non è questa, quanto la necessità, per ora remota, di farsi trovare pronto, non solo, come insiste Antonio Di Pietro, individuando il candidato premier del centrosinistra, ma anche una precisa strategia che sia propositiva e non fatta del trito e solito attacco al leader degli avversari. Tornando a Berlusconi, sappiamo che dietro al coraggio e alla spavalderia, la maggior parte dei potenti della Storia nascondeva piccole e grandi paure. Hitler soffriva di claustrofobia e kenofobia (paura del vuoto); mentre Alessandro Magno, capace di creare uno degli imperi più estesi al mondo, soffriva alla vista di un semplice gatto. Da ieri in poi il Cavaliere avrà molta paura di chiunque, in pubblico, gli tolga la scena e gli resista, anche quanto fa la voce grossa e la mutria dura.
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