La Majella, rifugio di Celestino
Oasi verde, immersa nella pace, lontana dal chiasso dei villaggi di un tempo e delle città di oggi: la montagna racconta da secoli storie umane di intensa spiritualità, assurgendo a luogo mistico per eccellenza.
È stato così per la boscosa Umbria e lo è altrettanto per il selvaggio Abruzzo: le sue cime sono irte e, a chi non sia in grado di percepire il battito profondo della terra, sembrano minacciose e impervie. Una difesa necessaria per scongiurare l’arrivo in massa di folle di barbari (ieri come oggi) decise a conquistare un elemento della natura indomabile e superbamente libero.
Qui, Pietro futuro Papa Celestino V, trovò la serenità per pregare, un contatto privilegiato con Dio e con la sua espressione più autentica: la natura.
Celestino, una vita alla ricerca della preghiera in solitudine
Pietro Angeleri nasce nel 1215 a Isernia, da una famiglia di contadini.
Rimasto orfano a soli 6 anni, ancora giovanissimo diventa monaco benedettino nella badia di Faifoli, dove resta tre anni.
Ricevuta l’ordinazione sacerdotale si ritira a vivere in un eremo alle pendici del Monte Morrone. Nonostante il suo crescente desiderio di solitudine, fedeli e proseliti lo seguono costantemente, “costringendolo” a cercare riparo in luoghi sempre lontani e nascosti.
Nel 1294 è incoronato Papa Celestino V e organizza la congregazione dei Celestini. Ma la breve durata del suo pontificato (soli tre mesi) e il famoso “gran rifiuto” decretano la fine della sua pace e l’inizio delle persecuzioni da parte del suo successore sul soglio pontificio, Bonifacio VIII. Rinchiuso in una cella nella rocca di Fumone, Celestino muore il 19 maggio 1296 a 81 anni.
Gli eremi di Celestino sulla montagna d’Abruzzo
Seguendo i sentieri che conducono nei luoghi cari al santo, si entra in comunione con l’anima della montagna che ancora oggi ne custodisce i cammini impervi, angoli di natura selvaggia che, con amore e zelo, proteggevano la pace serafica di Celestino.
È un modo diverso di vivere questo elemento della natura, lontani dai luoghi classici del turismo e del chiasso delle gite fuoriporta, per comprendere cosa spinse quell’uomo particolare a fuggire dai fasti del trono papale.
Sparsi sulle cime della Majella, si contano oltre quaranta luoghi di culto di cui la gran parte eremi, collocati in modo particolare sul versante occidentale, nelle vallate di Santo Spirito e dell’Orfento dove Pietro da Morrone trascorse lunghi periodi di ascetismo.
Tra questi, uno dei più famosi è l’Eremo di San Bartolomeo, che si raggiunge salendo le indicazioni che da Roccamorice conducono a Santo Spirito; a Case Paglia, si abbandona la strada asfaltata per proseguire lungo il sentiero che va in direzione San Bartolomeo. Ci si immerge, così, in un susseguirsi di boschi e campi coltivati e poi ci si inerpica lungo una salita, fino ad incontrare le indicazioni per l’eremo. Tra sentieri pedestri e attraverso una scalinata che corre infine lungo un tunnel scavato nella roccia, si arriva all’Eremo di San Bartolomeo: da qui lo sguardo corre ripido verso la vallata sottostante e un fremito di vertigine attraverso l’animo e le ossa. Il piccolo edificio è stato costruito nel XIII secolo da Pietro, che qui è vissuto dal 1274 al 1276, ma il continuo pellegrinaggio di fedeli costrinse l’eremita a cercare un luogo più appartato dove pregare in solitudine e a spostarsi verso la valle dell’Orfento, dove si trova l’Eremo di Santo Spirito. Questo eremo risale a prima dell’anno mille, ma è stato Pietro a sistemarlo: splendida la Scala Santa che dà accesso a due balconate di roccia, dove i monaci si ritiravano in preghiera. Sotto la chiesa c’è poi la grotta dove hanno vissuto i primi eremiti giunti quassù.
Sull’Eremo di Sant’Onofrio al Morrone non si hanno notizie certe, ma molto probabilmente è stato anch’esso ristrutturato dal Celestino.
Davanti alla chiesa si trova un porticato e un piccolo piazzale antistante al sagrato. L’edificio conserva al suo interno un meraviglioso soffitto in legno quattrocentesco e alcuni affreschi che risalgono al XV secolo e che rappresentano Cristo Re e San Giovanni Battista, la Madonna con Bambino e Santa Lucia e Santa Apollonia.
Nell’oratorio si possono ammirare degli splendidi affreschi realizzati da un artista contemporaneo a Pietro, che ritraggono il Crocifisso, Maria e San Giovanni; ai lati della croce un angelo regge la corona di spine e l’altro porta la corona radiata. Nella lunetta superiore è raffigurata una Vergine con Bambino e sulla lunetta di fronte sono ritratti San Benedetto, San Mauro e Sant’Antonio. Tra gli altri affreschi presenti sulle pareti va segnalato quello che raffigura Pietro incoronato Papa con tiara e mantello bianco. Al centro si trova un piccolo altare bianco che sorregge un Crocifisso il quale, secondo la tradizione, è stato consacrato da Celestino in viaggio verso Napoli dopo l’incoronazione.
La grotta era il luogo dove Pietro Celestino era solito pregare, si trova proprio sotto la chiesa e si raggiunge attraverso una scalinata esterna posta di lato al porticato d’accesso. Secondo la tradizione, per ottenere guarigione da malattie reumatiche bisogna strofinarsi contro la roccia umida, dove il santo avrebbe dormito lasciando l’impronta del suo corpo.
L’Eremo di San Giovanni nella valle dell’Orfento, dove il santo visse per ben 9 anni, è il più difficile da raggiungere; si accede attraverso una scalinata e un camminamento scavati nella parete, che in prossimità dell’ingresso, dove un tempo c’era una passerella di legno, si interrompe e il visitatore è costretto a strisciare per alcuni metri. Dell’antico eremo, oggi, rimangono solo due piccoli ambienti con molte nicchie e un altare. Colpisce l’impianto idrico scavato magistralmente nella roccia con una cisterna che raccoglie l’acqua piovana. Non resta però traccia della chiesetta, delle celle dei monaci e della foresteria per i pellegrini.
Maria Orlandi
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